La vita di Maissa. Sogni, paure e pratiche di resistenza di una giovane donna di Gaza

Intervista di Dario Fichera a Maissa Halim.

16 / 9 / 2019

Durante la recente carovana di Gaza Is Alive  abbiamo conosciuto Maissa, una giovane donna che coordina il programma di emancipazione e protezione delle donne per una ONG locale.

Maissa è nata e cresciuta nella Striscia ed è diventata portavoce dei giovani sotto assedio.

Dario Fichera, attivista dell’associazione Ya Basta!Êdî Bese!, l’ha intervistata ad una settimana dalle elezioni della Knesset in Israele ed a meno di un mese dalla sua partenza per la Tunisia come osservatrice internazionale per le elezioni legislative.

Il 17 settembre gli elettori israeliani saranno nuovamente chiamati alle urne per eleggere 140 membri della Knesset, il Parlamento monocamerale del paese. Perchè guardiamo alle elezioni parlamentari israeliane quando ci interessiamo a Gaza? Innanzitutto perchè la politica di intervento sulla Striscia di Gaza è un nodo cruciale per acquisire o perdere rapidamente consenso elettorale ed in secondo luogo perchè si torna alle urne per la seconda volta in un anno, in quanto il Likud, partito dell’attuale premier Benjamin Netanyahu e la sua coalizione di destra risultano estremamente indeboliti proprio a seguito della crisi di governo del 2018, quando l’allora Ministro della Difesa Lieberman rassegnò le dimissioni a seguito dell’accordo di governo per il cessate il fuoco su Gaza. La coalizione di Netanyahu è data in calo agli ultimi sondaggi, tanto che l’ultimo colpo di coda della campagna elettorale del premier in carica ha avuto dei risvolti tragicomici, con maldestri e goffi tentativi di imbonimento dell’ultradestra tra cui la dichiarazione della volontà di annettere gran parte della Cisgiordania allo Stato di Israele. Tuttavia, Benny Gantz, il candidato del partito “blu e bianco” che guida la coalizione centrista e che i sondaggi vedono come favorito, è un ex generale dell’esercito e su Gaza ha già fatto delle dichiarazioni tutt’altro che rassicuranti.

D: Maissa, raccontami un po’ di te e di cosa significhi nascere e crescere a Gaza, da donna rifugiata.

M:Sono Maissa Halim, ho 29 anni e sono una rifugiata palestinese. Ho vissuto tutta la mia vita a Gaza.

I primi anni della mia vita sono trascorsi in un campo profughi, ma non ricordo molto. Vivo a Khan Younis, a sud della Striscia di Gaza.

Tutti noi abbiamo un primo ricordo della nostra infanzia; il mio è questo: avevo 5 anni e decisi di uscire di casa per andare al mercato a comprare dei dolci, a quell’epoca i coloni israeliani erano ancora  presenti a Gaza ed in quel momento vigeva il coprifuoco nelle nostre strade ma chiaramente io non potevo saperlo perchè ero solo una bambina! Nel tragitto verso il mercato incontrai uno dei soldati dell’esercito di occupazione, che per spaventarmi mi puntò la pistola in faccia. Anche se ero piccola capii subito che non aveva intenzione di sparare, ma solo intimidirmi per far divertire i suoi commilitoni. Bella mossa intimidire una bambina di 5 anni! Mi chiedo ancora adesso se questo non si possa chiamare un atto di terrorismo.

La prima volta che la paura, quella vera e che è ormai diventata la mia compagna di vita, mi ha mostrato il suo volto è stata quando avevo 11 anni.

La Seconda Intifada è iniziata mentre eravamo a scuola. Gli adulti hanno interrotto le lezioni e ci hanno portati a casa, così all’improvviso. In quei giorni, i miei occhi da ragazzina hanno visto per le strade delle scene che non riuscirò mai a dimenticare. Era la prima volta che vedevo la guerra; la prima volta che vedevo i morti ammazzati. A distanza di 18 anni non riesco ancora a parlarne e mi tengo tutto dentro. Mentre questi eventi accadevano, i miei genitori cercavano sempre di creare un’atmosfera confortevole per me ed i miei fratelli e sorelle, ma è difficile essere un bambino quando la tua mente è costretta a ragionare da adulta!

Nonostante tutto crescevo! Così crescono tutti i bambini e le bambine di Gaza: come fiori del deserto. Ero una bambina o poco più, ma la mia attenzione era perennemente attirata da tutte quelle cose che comunemente non interessano i ragazzini di quell’età. Io ero sempre sul chi va là. Ricordo in TV l’esecuzione sommaria di Saddam Hussein, mentre mangiavo, e ricordo che in quell’occasione smisi di mangiare per diversi giorni. Allo stesso modo ricordo la morte di Yasser Arafat. Proprio quest’ultimo evento, quando avevo 14 anni, ha segnato la mia esistenza come se fosse morto mio padre. Poco tempo dopo iniziai a vedere fratelli e sorelle, “figli” orfani di Arafat, uccidersi per motivi politici. Stavolta, davanti a me lo scenario era quello di uno scontro fratricida. Vedevo palestinesi uccidere altri palestinesi e non riuscivo a crederci.

Crebbi ancora, nonostante tutto questo, come crescono i fiori di loto in mezzo al fango.

Ricordo che quando Hamas prese il potere a Gaza ed Israele instaurò l’assedio che tuttora è in corso, io frequentavo il “Tawjihi”, l'ultimo anno della scuola secondaria propedeutico all’Università. Per gli studenti palestinesi è l'anno più importante. La scuola presso cui dovevo sostenere gli esami non era lontana da casa mia, ma chiedevo spesso a mio padre di accompagnarmi perchè la situazione di assedio mi terrorizzava così tanto che spesso mi pietrificavo in mezzo alla strada e non riuscivo più a proseguire. La mattina dell’esame più importante mio padre ed altri genitori restarono fuori dalla scuola per protestare contro l’assedio. I nostri esami furono interrotti da un’esplosione: alcuni di quei genitori non tornarono più a casa perchè furono colpiti da un missile israeliano.

Un anno e mezzo più tardi Israele lanciò l’offensiva militare contro Gaza denominata “Piombo Fuso”. All’epoca odiavo Gaza e stavo pensando di trasferirmi a studiare in un’università straniera. Mio padre lavorava in un Centro per i Diritti Umani, ed uno dei suoi compiti era quello di documentare le violazioni commesse dai militari israeliani nei confronti dei civili palestinesi. Decisi di affiancarlo nel suo lavoro e mi fu assegnato il compito di rispondere alle telefonate dei giornalisti sul campo dopo che l’IOF divise la Striscia di Gaza in tre aree e quindi quei giornalisti non potevano fisicamente raggiungere il nostro Centro. Dovevo trascrivere le notizie ed inviarle ai media affinché le pubblicassero. In quei giorni mi resi conto che essere rimasta a Gaza mi aveva dato la possibilità di rendermi concretamente utile per il mio popolo, ma non fu facile fare nuovamente i conti con la morte di tanti innocenti. Certe ferite dell’anima non si rimarginano mai e si è costretti a farci i conti tutti i giorni della propria vita.

Nel 2012, mentre ero ancora una studentessa universitaria, Israele avviò la seconda offensiva militare su Gaza: “Colonna di nuvole”, che durò solo 8 giorni ma lasciò morte e distruzione alle sue spalle. In quegli 8 giorni osservavo inerme ciò che accadeva ed imprimevo il mio dolore con l’inchiostro sulla carta. Iniziai ad inviare le mie lettere aperte all’estero, sperando che la Comunità Internazionale reagisse. Molte testate giornalistiche iniziarono a pubblicarle e alcune di queste lettere vennero lette pubblicamente durante le manifestazioni di solidarietà verso Gaza, soprattutto in Francia.

Mi sono laureata nel 2013 ed a quel punto avevo le idee ben chiare su ciò che volevo fare da grande. Infatti, iniziai subito il mio primo lavoro che consisteva nello scrivere progetti, per ONG ed enti, che favorissero la promozione sociale e l’emancipazione delle donne sole ed emarginate dalla società per svariati motivi.

Come molti di voi sapranno, l’anno successivo per Gaza fu il più traumatico della storia. Il 2014, infatti, fu l’anno di “Margine Protettivo”: 58 giorni di bombardamenti ininterrotti. Anche in quell’occasione decisi di non chiudermi nel mio dolore e nella mia paura, ma di reagire ed essere una voce narrante di quel conflitto. La notte scrivevo articoli che al mattino inviavo ai miei amici in giro per il mondo, i quali li traducevano e pubblicavano; tutte le sere avevo un collegamento radiofonico con una radio indipendente italiana all’interno di un programma che seguiva gli sviluppi degli eventi a Gaza. Quando sentii che parlarne non era più sufficiente, decisi di passare le mie giornate “sul campo”. Grazie all'aiuto di alcuni amici francesi organizzai una raccolta fondi per aiutare gli sfollati. Durante ogni breve tregua mi recavo a Gaza City per comprare e portare generi alimentari alle famiglie e giocattoli ai bambini feriti in ospedale.
A mio padre non ho mai raccontato quello che feci in quei giorni. Credo che avrebbe temuto troppo per la mia incolumità ed avrebbe provato a fermarmi.

La situazione negli ultimi giorni dell’offensiva era talmente al collasso che poche case erano rimaste in piedi. Ci ritrovammo ad ospitare 5 famiglie sfollate del nostro quartiere all’interno della nostra casa.
“Margine Protettivo” ha segnato tutta la popolazione di Gaza. Ancora adesso mi sveglio nel cuore della notte e mi sembra di rivivere la scena del drone israeliano che prese di mira due uomini in moto davanti alla porta di casa mia. Io ero alla finestra e vidi un bambino di 6 anni che conoscevo, compagno di giochi e coetaneo del mio fratellino, morire nell’esplosione davanti ai miei occhi.  
Non dimenticherò mai il massacro di Khuza’a, quando l’ultima tregua fu violata e l’IOF sganciò bombe su donne, bambini ed anziani sfollati che erano per le strade e tornavano al loro villaggio già distrutto. Sembra il massacro di Sabra e Shatila. Non riesco a dimenticare quei 58 giorni ed ho imparato a convivere con la paura.
Oggi lavoro nel campo dei Diritti Umani, occupandomi delle questioni relative ai Diritti sociali delle Donne. Nello specifico sono coordinatrice dei progetti rivolti alle giovani.

Ogni giorno cerco di fare del mio meglio per promuovere la pace e l’emancipazione femminile.

Nella nostra istituzione abbiamo tre programmi: democrazia, diritti umani e good governance.
Lavoriamo per dare più potere alle donne, difendere i loro diritti e proteggere i minori.

Credo fermamente che dobbiamo partire dall’educazione dei figli per arrivare ad avere una società libera, democratica e paritaria e credo anche che sia importante dare potere alle donne perchè se dai potere ad una donna, dai potere alla sua famiglia ed a tutta la sua comunità.

D: Il conflitto tra Palestina e Israele non è un conflitto fondamentalmente religioso. La religione è utilizzata come pretesto, ma non è la causa . Qual è il tuo punto di vista sul presente e sul futuro di questo conflitto? Cosa pensi siadesiderabile modificare nella società civile da entrambe le parti per raggiungere un vero cambiamento?

M: Naturalmente avrai sentito parlare della Grande Marcia del Ritorno. Dovrebbe essere una manifestazione completamente pacifica. Se fosse portata avanti secondo gli intenti originari ad esempio i gazawi porterebbero il folklore e danzerebbero la Dabkeh lungo il confine orientale, richiamando la società civile israeliana ed invitandola a partecipare per dimostrare ai governi l’intenzione di mettere fine alla situazione attuale di conflitto e reclamare dal basso delle condizioni di vita migliori. Se ci si rivolge alle persone che credono nell’umanità (e le tre grandi religioni monoteiste presenti in Medio Oriente fondamentalmente ripudiano la guerra) esse prima o poi si uniranno insieme per reclamare umanità. Questa lotta, oggi, deve essere pacifica. Abbiamo avuto già troppa violenza ed abbiamo visto troppe armi. La lotta armata, oltre ad essere palesemente impari, non ha portato niente di buono in questa regione.

So che molti palestinesi hanno amici israeliani che reclamano la pace, i nostri genitori ci raccontano che quando erano ragazzi i giovani palestinesi tentarono di cooperare con i giovani israeliani per il diritto al ritorno. Non è ben chiaro, nella Striscia di Gaza, che in Israele non sono tutti sionisti. D’altronde siamo isolati ed ogni contatto è praticamente impossibile. Si sta perdendo l’umanità.

Dal mio punto di vista, ciò che accade in quest'area, specialmente qui a Gaza, è una questione d’affari per i governi. Affari di cui paghiamo noi i conti, ed a caro prezzo!

D: Nelle ultime settimane stiamo assistendo ad un'escalation di violenza dall'IOF contro Gaza, forse legata alle imminenti elezioni in Israele. Ci aiuti a capire come la guerra infinita ad intensità intermittente influisce sulla vita delle persone che vivono a Gaza? Nel 2014, durante un'intervista in occasione dell'offensiva "Margine Protettivo" contro la popolazione civile, hai detto una frase molto commovente: "Non c’è bisogno di essere musulmano per stare dalla parte di Gaza, basta essere umano!" Anche Vittorio "Vik" Arrigoni era solito dire qualcosa di simile nel suo famoso adagio "Restiamo Umani".

Puoi condividere con noi la tua dolorosa esperienza vita quotidiana durante l'assedio e l'offensiva militare?

M: Innanzitutto ti ringrazio per aver sottolineato come qui non avvengano guerre, bensì offensive militari, molto spesso contro la popolazione civile inerme di Gaza. La guerra è un’altra cosa e, per quanto terribile, forse è migliore di ciò che viviamo qui, rinchiusi in una grande trappola per topi, senza un rifugio e senza la possibilità di fuggire, con le bombe che ci piovono sulla testa. Non siamo tutti terroristi come vogliono far credere al mondo!  

Ti ringrazio anche per aver nominato Vik: qui a Gaza siamo molto affezionati al suo ricordo! Che la sua anima possa riposare in pace! Tornando alla tua domanda, è indubbiamente molto dura la vita a queste condizioni. Per rendersene conto basta guardare i giovani: sono nel periodo della loro vita nel quale sono pieni di energie, potrebbero viaggiare, costruire la loro vita inseguendo i propri sogni, inventarsi un lavoro, fare delle scelte, decidere dove andare a studiare, invece...

Da quello che ho raccontato prima riesci a farti un’idea: la vita dei giovani gazawi è scandita non dagli aneddoti che normalmente segnano le esistenze dei coetanei del resto del mondo, bensì dai bombardamenti, dal terrore e da una serie di altre circostanze traumatiche.

Ci sono periodi in cui non abbiamo l'elettricità per giorni, a volte non riesci a trovare acqua. Questo avviene quotidianamente, ma è stato davvero tragico soprattutto durante l' offensiva del 2014 e, per quanto ci si possa abituare, è disumano. Nei primi anni dell’assedio non si riusciva a reperire ciò che serviva per soddisfare i bisogni primari; io all’epoca dovetti rinunciare a studiare all’estero. Più tardi arrivò il periodo dei tunnel e a Gaza arrivava qualsiasi tipo di merce: così molti si arricchirono sfruttando i più poveri, approfittando della situazione ed i politici spinsero affinché lo status-quo non cambiasse. Anche se non partecipo attivamente alla vita politica, so bene che c’è una grande verità di fondo quando penso che siamo come merce di scambio per Israele, Hamas, Fatah, l’Egitto e vai governi in giro per il mondo. Perfino la Grande Marcia del Ritorno si è trasformata da un nobile intento degno di un premio Nobel ad un modo per chiedere ed ottenere soldi. Odio profondamente vedere tutti quei giovani che hanno perso le gambe, le mani o l’udito per un ideale che qualcun altro sta barattando in cambio di soldi: la Dignità del nostro Popolo. Tutto ciò è disgustoso!

D: La Palestina è stata spezzettata in tante aree non confinanti tra loro ed Israele continua con le demolizioni sistematiche. In questo periodo più che mai, la Palestina necessita politiche di unità. Invece Hamas, Fatah e gli altri partiti, il governo dell’ANP e quello di Gaza sembrano ignorarlo. Pensi che una riconciliazione sia possibile a breve? Come immagini e come desideri un futuro democratico per la Palestina?

M: Come ho già detto, sembra che da qualche decennio il popolo palestinese sia merce di scambio per i governi di Cisgiordania e Gaza. Voglio dire che i livelli di corruzione restano alti o probabilmente la lungimiranza e la capacità di strategia politica interna ed internazionale sono inadeguate. Negli ultimi anni ci sono stati molti tentativi di riconciliazione sia a livello internazionale sia locale (ad esempio il Centro in cui lavoro ora, ha promosso e condotto molte campagne per la riconciliazione, ma non è cambiato quasi nulla).

C’è bisogno di leader credibili, ma oggi in Palestina non ne abbiamo. Quelli che c’erano sono stati messi fuori gioco.

Quindi è tutto perso? Assolutamente no. Credo fermamente che nella gioventù risieda il potere del cambiamento. Per questo rimango in Palestina; rimango a Gaza e porto avanti il mio lavoro sulla responsabilità sociale, attraverso il quale promuovo progetti per giovani donne, affinché abbiano la possibilità di autodeterminarsi nella società. Nel nostro lavoro stiamo cercando di promuovere l'idea della partecipazione civica giovanile al processo decisionale; abituiamo i cittadini a sviluppare ed allenare le loro capacità critiche e politiche affinché imparino ad essere promotori di un cambiamento positivo a partire dalle loro comunità. Non è semplice in contesti come Gaza introdurre concetti quali la partecipazione democratica, ma è da lì che dobbiamo ripartire se vogliamo cambiare le cose.

D: Le donne palestinesi, storicamente, sono sempre state tra le più istruite del Medio Oriente e, per questo motivo, sono state a lungo tra le più libere. Le donne palestinesi sono un esempio di resistenza e lotta, non solo contro l'occupazione sionista, ma anche per la dignità e l'uguaglianza delle donne stesse. Oggi, dopo che Hamas ha preso il potere, le condizioni delle donne a Gaza sono peggiorate? Puoi spiegare in che modo il conservatorismo e il fondamentalismo hanno influenzato la vita delle donne?

M: Ad essere onesti, non è del tutto vero! Le donne palestinesi più istruite hanno continuato a pretendere il rispetto dei loro diritti e la loro condizione non è peggiorata sotto il controllo di Hamas. È assolutamente vero, invece, che l’accesso all’istruzione e la relativa qualità della stessa sono parametri che sono nettamente peggiorati sotto l’assedio, con le reltive conseguenze sociali.
Nonostante tutto, le donne palestinesi sono eccezionali! Lavorando nel mio campo, quotidianamente mi confronto con molte associazioni che lavorano con e per le donne, e posso dirti una cosa? Il numero di associazioni costituite da donne è aumentato durante il controllo di Hamas! Lascio a voi, o meglio ai posteri, l’analisi sociale di questo fenomeno.

D: Israele sta spingendo attivamente i palestinesi a lasciare la Striscia di Gaza, chiedendo ad alcuni paesi dell'Europa e del Medio Oriente di ospitarli ed offrendo di organizzare il trasferimento se accettano di emigrare senza tornare indietro; la deputata statunitense Rashida Tlaib ha subito un trattamento razzista in occasione del tentativo di visita alla nonna malata in Palestina; il “deal of the century" di Trump e Netanyahu non menziona mai il diritto al ritorno dei palestinesi, a pochi giorni dalle elezioni della Knesset Netanyahu dichiara di voler annettere ad Israele la Valle del Giordano e prende di mira gli arabi israeliani che “vorrebbero distruggere Israele”. Mi sembra che, oltre al razzismo ormai palese, ci sia anche un tentativo di barattare la dignità del popolo palestinese con un decantato benessere economico (mi riferisco soprattutto al “deal of the century”). Qual è la tua opinione a riguardo?

M: È molto chiaro. Netanyahu ha capito benissimo che la maggior parte dei giovani vuole fuggire da Gaza! D’altronde 12 anni di assedio sono serviti anche a questo. Che prospettive ha un giovane in un luogo come questo? C’è il più alto tasso di disoccupazione al mondo, la povertà è tangibile, è difficile soddisfare i bisogni primari, si muore di mille malattie e ci piovono le bombe sulla testa! Non so se hai sentito di quando due anni fa il valico di Rafah è stato riaperto dopo un lungo periodo di chiusura: chi ha potuto si è indebitato pur di far uscire i propri ragazzi da Gaza.
La generazione di mio padre e quella precedente è sempre stata scettica riguardo l’emigrazione, ma sono abbastanza certa che stiano cambiando idea anche loro. Cosa sarà di Gaza se i giovani più talentuosi andranno via? Forse si creerebbero proprio le condizioni che Israele desidera per andare avanti con le sue politiche espansionistiche e colonizzatrici: l’abbattimento dell’ultimo baluardo di resistenza ovvero quello culturale di legame con le proprie radici, ancora insito nei giovani palestinesi.

D: Non solo a Gaza, ma anche in tutta la Palestina, sembra che ci sia una tendenza negativa sui diritti delle donne e di genere. La scorsa settimana la polizia dell’ANP ha vietato l'attività di "AlQaws" per i diritti LGBTQ. Cosa sta succedendo, secondo te, e perché? E quale dovrebbe essere il ruolo dei giovani palestinesi e della comunità internazionale?

M: Non mi sento abbastanza preparata sull’argomento per poter rispondere adesso a questa domanda. Purtroppo le tematiche relative ai diritti LGBTQ sono davvero distanti dalla realtà quotidiana di Gaza.

D: Lavori al Palestinian Center for Democracy and Conflict Resolution. Puoi parlarci di questa ONG e raccontarci qual è il tuo ruolo all’interno di essa?

M: Il Palestinian Center for Democracy and Conflict Resolution è stato istituito nel 1998. Il fondatore era uno psicologo che stava lavorando in una scuola, quando scoprì di uno stupro di gruppo ai danni di una bambina di 6 anni. Quando provò a parlarne con gli studenti, gli insegnanti e le famiglie si trovò dei muri, dovuti allo stigma sociale e al timore riguardo l’argomento. Persino la famiglia della vittima rifiutò qualsiasi aiuto. Egli non si perse d’animo e portò avanti la sua battaglia a livello legale e si trovò a dover lottare persino contro la scuola per la quale lavorava, il cui unico interesse era quello di difendere il buon nome. Pertanto decise di licenziarsi ed iniziò a lavorare alacremente per costruire un centro per i Diritti Umani del quale, evidentemente, c’era assolutamente bisogno! All’inizio si focalizzò prevalentemente sulla risoluzione dei conflitti familiari, violenze domestiche ecc., oggi invece abbiamo 3 programmi:

1.       Democrazia, Diritti Umani e “good governance”

2.       Responsabilizzazione, emancipazione e protezione dei Diritti delle donne

3.       Protezione dei minori.

Sono davvero orgogliosa di far parte di questa famiglia. Il PCDCR ha apportato molti cambiamenti nella società palestinese. Negli ultimi 4 anni il PCDCR ha raggiunto degli importanti obiettivi quali aumentare la partecipazione femminile nelle cariche pubbliche dal 24% al 42% ed istituire per legge un apposito Tribunale per i minori, i quali fino a poco tempo fa venivano giudicati in Tribunali per adulti, con le stesse leggi che si applicano agli adulti. Adesso abbiamo ottenuto che per i minori vi sia la Corte Al-Rabe (istituzione facente capo al ministero dello Sviluppo Sociale). Ci facciamo carico anche di fornire a questi minori il supporto psicosociale di cui necessitano per evitare che tornino a commettere dei crimini in futuro.

D: Il prossimo ottobre sarai in Tunisia come osservatrice internazionale per le elezioni legislative. Sei stata l'unica donna di Gaza selezionata per questo ruolo. Come ti senti a riguardo?

M: Sono ovviamente felice ed orgogliosa di questo! Spero che questo sogno diventi realtà perché ho sempre paura di non riuscire ad oltrepassare il valico di Rafah.
Circa quattro mesi fa ho fatto domanda al Carter Center, inviando la mia candidatura come International Short Term Observer (STO). Come spesso accade qui a Gaza, quando inizi a sognare qualcosa, inizi contemporaneamente a scoraggiarti perchè sai bene che c’è il 95% di possibilità che il tuo sogno si infranga. Alla fine ho inviato la candidatura ed ho immediatamente dimenticato la questione.

Due mesi dopo ho ricevuto una chiamata con la quale mi informavano che ero stata selezionata.
Sono felice ed allo stesso tempo impaurita. Felice per essere stata selezionata ed impaurita perchè adesso ho un sogno e so che spesso i sogni si infrangono e muoiono sul cancello del valico di Rafah!
Qui a Gaza, prigione a cielo aperto, sono nata e cresciuta, la mia generazione è stata sfortunata in quanto la nostra vita è stata scandita dalla violenza. Non sappiamo cosa sia una vita normale.
Avevo smesso di immaginare un viaggio fuori dalla Striscia molti anni fa.
Quando ho saputo della possibilità di andare in Tunisia, i sentimenti di speranza e paura hanno iniziato ad alternarsi dentro di me, ed alla fine ho deciso di far prevalere la speranza. Non è mai troppo tardi per realizzare i propri sogni e spero che questo sia il momento giusto per me!
So che questa esperienza da osservatrice internazionale potrebbe arricchirmi molto, dato che una ragazza di Gaza della mia età non ha mai partecipato a delle elezioni democratiche. Forse un giorno anche noi palestinesi ce la faremo. Forse, passo dopo passo, i nostri giovani possono sollevarsi per fermare la divisione interna e apportare questo cambiamento.

Anche la divisione politica interna noi giovani palestinesi la viviamo come l’ennesima violazione dei nostri diritti. Tutto ciò deve cambiare e desideriamo presto delle elezioni democratiche per poter partecipare alla vita politica e fare delle scelte sulle nostre vite. Allo stesso modo le violazioni israeliane contro i palestinesi devono essere fermate subito.

D: Sarà anche il primo viaggio della tua vita. Come lo immagini?

M: Viaggiare fuori da Gaza sembra un sogno irrealizzabile per me. Sono sicura che avere quest’opportunità mi cambierà tantissimo. Potrò finalmente vedere con i miei occhi e vivere culture e società diverse dalla mia ed aprire la mia mente. Sono desiderosa anche di condividere la mia esperienza di vita con gli altri. Vorrei essere la voce del mio popolo al di là del muro. Non vedo l’ora di vedere quello che finora ho sempre immaginato: cosa c’è dopo il confine. Immagino come potrà essere vedere delle società dove c’è la pace, non ci sono conflitti, la gente è libera di scegliere, non ci sono droni in cielo e potrò dormire la notte senza essere svegliata dalle esplosioni o dal ronzio dei droni.

Forse questo potrebbe essere il primo passo verso la realizzazione del sogno che avevo da bambina, cioè diventare ambasciatrice. Vorrei essere ambasciatrice di umanità e pace.

Mi auguro anche di poter incontrare i miei amici che vivono fuori da Gaza e con i quali solitamente comunico solo grazie ad internet.

D: Come immagini il tuo futuro?

M: Ho grandi speranze e sogni ancora più grandi. Qui a Gaza si impara a vivere il presente, senza pensare troppo al futuro. La morte può arrivare in qualsiasi momento.

Il mio sogno da bambina era quello di diventare un’ambasciatrice. Non ho mai chiuso quel sogno in un cassetto e non intendo farlo.

Adesso voglio solo essere felice!