Le proteste a Belgrado sono il risultato di un lungo malcontento popolare

17 / 7 / 2020

La donna è impaziente, le mani poggiano sui fianchi, il corpo dondola leggermente in avanti in attesa che l’uomo riceva la scheda elettorale, per poi seguirlo fino alla postazione di voto, rigorosamente coperta da un pannello di plastica, al fine di mantenere la privacy.

Entrambi si chinano sul foglio, lui prende in mano la penna e lei indica velocemente dove barrare. Poi sposta il documento, ne avvicina un altro, e ancora una volta, mostra all’uomo dove votare. Quando questo si allontana, la donna piega la scheda elettorale e la inserisce negli appositi raccoglitori. Lo stesso procedimento avviene con altri due individui, poi il video si interrompe.

Le persone in fila, prive di mascherina, gli uni vicini agli altri in attesa di votare, e gli scrutatori, muniti di mascherina, restano impassibili. Nessuno protesta, o quantomeno contesta, i gesti della donna sembrano essere accettati agli occhi di tutti.

Le elezioni parlamentari in Serbia, tenutesi il 21 giugno, sono state vinte dal Partito Progressista Serbo del presidente Aleksandar Vučić, che ha conquistato la maggioranza di due terzi del parlamento. Domenica scorsa si sono svolte anche le elezioni amministrative e l’SNS (il partito, in serbo Srpska Napredna Stranka) ha vinto in quasi tutti i comuni, confermando ancora una volta Vučić come dominio assoluto sulla scena politica serba.

Non è difficile capire come abbia potuto trionfare il partito conservatore e populista, a dispetto del nome.

Le urne serbe sono state le prime ad aprire in tutta Europa da quando è scattato il lockdown a causa della pandemia di coronavirus. Molti hanno infatti criticato la decisione di sbloccare le restrizioni, perché i numeri dei contagi non erano cessati, anzi: verso la fine del mese di giugno ci sono stati decine di decessi, cifre che non si erano mai registrate prima di allora. Da settimane però, in vista delle elezioni, il presidente Vučić aveva rassicurato i cittadini, sostenendo che i dati stavano diminuendo e che si poteva andare tranquillamente a votare, revocando così quasi tutte le misure di contenimento del contagio.

Quando i risultati delle votazioni sono stati divulgati, il presidente ha comunicato al popolo che il numero degli infetti era aumentato e che ci sarebbe stato un ulteriore isolamento forzato perché la situazione stava diventando critica e il paese avrebbe rischiato di affrontare un disastro sanitario come quello italiano e spagnolo. Migliaia di cittadini hanno reagito invadendo le strade della capitale per protestare.

Il giorno dopo le elezioni, il portale di giornalismo investigativo Bigan Investigative Reporting Network (BIRN), ha citato dati provenienti dal sistema nazionale di informazione sul coronavirus e ha riportato che il numero dei contagiati e dei morti era diverso e superiore da quello diffuso dalle autorità. Pertanto, è lecito supporre che alla vigilia delle elezioni le autorità abbiano taciuto sui dati. Secondo il documento, nel periodo compreso tra il 19 marzo e il 1 giugno 2020, sono morte 632 persone, una cifra superiore a quella ufficiale, pari a 244 unità. Nell’ultima settimana prima delle elezioni, il numero di nuovi contagi oscillava tra 300 e 340 al giorno, rispetto a quelli comunicati dalle autorità, che parlavano solo di 97 nuovi casi.

La premier Ana Brnabić ha cercato di spiegare queste divergenze in un modo del tutto particolare su TV Pink il 28 giugno: “Ipotizziamo che io abbia dei sintomi, mi reco in ospedale per il tampone e ottengo un risultato positivo, così vengo iscritta al database. Mentre sto andando in clinica per curarmi, un autobus mi investe. Secondo il database sono morta. Dovrei pertanto essere considerata morta per coronavirus? Ci sono diversi casi di questo tipo...”.

Non si sa quanti cittadini serbi siano stati effettivamente investiti da un autobus durante la pandemia, ma è altrettanto difficile stabilire quante siano le persone contagiate dal coronavirus, poiché le informazioni ufficiali sul numero di decessi sembrano inesatte.

Il sentimento di rabbia maturato dalla popolazione è esploso martedì sera quando il parlamento è stato preso d’assalto. Gli scontri sono stati violenti, la polizia ha usato lacrimogeni e picchiato con ferocia chiunque si trovasse davanti. I video mostrano feriti, disordini nelle strade, autovetture in fuoco. I manifestanti di destra si sono uniti a quelli di sinistra.

Seppur la Serbia sia candidata a entrare nell’Unione Europea, è difficile considerarlo un paese democratico: la maggior parte dei media sono sotto il controllo del regime, a dispetto di N1 che ha cominciato per primo a diffondere le immagini della protesta di martedì notte, la famiglia del presidente è sospettata di avere legami criminali e mafiosi e manca una totale libertà politica. Oltre al video su twitter in cui una donna costringe a votare il partito vincitore (in alto a sinistra vi era infatti il simbolo dell’ SNS), si possono trovare su internet filmati di attivisti che bussano alle porte delle case o telefonano per influenzare ed esercitare pressioni sui pensionati e dipendenti pubblici, raccogliendo così i voti sicuri. Senza un tale approccio, la netta vittoria ottenuta da Vučić e dal suo partito non sarebbe stata possibile. O meglio, l’SNS e Vučić probabilmente avrebbero comunque vinto, ma l’opposizione non sarebbe stata del tutto eliminata dal parlamento.

Negli ultimi anni il partito progressista ha costantemente eroso i diritti politici e le libertà civili, esercitando forti controlli sui media indipendenti, sull’opposizione politica e sulle organizzazioni della società civile.

Durante le elezioni del 2017, da quando il presidente è in carica, ci sono state notizie diffuse di dipendenti di entità statali o affiliate allo stato che hanno subito pressioni per sostenere l’SNS e costringere i loro amici e le loro famiglie a fare lo stesso.

Le indagini di Insajder del 2017 hanno mostrato come a causa delle inesattezze dei registri degli elettori ci sia stata la possibilità di manipolare i risultati finali delle elezioni: diversi deceduti erano iscritti ancora nelle liste, che spesso non venivano aggiornate per anni, aprendo la possibilità a irregolarità, abusi e utilizzi impropri.

Le accuse di corruzione, di solito con denaro o cibo, in cambio dei voti, sono state ampie anche durante le elezioni locali del 2018.

Quest’anno moltissimi elettori non sono andati a votare perché scoraggiati dalla situazione politica, consapevoli di quelli che sarebbero stati i risultati: l’affluenza è stata del 48.88%, ma il quorum necessario per l'elezione del presidente deve essere di almeno il 50% più uno. Diverse fonti riportano il mancato raggiungimento del quorum, a eccezione del sito del governo.

La libertà di stampa è limitata: l'Associazione dei giornalisti indipendenti della Serbia (NUNS) ha documentato episodi di pressione o violenza contro i giornalisti durante l'anno 2018, e ha riportato un aumento nel 2019, mentre i media indipendenti continuavano a sopportare campagne diffamatorie da parte di organi di pubblica amministrazione, molestie e minacce fisiche. Nel dicembre 2018, il giornalista investigativo Milan Jovanović, che ha ampiamente denunciato la corruzione, è stato vittima di un attacco incendiario per il quale un funzionario della SNS era sotto processo alla fine del 2019.

Nel marzo 2019, i manifestanti a Belgrado hanno preso d'assalto il quartier generale dell'emittente pubblica serba RTS per attirare l'attenzione sulla sua copertura parziale. Nel 2019 un certo numero di giornalisti hanno dovuto affrontare ispezioni fiscali punitive e altre forme di pressione come aggressioni fisiche. L’ultimo rapporto della Freedom House -organizzazione non governativa internazionale che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazia, libertà politiche e diritti umani- afferma che il leader serbo ha consolidato la proprietà dei media nelle mani dei suoi amici, assicurandosi il supporto politico.

“Spero che un giorno qualcuno possa aiutarci ad uscire da questo inferno” scrive Bojan -nome di fantasia per proteggerne l’identità-, “La situazione è drammatica da ormai molti anni, siamo uno dei paesi più poveri, lo stipendio medio è di circa 300 euro e se non voti il presidente Vučić rischi di perdere anche quelli. Io lavoro per un’ambasciata europea qui a Belgrado e ciò che mi fa più arrabbiare è la totale indifferenza internazionale: molti conoscono la situazione serba ma nessuno muove un dito, a nessuno importa del nostro futuro. Le proteste sono il risultato di un lungo malcontento popolare. Lottiamo contro la dittatura, la censura, le intimidazioni e la corruzione. Chiediamo solo la libertà”.