L’apartheid del vaccino per i palestinesi

4 / 1 / 2021

“Andrà tutto bene e questa pandemia renderà migliore l’umanità”. Non era forse questo il mantra che abbiamo sentito fino alla nausea durante i primi mesi del 2020, quando il virus che causa il Covid-19 dall’Asia è giunto prima in Europa e poi nel resto del modo, cambiando per sempre le nostre vite?

E quante volte ancora abbiamo sentito che il vaccino sarebbe stato “democratico” e che gli sforzi a livello globale per ottenerlo a tempo di record siano stati un esempio incredibile di come la scienza contribuisca ad abbattere le barriere ed unire l’umanità sotto l’egida di un obiettivo comune?

Israele, gennaio 2021: il piano vaccinale di somministrazione del siero Pfizer-BioNTech contro il Covid-19 è talmente efficiente che, al ritmo di 150 mila dosi inoculate al giorno, ha consentito la copertura del 10% della popolazione in un tempo brevissimo, tanto che il “modello israeliano” viene ormai elogiato come “eccellenza” e citato come termine di paragone dai notiziari di tutto il mondo. Il primo ministro Netanyahu, suo malgrado ormai in campagna elettorale perenne, ha dichiarato che il suo potrebbe essere il primo paese al mondo ad uscire dalla pandemia.

Israele è stato colpito duramente dalla pandemia: ha segnalato, infatti, più di 366 mila casi, di cui almeno tremila morti su una popolazione di nove milioni di persone.

Israele, però, non è un paese come tutti gli altri. La sua storia recente è una storia di colonialismo d’insediamento, land-grabbing ed espropriazione delle terre e dei diritti che prosegue quotidianamente da oltre settant’anni. 

Così, accanto ai suoi nove milioni di cittadini vivono – o forse sarebbe meglio dire “tentano di sopravvivere” -, sotto occupazione militare e in regime di apartheid, circa 2,7 milioni di palestinesi della Cisgiordania e circa due milioni della Striscia di Gaza. La situazione di questi cinque milioni di persone era drammatica già in epoca pre-pandemica in Cisgiordania a causa dell’indebolimento politico dell’ANP, delle restrizioni della libertà di movimento, dell’espropriazione delle risorse e dello sfruttamento della forza lavoro a basso costo e a Gaza a causa della dittatura religiosa di Hamas e dell’assedio che perdura dal 2007, che hanno generato una tragedia umanitaria senza precedenti.

La campagna di vaccinazione di Israele include anche i coloni ebrei che vivono occupando illegalmente buona parte della Cisgiordania, che sono cittadini israeliani.

Cosa accadrà a queste persone, che vedono vaccinarsi a ritmi record i loro “vicini di casa”, coloro che hanno saccheggiato e continuano ad usurpare con la forza e spesso con violenza inaudita e del tutto gratuita le terre abitate e coltivate dai loro antenati?

Sarebbe forse troppo pretendere che Israele, potenza occupante, si faccia carico della vaccinazione dei palestinesi, se non come parziale indennizzo per il genocidio perpetrato nell’ultimo secolo, almeno come dimostrazione di umana compassione?

Non solo è una pretesa eccessiva, ma addirittura dobbiamo aspettarci che sia l’ennesima arma per isolare, rinchiudere, assediare i palestinesi (o almeno quelli che non possono essere sfruttati come forza lavoro dai coloni) e distruggerne definitivamente l’economia. Si prevede un lockdown ancora lungo per i palestinesi. Se gli israeliani raggiungeranno presto l’immunità di gregge, loro saranno ancora di più “gli appestati”; “gli intoccabili” e per loro potrebbe diventare ancora più complesso non solo muoversi in Cisgiordania attraversando i territori occupati, ma anche all’estero attraverso la Giordania e l’Egitto.

L’OMS ed il suo piano covax (il piano che mira a fornire vaccini gratuiti al 20% della popolazione dei paesi più poveri del mondo) sono in ritardo ed a corto di liquidità; davvero immobili se paragonati alla solerzia dei paesi ricchi che hanno opzionato i vaccini a pagamento e l’ANP non ha ancora formalmente chiesto aiuto ad Israele. D’altronde i rapporti diplomatici si sono praticamente interrotti dopo l’accordo del secolo e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con i paesi arabi.

L’unica dichiarazione, davvero troppo ottimista, dei funzionari di governo è che potrebbe arrivare per i palestinesi qualche dose del vaccino russo Sputnik V a fine gennaio.

Secondo Al Jazeera, l'Autorità Palestinese ha segnalato più di 85 mila casi nella Cisgiordania occupata, inclusi più di 800 morti, e l'epidemia si è intensificata nelle ultime settimane.

La situazione è ancora più grave a Gaza, dove le autorità hanno segnalato più di 30 mila casi (quasi sicuramente sono molti di più, ma i kit per la diagnosi sono insufficienti), di cui 220 decessi.

Non sta andando tutto bene per i palestinesi. Non vanno bene l’andamento dei contagi e la situazione nelle strutture sanitarie, soprattutto a Gaza, e siamo ben lontani dall’intravedere una luce alla fine di questo tunnel.

Scrive il giornalista Roberto Prinzi su un post Facebook proprio su questo argomento, «ripetere in modo noiosamente retorico che “la scienza è progresso” non ha alcun senso se non si aggiunge una piccola condizione: se "solo se tutti realmente possono goderne i suoi frutti". Insomma, solo se c'è giustizia. Altrimenti per molte donne e uomini si traduce solo nell'ennesima faglia che lacera ancora di più l'umanità». 

Nel frattempo, la violenza non si ferma: ad Al-Tuwanah, sulle colline attorno ad Hebron, il ventiquattrenne Haroun Rasmi Abu Aram, ferito al collo da un colpo sparato da militari israeliani mentre cercava di sottrarre alla confisca il suo generatore di elettricità, è rimasto tetraplegico.