Di Wael Eskandar,articolo pubblicato su Jadaliyya.com

La vendetta dello stato di polizia

19 / 8 / 2013

La violenza in corso in Egitto ha contribuito a una situazione di confusione e polarizzazione, ma una cosa è certa: la più grande minaccia per l’Egitto è ancora il ritorno dello stato di polizia. Più specificamente, la minaccia riguarda non solo la ricostituzione dello stato di polizia, che non se ne è mai davvero andato dopo la caduta di Mubarak, ma anche il ritorno dell’implicita, se non aperta, accettazione delle pratiche oppressive dell’apparto coercitivo. Da questo punto di vista, l’attuale conflitto tra lo stato e i Fratelli Musulmani è in potenza estremamente dannoso. Il diffuso sentimento anti-Fratelli Musulmani sta conferendo allo stato la legittimità nell’uso della forza contro i Fratelli, e, nel futuro, una copertura per poter usare simili tattiche anche contro gli altri dissidenti.

Il modo in cui le forze dell’ordine hanno violentemente disperso i presidi pro-Morsy è problematico, anche se si sostiene che c’erano armi nei presidi di Nahda e Rabaa. A prescindere dall’essere d’accordo o meno con i Fratelli Musulmani o con gli obiettivi dei presidi, l’uccisione di più di cinquecento persone va contro ogni senso di decenza e moralità umana. L’uso di individui inermi come scudi umani da parte di manifestanti armati è altrettanto deprecabile e reprensibile. Ma al di là di queste considerazioni morali, ci sono anche altri punti critici.

Lo sgombero forzato di Nahda e Rabaa segna il trionfo delle soluzioni securitarie su quelle politiche – un trend tipico dei tempi di Mubarak. Raramente tali soluzioni securitarie possono risolvere i problemi se non sono accompagnate da un processo di azione politica, che sembra mancare nel contesto attuale. Non ci sono dubbi sul fatto che i leader dei Fratelli Musulmani abbiano una lunga storia di pessima capacità di dialogo, testardaggine estrema e promesse mancate sia quando erano all’opposizione che quando erano al potere. Ma proprio per questo è necessario adottare un approccio politico e ragionato nei loro confronti, mentre affidarsi a soluzioni securitarie non farà altro che indurire la loro rigidità, per non parlare dei pesanti costi umani che si accompagnano a tali misure.

Invece, i militari e il governo da loro appoggiato hanno scelto il muro contro muro securitario. Questa via rafforzerà il potere dell’apparato coercitivo senza garantire alcun risultato positivo in termini di stabilità politica. I gruppi estremisti vengono spinti nella clandestinità e questo fornirà nuove scuse ai capi della sicurezza per adottare pesanti misure di sorveglianza, interrogare, torturare e commettere abusi di potere, il tutto in totale assenza di trasparenza e controllo. Tra gli oppositori dei Fratelli Musulmani, i sostenitori della repressione accetteranno con entusiasmo il nuovo corso. Il fatto che il giro di vite abbia a quanto pare rafforzato gli elementi estremisti all’interno dei lealisti del presidente deposto è in linea con questo trend.

Alcuni potrebbero replicare che la crescente influenza dell’apparato coercitivo sarà limitata all’ambito “anti-terroristico”, ai gruppi islamisti estremi che hanno scelto la via armata. Ci sono chiari segnali che le cose non stanno così. Per esempio, appena prima dello sgombero dei presidi, generali in pensione hanno preso il controllo dei governatorati della stragrande maggioranza delle provincie. Per molti questa è una chiara indicazione della “messa in sicurezza” della politica.

Inoltre, coloro che credono che l’apparato coercitivo non oltrepasserà certi confini ignorano la lunga storia egiziana di commistione tra esercito e politica e di controllo sulla vita quotidiana dei cittadini nel nome dell’anti-terrorismo e della sicurezza nazionale. Alla luce di questo denso passato, possiamo concludere con tranquillità che i servizi segreti interni stanno rapidamente prendendosi carta bianca per entrare nelle nostre vite nel nome della sicurezza nazionale. Presto sarà chiesto agli Egiziani di sostenere il governo in qualsiasi decisione, con la scusa che il governo è sulla linea del fronte nella battaglia contro i “violenti islamisti”. I dissidenti politici di ogni orientamento diventeranno vulnerabili alle accuse di essere troppo buoni con i “terroristi”, o di fare il gioco degli “estremisti islamisti”. Gliene importerà a qualcuno in tali condizione di precarietà e insicurezza?

L’Egitto, in sostanza, sta prendendo una strada pericolosa. Ci sono molte ragioni per credere che le forze dell’ordine riporteranno la loro brutalità ai livelli dei tempi di Mubarak. La stessa istituzione della polizia non è cambiata in alcun modo, non è mai stata riformata, e non è mai stata indagata per i suoi crimini del passato. Il ministro degli interni Mohamed Ibrahim ha persino avvertito che tale ritorno è imminente, promettendo che: “L’ordine della nazione verrà restaurato com’era prima del 25 gennaio 2011, e anche di più”.

 

Gli impliciti sostenitori dello stato securitario risponderanno che non c’erano alternative, non c’erano margini per negoziati con i Fratelli Musulmani, e la soppressione violenta dei presidi era necessaria.

Tuttavia questa replica ignora gli enormi limiti della soluzione securitaria e le problematiche ad essa sottese. Chiedere alla polizia – non riformata e priva del necessario addestramento – di risolvere l’opposizione tra governo e Fratelli Musulmani è come chiedere a un macellaio di fare un’operazione chirurgica al cuore. Inoltre è lecito domandare: era necessario che la polizia se la prendesse con civili armati solo di macchine fotografiche? Era necessario sparare su raggruppamenti inermi? Era necessario lasciare senza protezione tutte le chiese che sono state attaccate dopo lo sgombero dei presidi?

Ma tralasciando i dibattiti su ciò che la polizia avrebbe o non avrebbe potuto fare, resta il fatto che la recente violenza ha solo approfondito la dipendenza del popolo dallo stato securitario, ed esenterà i politici dall’occuparsi delle varie differenze politiche. Con un aumento del conflitto settario e inter-religioso, le forze dell’ordine riassumeranno il loro tradizionale ruolo di arbitro dello scontro e la vecchia autorizzazione all’utilizzo della repressione brutale. Questo continuo senso di insicurezza non farà altro che spingere l’Egitto lontano dalla giustizia vera. Con il potenziamento della apparato coercitivo, la politica perderà la motivazione necessaria a spingere per le richieste rivoluzionarie di una riforma reale dell’establishment poliziesco. È anche probabile che l’escalation di violenza e la retorica securitaria che lo stato ha adottato renderanno dura la vita ai dissidenti che vorranno scendere in strada contro l’esercito tanto quanto contro i Fratelli Musulmani.

In vari modi, l’approccio aggressivo dei Fratelli Musulmani sta restituendo all’apparato coercitivo, coscientemente o meno, la licenza ad uccidere e reprimere nell’impunità. Ma lo stesso vale per quelli che stanno facendo il tifo per il crack down. Molti tra questi ultimi hanno criticato El Baradei per essersi dimesso da vice presidente dopo la repressione dei presidi. Ma all’interno di uno stato che vede ogni sfida come un problema di ordine pubblico, non c’è spazio per la politica.

Ora che siamo di fronte alla possibilità di un “ritorno” della polizia dei tempi di Mubarak, emergono molte domande fondamentali: è rimasto qualcosa dell’antico fervore rivoluzionario necessario a resistere questa eventualità? O l’impegno rivoluzionario è stato frustrato dal fallimento dei tentativi di stabilire un ordinamento democratico e lavato via con tutto il sangue versato?

Se una nuova ondata rivoluzionaria emergerà o meno per arginare il crescente potere dello stato securitario è una questione aperta. Ma è chiaro che la persistenza del muro contro muro tra lo stato e i Fratelli Musulmani approfondirà la “messa in sicurezza” della politica, facendo crescere la domanda di soluzioni securitarie. Non è chiaro cosa possa invertire questa tendenza, che gli attivisti rivoluzionari hanno tentato duramente di resistere. Si potrebbe argomentare che le brutali ingiustizie che la polizia tende a commettere renderanno la resistenza strutturalmente inevitabile. Ma questo suggerisce che il prezzo da pagare per una nuova vampata di resistenza sarà alto, un prezzo che Khalid Said, Jika, Mohamed al-Guindy e moltissimi altri hanno già pagato.