Libano - Profughi, donne migranti lavoratrici domestiche: facce invisibili del paese

Incontro con l'associazione Amel

30 / 4 / 2014

 In questi giorni che ci troviamo in Libano sì è conclusa con un nulla di fatto la prima votazione del parlamento libanese per l’elezione del nuovo presidente della repubblica che secondo la divisione confessionale che scandisce la vita politica spetta a un cristiano maronita, mentre il ruolo di premier a un sannita e quello di presidente di parlamento a uno sciita.

Sui nomi proposti finora - tutti con un pesante passato alle spalle e dunque sottoposti a veti incrociati - è difficile raggiungere un accordo anche perché non è facile trovare la quadra tra la Coalizione 8 marzo, capeggiata da Hezbollah e la Coalizione 14 marzo formata dal partito di Hariri ed altri. Sullo sfondo ancora una volta la situazione in Siria. Una parte appoggia apertamente Asad, con Hezbollah in testa ed l’altra la variegata opposizione e le milizie. Ognuno dei due schieramenti è collegato ai rispettivi patner regionali ed internazionali. C’è chi dice che la soluzione dell’elezione nell’equilibrio libanese potrebbe essere un uomo dell’esercito.

Questo in un quadro economico e sociale in cui al governo, indebitato con l'estero, i lavoratori stanno chiedendo l'aumento del salario minimo bloccato da anni. Proprio ieri ci sono state manifestazioni e oggi sarà sciopero promosso da organizzazioni sindacali del settore pubblico e privato con la rivendicazione dell'aumento generalizzato dei salari, per poter vivere dignitosamente a fronte della crisi e dell'aumento dei prezzi.

Ieri abbiamo visitato la zona di Tripoli, momentaneamente tranquilla anche se non meno di due settimane fa luogo di scontro tra componenti libanesi connesse alle parti in guerra in Siria, cioè filo o contro Asad.. Ci sono alcuni posti di blocco sulla  strada ed alcune zone sono ancora off limit, ma restando attorno alla città la vita sembra scorrere normale.

Anche qui sono arrivati moltissimi profughi. Anzi proprio queste aree sono considerate le più affollate.

Una presenza invisibile come dato collettivo, molto visibile  per gli effetti che genera. In particolare in queste zone, ma non solo, i siriani accettano di essere pagati  in agricoltura e nell’edilizia ancora meno di libanesi e palestinesi, il che sta generando non poche tensioni. Prima del conflitto numerosi siriani si spostavano per lavori stagionali in Libano, dove ovviamente i salari erano più alti. Lavoravano alcuni mesi e poi tornavano a casa, e così via. Adesso costretti a restare accettano quel che viene offerto da chi non esita a sfruttarli, creando un malumore crescente tra libanesi e palestinesi, che restano sempre più disoccupati. 

Anche qui vivono in molti casi stretti in appartamenti, garage che vengono affittati a suon di dollari. Prefiscono stare vicino al confine con l’idea di tornare a casa appena possibile, anche se tutti quelli con cui parliamo non vedono prospettive a breve termine di cambiamento della situazione. Ed inoltre se anche la situazione cambiasse di certo molti siriani continuerebbero a lavorare in Libano visto la situazione di distruzione del paese da cui provengono.

Nel pomeriggio andiamo a visitare l’Associazione Amel, un’organizzazione non confessionale, il che non è poco in Libano.

Il loro lavoro consiste nella promozione dei diritti umani, civili e culturali, attraverso programmi di servizi sanitari, educativi, sociali, campagne di sensibilizzazione. Ci tengono a dire che non fanno differenza tra le persone da assistere, mentre in genere le prestazioni sociali vengono date a seconda della confessione religiosa di appartenenza.

Una parte delle loro attività è dedicata al supporto delle migranti lavoratrici domestiche.

All’oggi i dati parlano di 200.000 donne in regola e 70.000 irregolari che lavorano come domestiche, badanti, baby setter nelle case di famiglie libanesi.  Vengono dall'Asia (Filippine, Sri Lanka ...)  e dall'Africa (Costa d’Avorio, Etiopia ..).

Un flusso simile a quello che arriva nei Paesi del Golfo.

Se entrano in regola arrivano attraverso una sorta di chiamata ed un sponsor o diretto, il datore di lavoro, o attraverso quello che gli procurano le oltre 500 agenzie che esistono nel paese.

Le loro condizioni come ci vengono raccontate sono una sorte di "schiavitù moderna". In molti casi il passaporto è trattenuto dai datori di lavoro, non possono lasciare la casa in cui lavorano, non hanno giornate di libertà. Una condizione che non risponde alle regole internazionali fatte dall’ILO.

In Libano non esiste una normativa del lavoro che difenda queste donne. tanto è vero che su questo l'associazione si sta battendo perchè le leggi libanesi cambino e alcuni diritti vengano inseriti nella normativa nazionale.

L'associazione offre consulenza legale per la difesa dei diritti, molte volte calpestati di queste donne, facendo riferimento alle normative internazionali anche se servono anni per un processo.

Gli altri servizi offerti sono corsi di lingua, assistenza sanitaria e consulenza sugli aspetti connessi al permesso di soggiorno oltre a rendere possibile momenti di incontro e di socialità per spezzare la solitudine delle "migrant, domestic workers".

I casi di violenza e discriminazione sono tanti e arrivare a denunciarli non è semplice. 

Se vieni licenziata o te ne vai hai un anno di tempo per trovare un altro lavoro se no diventi illegale. In molti casi le donne denunciano che il padrone, come dicevamo, si tiene il passaporto, il che ti rende immediatamente illegale.

Se  vieni fermata e non sei in regola con il permesso, il rimpatrio è garantito: il volo viene pagato o dal governo o dal padrone o da associazioni.

Anche in questo settore l’arrivo dei profughi siriani ha creato nuova concorrenza infatti se il salario medio adesso è di circa 7000 lire libanesi (3,50 euro) all’ora, le siriane accettano anche 6000 lire. Abbassando così l’assicella salariale e creando concorrenza e  “guerra tra poveri”, proprio all'interno della situazione generale di crisi.

L’associazione promuove anche la denuncia della tratta e del traffico di essere umani.

Le lavoratrici domestiche manifesteranno la prima domenica di maggio in difesa dei loro diritti. Non manifesteranno il primo maggio, perché non essendo la data riconosciuta come festività, non possono lasciare il loro posto di lavoro. Attraverseranno Amra, quartiere centrale di Beirut,  per rendersi visibili e rivendicare diritti e dignità. Una dignità che viene in molti casi calpestata dai datori di lavoro libanesi e che fa sì che le statistiche parlino di un suicidio alla settimana tra le lavoratrici domestiche.

INTERVISTA SULLA CONDIZIONE DELLE MIGRANTI LAVORATRICI DOMESTICHE

L'Associazione Amel si occupa anche dei profughi provenienti dalla Siria intervenendo con oltre una ventina di sedi in tutto il paese cercando di coprire le necessità saniatrie, educative e alimentari.

I servizi offerti sono aperti anche ai cittadini libanesi più bisognosi, ai rifugiati palestinesi perchè l'associazione parte dal presupposto che ogni essere umano abbia dei diritti che vanno garantiti a tutti a prescindere dalla razza, dallo status e dalla religione.

"Sulle rotte dell'Euromediterraneo" in Tunisia, Turchia e Libano organizzate da:
Un Ponte per ...
Coalizione Ya Basta Marche, Nordest, Emilia Romagna e Perugia
Info e contatti generali: [email protected] e [email protected]

I report completi dell'iniziativa saranno in Globalproject.info e Unponteper.it
Media Patner dell'iniziativa: Nena News, Osservatorio Iraq, Progetto Melting Pot Europa, CORE online

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