La crisi economica dietro il golpe dei militari egiziani

L’Egitto senza grano né turismo

11 / 7 / 2013

L’Egitto attraversa una crisi economica profonda. Il controllo dei prezzi e la creazione di un welfare pubblico sono tra le principali rivendicazioni degli attivisti, disattese dai governi pro tempore, che hanno gestito gli affari correnti dopo le rivolte del 25 gennaio 2011. Le parziali politiche di liberalizzazione, promosse dai Fratelli musulmani, e l’incapacità di negoziare nuove condizioni per il prestito da 3,8 miliardi di euro con il Fondo monetario internazionale (Fmi) hanno esasperato milioni di elettori e intaccato gli interessi economici dei militari.

In seguito al colpo di stato del 3 luglio scorso, l’agenzia Fitch ha declassato il rating dell’Egitto da B a B- con outlook negativo. La decisione è dovuta all’instabilità politica interna del paese, con possibili ripercussioni sui risultati e la fiducia degli investitori. Solo poche ore prima erano suonati i anche campanelli di allarme dell’agenzia di investment banking, Merrill Lynch. All’Egitto, si legge in una nota, restano «sei mesi di tempo». Al termine di questo periodo «le posizioni esterne si irrigidiranno considerevolmente e la sostenibilità fiscale finirà sotto una severa pressione». In altre parole, gli investitori stranieri, se non lo hanno già fatto, fuggiranno dal paese in fiamme. Infine, sono perfino peggiori le considerazioni sullo stato dell’economia egiziana di Moody’s e Standard&Poor’s. Entrambe le agenzie di rating concordano che il paese non vale più di un CCC+: molto vicino al baratro insomma.

Ma ci sono decine di dati preoccupanti. Gli allarmi della Banca centrale egiziana segnalavano da tempo la drastica diminuzione delle riserve valutarie. Da 36 miliardi di dollari (di fine 2010) si è passati all’imbarazzante 13,5 miliardi del 2013. Le scarse riserve mettono a rischio la tenuta delle casse del paese e la sostenibilità del debito pubblico, in particolare con alcune banche straniere, come il colosso di Hong Kong Hsbc, che da solo rivendica un debito pari a 33 miliardi di dollari di costi finanziari per il 2013.

Più temibile del debito pubblico però, è il crack agricolo che ha messo in ginocchio i contadini egiziani. La produzione di grano è calata drammaticamente nel 2012, secondo alcuni esperti quasi dell’85%. La causa è la diminuzione delle importazioni da parte dell’Autorità nazionale sul grano (Gasc). In più, la mancanza costante di benzina ha fatto aumentare i costi di importazione di fertilizzanti e pesticidi, complicando l’irrigazione dei campi e minacciando il raccolto effettuato con mezzi meccanici. Secondo il Gasc, molti contadini hanno abbandonato il raccolto per la mancanza di benzina, in particolare nell’Alto Egitto.

Il governo egiziano sembra fin qui aver sovrastimato le sue capacità di affrontare la drastica diminuzione di raccolto. I Fratelli musulmani si sono potuti permettere di governare per un anno senza riforme grazie agli ingenti capitali che arrivavano dal Golfo. Issandr el-Amrani, economista e direttore del noto sito the arabist, non ha dubbi: «La Fratellanza ha atteso troppo a lungo, ma negli ultimi mesi ha dovuto fronteggiare la cronica mancanza di moneta e energia. Per questo ha ottenuto immediatamente un prestito dal Qatar (su un totale di 6 miliardi di euro) ad alti tassi di interesse per 2 miliardi di euro. Il paese ha fornito all’Egitto petrolio ad un prezzo molto più basso dei valori di mercato, questo ha determinato una garanzia significativa per il prestito», ci spiega Amrani.

La diminuzione della spesa pubblica era la condizione richiesta dal Fmi per staccare il promesso assegno miliardario. Ma tagliare i sussidi per i meno abbienti e per beni di prima necessità non era facile neppure per la Fratellanza. «I Fratelli musulmani non hanno potuto implementare la riforma dei sussidi che avevano presentato a dicembre scorso. Ma il sensibile aumento del prezzo della benzina ha colpito i più poveri più del promesso taglio ai sussidi. L’Egitto si trova di fronte ad alti livelli di disoccupazione, aumento dei prezzi con un quarto della popolazione vicino alla soglia di povertà e alla chiusura delle principali aziende. A una necessaria riforma del sistema sanitario si è preferito dare priorità al sistema privato di opere caritatevoli controllate dalla Fratellanza per cementare la base del loro sostegno politico. Non solo, puntando sull’emissione di sokuk (bond islamici, ndr), hanno avuto l’intenzione di privatizzare beni pubblici sullo stesso schema dell’ultimo governo di Mubarak per poi finanziare con flussi di cassa infrastrutture pubbliche», aggiunge Amrani.

Il settore che più ha messo in crisi l’economia del paese è il turismo. L’incredibile flusso di di turisti degli ultimi decenni è diminuito del 17,3% nel primo trimestre del 2013 rispetto allo stesso periodo del 2012, quando gli arrivi toccavano i 12 milioni. L’ex ministro del turismo Hisham Zaazou prometteva che si sarebbe tornati entro il 2013 alle quote del 2010. Ma le entrate finanziarie sono calate considerevolmente da 46 miliardi di dollari nel 2010 a 13 miliardi nel 2012. A questo vanno aggiunti gli annunci mai messi in pratica di nuovi divieti sulla vendita di alcolici e le restrizioni all’abbagliamento per le donne, che hanno allontanato i turisti da aree a forte maggioranza salafita. Un esempio in questo senso è la nomina del governatore radicale di Luxor, Adel Al-Khayat, che ha innescato gravi proteste in tutta la regione costringendo il politico alle dimissioni.

In queste settimane di crisi politica e violenze sono state lunghissime le file per prelevare gli ultimi risparmi dagli sportelli bancari che in alcuni casi hanno chiuso i battenti per mancanza di liquidi. Ma un segno positivo c’è: la borsa del Cairo incassa guadagni su guadagni. Forse il colpo di stato non piacerà a tutti ma ad alcuni investitori inizia a fare gola.

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