Libia - Guerra per il controllo del petrolio.

La guerra per bande divampa nella Cirenaica, centinaia i morti e feriti.

di Bz
18 / 5 / 2014

Dopo la rivoluzione che ha detronizzato il ras Gheddafi nel 2011, il governo di Tripoli si è mostrato incapace di ristabilire l'ordine e la sicurezza sul territorio della Libia, divisa in aree tribali, dove potenti clan amministrano e controllano i propri feudi con milizie armate, soprattutto nel sud e nell'est del Paese. Sopratutto la Cirenaica, da dove è partita la rivolta anti Gheddafi, e che, da subito, ha richiesto la formazione di uno Stato federale per avere sovranità nella gestione delle enormi risorse energetiche della regione.

Il Paese è divenuto, durante la rivolta e la guerra civile per bande, terra fertile per i gruppi islamici radicali, che hanno messo mano sui depositi di armi leggere e pesante, ne hanno avviato un florido commercio in tutta l’area sahariana e si sono strutturati come una sorta di contropotere, sia rispetto al governo centrale sia nei confronti dei clan regionali, arrivando a compiere azioni militari fin dentro al Parlamento, eliminando ministri ostili, rapendo diplomatici e uomini d’affari stranieri per ottenere la liberazione di propri militanti prigionieri in questo o quello Stato: l’episodio più recente ha riguardato la Giordania.

In questo quadro di decomposizione della struttura dello stato libico, avendo attenzione a quello che è il panorama internazionale, in specie quello che si sta sviluppando a est e sud dell’Europa e come sia messa a rischio la stabilità e garanzia della fornitura energetica, possiamo tentare di leggere il divampare di un nuovo focolaio di guerra tra milizie contrapposte in Cirenaica, la principale regione petrolifera della Libia. Con Gheddafi la Libia, avendo come partner di riferimento l’italiano ENI, produceva circa 1,5 milioni di barili di greggio oltre che 10 miliardi di metri cubi di gas l'anno, esportati in Europa e negli USA, dopo la guerra civile per bande, la produzione e commercializzazione è scesa a circa un terzo, rendendo necessario agli Stati europei l’approvvigionamento energetico presso altri paesi produttori, dagli Emirati alla Nigeria, posta anche la potenziale ‘guerra fredda’ innescata con l’altra grande tetta energetica per l’Europa, rappresentata dalla Russia, dentro la crisi geopolitica dell’Ucraina.

Sono gli idrocarburi - il loro controllo - che ancora una volta infiammano la guerra in Cirenaica, che armano le milizie del ex generale Khalifa Haftar, dalla fine degli anni ’80 negli Stati Uniti dopo aver disertato dall’esercito di Muammar Gheddafi e che è tornato in Libia proprio nel 2011 per partecipare alla rivolta che con l’aiuto della Nato portò alla fine del regime libico. Ora è ha capo di un cosiddetto “esercito nazionale” che Tripoli definisce “fuorilegge” ma che alcuni osservatori ipotizzano possa essere il braccio non ufficiale dei militari governativi per combattere le potenti milizie salafite, radicate nel sud ed est della Libia. Un esercito non ufficiale e quindi proprio per questo esente da regole e legittimazioni internazionali, una milizia privata per gli interessi delle grandi compagnie petrolifere, non ultima l’ENI.

Circa 2 mesi fa è balzato alle cronache il ‘mistero’ della nave coreana Morning Glory, che partita col suo carico di 350.000 barili di petrolio da un porto della Cirenaica, senza autorizzazione del NOC, la compagnia ufficiale libica, e destinata - a noi – non noti committenti, è stata assaltata, recuperata e posta sotto sequestro dai Navy Seals, i comandos dei marines statunitensi, al largo di Cipro. Una operazione militare a tutti gli effetti che ci ha raccontato come le forniture di idrocarburi della Libia fossero fuori controllo politico, come gruppi salafiti contigui al potere in Cirenaica avessero fondato una propria compagnia petrolifera che aveva cominciato a smerciare autonomia petrolio e gas.

Sembra, infatti, che miliziani islamisti separatisti, presenti nel corpo di guardia ai pozzi della Cirenaica, abbiano approfittato, nel luglio 2013, degli scioperi dei dipendenti nei porti - sedi anche di raffinerie e impianti petroliferi -, per occupare gli scali di Sidra, Ras Lanuf e Zueitina: terminal delle condutture dei principali pozzi di petrolio e gas della Cirenaica e target strategici per il controllo della Libia già durante la guerra contro Gheddafi.

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