La tentazione della guerra

Una lettura sulla violenta giornata di Culiacán del 17 ottobre 2019

20 / 11 / 2019

In questo saggio breve, Oswaldo Zavala, autore di Los cárteles no existen, riflette sulla giornata di violenza avvenuta a Culiacán il 17 ottobre scorso. Per il giornalista e ricercatore della CUNY (Università della città di New York), in gioco c’è la continuità della “guerra contro le droghe” che cominciò con il governo di Felipe Calderón nel 2006. Illustrazione/copertina: Rapé. Traduzine a cura di Associazione Ya Basta! Êdî bese! dall'originale su perrocronico.com.

In questi giorni di violenza emisferica, ricordiamo, con il filosofo sloveno Slavoj Žižek, l’importanza di non rispondere di fretta. «Ci sono situazioni nelle quali l’unica cosa veramente “pratica” da fare è resistere alla tentazione di intervenire immediatamente e “aspettare e vedere” attraverso una paziente analisi critica».1 La giornata di violenza registrata a Culiacán il 17 ottobre deve essere affrontata con questa prudente calma. Più che cercare di spiegare con precisione i fatti, mi sembra cruciale comprendere il modo in cui sono spiegati politicamente nel complesso scenario domestico e geopolitico nei quali si inseriscono.

Nel testo che segue mi avvicino agli eventi di Culiacán come a uno scenario simbolico in cui sta perdendo fiducia la politica di pacificazione del presidente Andrés Manuel López Obrador, ma non la sopravvivenza dello stato o la sua sovranità territoriale di fronte alla minaccia dei supposti “cartelli della droga”. Dopo la sinistra spettacolarizzazione della violenza che ha sofferto la società sinaloense, in gioco non c’è la “sicurezza nazionale”, ma la continuità della “guerra contro le droghe” che cominciò con il governo di Felipe Calderón nel 2006. La singolarità di questo evento suppone un golpe mediatico che potrebbe riallineare il progetto di governo di AMLO nel paradigma neoliberale del discorso egemonico antidroga e la violenta occupazione militare del paese che implica.

Per prima cosa ripassiamo i fatti che finora si sono verificati. Secondo le versioni ufficiali e giornalistiche, il colonnello Juan José Verde Montes, capo del Grupo de Análisis de Información del Narcotrafico (GAIN) della Secretaría de la Defensa Nacional (SEDENA), presumibilmente senza autorizzazione dei suoi superiori, ordinò una operazione per arrestare Ovidio “El Ratón” Guzmán López, figlio di Joaquín “El Chapo” Guzmán, nella sua casa nel residence Tres Ríos, una zona della classe alta di Culiacán. 2 Il video e la dettagliata spiegazione di Luis Cresencio Sandoval, titolare della SEDENA, mostra come i soldati hanno prelevato Guzmán López da casa sua mettendolo contro un muro. Dopo che supposti membri del “Cartello di Sinaloa” cominciarono una serie di attacchi in vari punti della città – incluso un residence per le famiglie dei militari – l’operazione è stata sospesa e i militari hanno lasciato libero Guzmán López. In accordo con il report della BBC, lo scontro è continuato con diciannove blocchi con auto date alle fiamme e quattordici scontri con armi da fuoco in vari punti della città, incluso l’attacco a una prigione per liberare alcuni criminali.3 È stato riportato anche che nove soldati sarebbero stati sequestrati dai delinquenti. La violenza si è prolungata fino a mezzanotte circa. Ci sono stati otto morti: un soldato della Guardia Nacional, un civile, un criminale e cinque presunti membri dell’organizzazione criminale.

I media interni al Messico ed esteri hanno raccontato questi eventi innanzitutto come una sconfitta del governo federale e come una dimostrazione del potere del “Cartello di Sinaloa”. “Voi comandate”, ha affermato la rivista Proceso sulla sua copertina, alludendo ai supposti trafficanti che hanno perpetrato la violenza.4 “Il Messico perde di fronte al narco”, ha pubblicato il quotidiano spagnolo El Pais nel suo editoriale.5

Alcuni giornalisti e analisti specializzati, in tema di sicurezza hanno proposto la stessa lettura. Il giornalista Ricardo Ravelo ha confuso gli scontri più recenti tra le forze armate e i criminali per riportare una lettura catastrofica degli eventi. Ha fatto riferimento all’assassinio di tredici membri della polizia statale a Aguililla, Michoacan, successo lo scorso 14 ottobre per mano di presunti membri del “Cartello Jalisco Nuova Generazione”, assieme alla sparatoria che il giorno seguente ha lasciato per terra quattordici criminali e un soldato dell’esercito messicano a Tepochica, Guerrero. Nella sua lista, i “narcos”, senza distinzione tra regioni del paese, sono descritti come una minaccia monolitica e assoluta per lo stato e per la società civile:

“Mentre il crimine fa e disfa il paese, il Presidente Andrés Manuel López Obrdor continua senza rettificare la sua politica di non usare la forza contro i cartelli”, ha sostenuto Ravelo dando credito ai leggendari “cartelli” che hanno legittimato il discorso militarista dei governi precedenti. “Sembra che al Presidente non sia chiaro che il crimine organizzato sta mettendo in discussione il suo potere e il controllo territoriale”.6 Altri analisti sono andati anche più lontano. In diverse interviste Edgardo Buscaglia, esperto in sicurezza dell’Università di Colombia, ha detto che il “Cartello di Sinaloa”, secondo i rapporti dell’intelligence statunitense, è la terza organizzazione criminale più grande del mondo con una presenza in ottantuno paesi. Ancora più allarmista, Buscaglia ha insistito nel qualificare l’attacco di Culiacán “come atto di terrorismo e non solo di violenza organizzata”. 7

Queste interpretazioni sono rappresentative di quella che chiamo una “critica securitaria” della violenza che attualmente si sperimenta in Messico. Come è successo con molto del lavoro giornalistico e accademico più riconosciuto intorno alla “guerra contro il narco”, questa critica risponde all'era della “sicurezza nazionale” che gli Stati Uniti hanno concepito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Sotto questo paradigma, l’egemonia statunitense ha costruito scenari da guerra in molte regioni del mondo per palesare i propri interessi politici ed economici più strategici. Con la fine della Guerra Fredda, l’agenda di sicurezza nazionale ha virato fino alla “guerra contro le droghe” attraverso campagne militari per “combattere” il narcotraffico direttamente nei principali paesi dove si produce e si traffica la droga.

Durante l’Iniziativa Merida, firmata nel dicembre del 2008, gli Stati Uniti hanno destinato un pacchetto di 1,6 milioni di dollari in armamenti, tecnologie di vigilanza e comunicazione e in formazione tattica per le “guerra contro il narco” del governo di Calderón. Secondo gli investigatori accademici Will Pansters, Benjamin Smith e Peter Watt, specialisti in sicurezza, la militarizzazione degli ultimi dodici anni “ha sommato la guerra alla droga e alla violenza”.8 Calderón ci aveva avvertiti con freddezza fascista: “costerà vite umane innocenti, ma vale la pena proseguire”.9 

La sua perversa normalizzazione della violenza ha avuto da allora profonde ripercussioni nella comprensione generalizzata della militarizzazione in Messico. La narrativa della “guerra contro le droghe” è stata adottata in modo standardizzato dal giornalismo nazionale e straniero, con un vocabolario ricevuto che fino ad ora descrive i conflitti armati non verificabili in uno stato che viene definito da debole a fallito.

La più grande contraddizione del discorso sulla "guerra alla droga", tuttavia, è che la presunta minaccia dei "cartelli" ossessionava lo stato messicano già durante un declino storico del tasso di omicidi fino al 2007, come dimostra il lavoro del sociologo Fernando Escalante Gonzalbo.10 Allo stesso tempo, l’enorme spesa pubblica in sicurezza durante la decade degli anni ’90 aveva già raddoppiato le dimensioni della polizia, dell’esercito e della marina nel paese. Mi basta solo questo dato: nel 2006, il primo anno di governo di Calderón, sono stati assegnati 26 miliardi 31 milioni e 900 mila pesos all’esercito e alla forza aerea. Nel 2011, questo investimento è salito a 50 miliardi e 39 milioni di pesos. Le spese per la Secretería de Marina, è cresciuto da 9 miliardi e 100 milioni a 18 miliardi e 270 milioni nello stesso periodo.11 

La militarizzazione della “guerra alle droghe”, come già hanno dimostrato vari studi di accademici seri, ha avuto una correlazione direttamente proporzionale con l’aumento della violenza. Ricordiamo, tra gli altri, l’analisi del CIDE che ha dimostrato l’alto indice di letalità delle forze armate in Messico, superiore a quello di altre regioni colpite dal narcotraffico, come Brasile e Colombia. Tra il 2007 e il 2011, l’84% degli scontri sono stati provocati da agenti dello stato. Solo il 7% sono cominciati come aggressioni contro le forze armate.12

Così si capisce l’arresto “senza sparare un colpo” di “El Chapo” Guzmán nel 2014 che ha “forato” il “quasi mitico status” del trafficante.13 

Nel gennaio 2016, il trafficante si è visto obbligato a strisciare nella merda per fuggire attraverso le fogne, l’ultima volte che è stato catturato nello stato di Sinaloa, è stato tenuto in un motel seduto sul letto mentre la polizia federale aspettava i rinforzi della marina.14 

Sappiamo che “El Chapo” ha passato un anno detenuto in carceri del paese fino a che è stato estradato negli Stati Uniti senza che nessuno ostacolasse questo processo. Il giudizio a cui è stato sottoposto “El Chapo” a New York ha rivelato allo stesso modo i limiti dell’organizzazione del trafficante. Tuttavia, il discorso ufficiale statunitense nel giugno di quest’anno insisteva nel fatto che i cartelli messicani generano fino a 500 miliardi di dollari annualmente, superando anche gli introiti di multinazionali come Walmart.15 

La realtà è un’altra: ad oggi né le autorità degli Stati Uniti né quelle del Messico hanno potuto rintracciare alcun conto bancario che giustifichi i 14 miliardi di dollari che “El Chapo” avrebbe trasferito, in contanti, con camion dalle strade degli Stati Uniti fino alle montagne del triangolo d’oro.16 Tale somma di denaro, derivante dalla somma dei sequestri droga e denaro che le autorità hanno fatto al presunto cartello di Sinaloa durante i circa venticinque anni della carriera criminale di “El Chapo” Guzmán, contraddice le stime del governo degli Stati Uniti che spesso circolano senza prove a sostegno. Ma il business del “cartello di Sinaloa” non compete nemmeno col mercato legale della marijuana statunitense, che per la fine di questo 2019 produrrà profitti fino a 16 miliardi di dollari.17 Comparando queste cifre se ne deduce che la marijuana legale supera in dodici mesi i venticinque anni del presunto monopolio di cocaina di “El Chapo”. Fino agli eventi di Culiacan, non c'era stata una così esplicita espressione di violenza attribuita a un "cartello" in una città o in una regione del paese. Al contrario, la minuscola operazione dell’esercito messicano che ha provato ad arrestare il figlio di “El Chapo” ha fatto esplodere una mobilitazione spettacolare “come se l’intenzione fosse quella di circondare quella zona”, secondo quanto riportato dal sito Aristegui Noticias. Le sparatorie e i blocchi sono stati accompagnati da informazioni false e da immagini e video di conflitti armati in Turchia e Brasile, che sono circolati nelle reti sociali distorcendo la portata della violenza a Culiacán.18 In rete è apparso anche un presunto comunicato del “cartello di Sinaloa” in cui ringraziava AMLO per la sospensione dell’operazione e in cui si scusava con i cittadini di Culiacán per la violenza scatenata. Insieme alle fake news, sono circolati video reali registrati dai cittadini con telefoni cellulari. In uno dei più suggestivi si vedono due persone a bordo di un pick-up con una potente mitragliatrice calibro 50 montata sul retro. La performance della violenza ricorda qui il concetto di “violenza organizzata”, per mezzo del quale, secondo i ricercatori Dawn Paley e Simon Granovsky, gruppi armati non identificati attuano sotto interessi politici e imprenditoriali come forze paramilitari in subappalto.19 Come ha dimostrato il lavoro giornalistico di Federico Mastrogiovanni e Ignacio Alvarado, l’occupazione militare e il fenomeno della paramilitarizzazione in Messico è stato un veicolo per la spoliazione e appropriazione illegale di terre che permette l’avanzata ai grandi progetti di estrazione di risorse naturali come gas, petrolio e miniere.

Dopo la conferenza mattutina del 30 ottobre 2019, abbiamo compreso che l’operazione era stata ordinata dal Grupo de Análisis de Información del Narcotráfico (GAIN), del quale non esistevano informazioni pubbliche fino a quel momento. Creato nel 1995, questo gruppo è stato uno degli strumenti della “guerra al narco” dei governi di Calderón e Peña Nieto. In quegli anni si è intensificata la sua attività: tra il 2006 e il 2009 sono state effettuate 588 detenzioni di trafficanti  per un totale di 663 autorizzate dalla sua creazione.20 Il GAIN, ci è stato riferito, stava lavorando alla detenzione di Ovidio Ovidio Guzmán da mesi e attuò il piano a Culiacán senza informare i suoi superiori e senza che AMLO ne fosse al corrente, come ha riconosciuto lo stesso presidente.21 A questo aggiungiamo che, in accordo con vari mezzi di comunicazione, ci furono circa cento delinquenti che hanno fatto uso delle proprie armi e che hanno bloccato le strade della città, mentre a Culiacán si contavano approssimativamente 800 militari “con una maggior capacità di far fuoco”.22 

Altri 230 soldati furono inviati alla caserma della Novena Zona Militar, che si trova a undici minuti di auto dalla colonia Tres Ríos dove venne effettuata l’operazione di cattura del figlio de El Chapo. Se consideriamo che il GAIN dispone di un’estesa esperienza operativa di oltre vent’anni, la quale copre gli ultimi cinque governi del Messico, come è stato possibile che si siano commessi così tanti errori a Culiacán anche se si superava in numero e addestramento i presunti trafficanti del “cartello di Sinaloa”?

Secondo i dati ufficiali, tra il primo dicembre e il 26 ottobre, il GAIN, aveva già arrestato quarantasei trafficanti.23 Se né il Presidente né il suo gabinetto di sicurezza approvarono l’operazione a Culiacán, dobbiamo presumere che un settore della SEDENA continui portare avanti per conto proprio la “guerra al narco” contravvenendo così alla esplicita politica di pacificazione di López Obrador? Quel settore dell’esercito avrà a che vedere con il presunto malcontento generalizzato che si è manifestato tra le forze armate a seguito del fallimento dell’operazione a Culiacán, così come ha rivelato in una recente intervista Sergio Aponte Polito, generale di divisione in pensione e che per tre decenni è stato a capo di operazioni militari antinarcotiche in tutto il paese?24 Quel settore è legato con la rivendicazione di Carlos Demetrio Gaytán, anche lui generale di divisione in pensione ed ex sottosegretario della Difesa del governo di Calderón, il quale affermò durante una colazione il 22 ottobre con il titolare della SEDENA, che i soldati si sentivano “parte lesa” e “offesi” dalle “decisioni strategiche che non avevano convinto tutti, per dirlo con dolcezza?” 25 È a loro che si riferisce AMLO quando, il 2 novembre dal suo account Twitter, afferma che la maggioranza nel paese “non permetterà una altro colpo di stato” come quello che rovesciò Francisco Madero nel 1913?

Un altro dato esige un’altra tipologia di domande: il settimanale Río Doce riportò che Uttam Dhillon, direttore provvisorio della DEA (Drug Enforcement Agency), visitò Culiacán il 16 settembre scorso per riunirsi in privato con il governatore priista del Sinaloa, i comandanti della Novena Zona Militar e della Tercera Región Militar, i rappresentanti della Guardia Nazionale e della Segreteria della Marina.26 Secondo il giornalista Óscar Balderas si trattò di un viaggio di un’intera delegazione della DEA per fare pressioni sul governo del Messico affinché si impegnasse a continuare a combattere la guerra al narcotraffico, specialmente nel Sinaloa.27

Tra tutti questi dubbi che sorgono a partire dalle informazioni che abbiamo raccolto finora, AMLO ha convalidato il suo rifiuto alla militarizzazione antidroga. In questo senso risulta verosimile la spiegazione che il suo gabinetto di sicurezza ha fornito: l’operazione fallimentare è stata cancellata non per timore nei confronti dei trafficanti, quanto “per proteggere la vita delle persone”. “La strategia che è stata applicata anteriormente ha trasformato il paese in un cimitero”, ha detto AMLO. “Non si può spegnere il fuoco con il fuoco, questa è la differenza di strategia in relazione a quella applicata dai governi precedenti. Noi non vogliamo morti, non vogliamo la guerra. Tutto ciò comporta uno sforzo per comprenderlo”.28 Il segretario della Sicurezza e Protezione Cittadina, Alfonso Durazo, è stato tuttavia molto più forte: “A Culiacán sarebbe stato molto più facile ricorrere a una strage e alla fine dei conti avremmo vinto, ma a che costo?”.29 La decisione di non inasprire la militarizzazione a Culiacán per arrestare il figlio di El Chapo sembra rielaborare la massima di Confucio: “non conta il colore del gatto, conta che acchiappi il topo”.

Secondo un’inchiesta condotta dal El Financiero, AMLO gode di un’approvazione del 67% anche dopo i fatti di Culiacán. Tuttavia, il 57% dei consultati pensa che il “crimine organizzato” abbia vinto la battaglia.30 Il rischio di questa opinione, ogni volta più generalizzata, è che possa condurre ad un ritorno della militarizzazione, deliberatamente o no. Qui l’ultima domanda è al tempo stesso la più importante: quali sono gli interessi di cui si beneficerebbe con il ritorno della “guerra alla droga”? In primo luogo, l’egemonia statunitense che ha strumentalizzato la militarizzazione come un efficace modo di intervento nella nostra politica domestica, quello che María José Rodríguez Rejas ha definito come la “nordamericanizzazione della sicurezza in America Latina” e che si è manifestata in quella strana visita della DEA a Culiacán nel mese scorso.31 Con loro, avanzano le élites politico-imprenditoriali, nazionali e transnazionali che approfittano della guerra con finalità politiche ed estrattiviste. Alla fine, tra i beneficiari ci sono anche le forze armate, la cui presenza sempre più evidente nella vita democratica del Messico, come avverte l’antropologa Kristin Norget, “si è convertita in una formidabile forza politica” che cresce ina maniera sproporzionata insieme alle voci di bilancio in nome della “sicurezza nazionale”.32

Permettetemi una riflessione tardiva come conclusione. Comprendendo come il presidente Richard Nixon era disposto a continuare una guerra senza senso per non dover pagare il prezzo politico di “perdere” in Vietnam, l’analista militare Daniel Ellsberg rivelò ai mezzi di comunicazione i segreti di quel fallimento con i Pentagon Papers che sconvolsero gli Stati Uniti nel 1971. Nel rileggerli, il giornalista e intellettuale Jack Beatty scrisse che il monito riguardante i pericoli della guerra nella storia statunitense lo articolò per primo James Madison, il quale temeva che i presidenti potessero “fare la guerra” per convenienza se quella facoltà fosse stata loro e non del Congresso. “La tentazione era troppa per qualsiasi uomo”, scrisse Beatty.33 Certamente lo è stata per presidenti come Calderón e Peña Nieto. Speriamo che non lo sia per Andrés Manuel López Obrador.

1 Slavoj Žižek, Violence. Six Sideways Reflections (New York: Picador, 2008, p. 7).
2 Neldy San Martín, “El responsable del operativo en Culiacán no solicitó autorización, informan”, Proceso, 31 de octubre, 2019.
3 Alberto Nájar, “Culiacán: cómo se vivió el jueves infernal que aterrorizó a la capital de Sinaloa”, BBC News Mundo, 19 de octubre, 2019.
4 Proceso, “Culiacán. Ustedes mandan”, 20 de octubre, 2019.
5 “México fracasa ante el narco”, El País, 18 de octubre, 2019.
6 Ricardo Ravelo, “AMLO: Palabras contra metralla”, Sin Embargo, 18 de octubre, 2019.
7 Cintia Sánchez Aguilar, “Lo ocurrido en Culiacán fue un acto de terrorismo: Edgardo Buscaglia”, Así el Weso, W Radio, 21 de octubre, 2019
8 Will G. Pansters, Benjamin T. Smith y Peter Watt, eds. Beyond the Drug War in Mexico. Human Rights, the Public Sphere and Justice (New York: Routledge, 2018) 2-3.
9 Redacción, “Mientras AMLO salva vidas inocentes Calderón decía que se perderían pero valdría la pena”, El Heraldo de México, 20 de octubre, 2019.
10 Fernando Escalante Gonzalbo, “Homicidios 2008-2009. La muerte tiene permiso”, Nexos, 1 de enero, 2011.
11 Jesús Aranda, “En la lucha de Calderón contra el narco, Sedena y Semar duplicaron su presupuesto”, La Jornada, 6 de septiembre de 2011.
12 Manuel Hernández Borbolla, “Guerra contra el narco ‘perfeccionó’ letalidad de fuerzas armadas”, The Huffington Post, 1 de febrero de 2017.
13 Carrie Kahn, “El Chapo’s Arrest Punctures Drug Lord’s Near-Mythical Status”, NPR, 23 de febrero, 2014.
14 Azam Ahmed, “Los detalles de la gran cacería para capturar al ‘Chapo’ en México”. The New York Times, 16 de enero, 2016.
15 Salvador Rizzo, “Do Mexican drug cartels make 500 Billion a year?” The Washington Post, 24 de junio, 2019.
16 Alberto Nájar, “México: dónde está la fortuna del Joaquín “El Chapo” Guzmán, uno de los hombres más ricos del planeta”, BBC Mundo (10 de mayo, 2017).
17 Don Reisinger, “The Legal Marijuana Industry Is Soaring—And 2019 Could Be Its Best Year Yet”, Fortune (27 de diciembre, 2018).
18 Gisela Pérez de Acha, Rubén Tamayo y Sergio Beltrán-García, “Evidencia y ‘fake news’ del operativo fallido en Culiacán”, Aristegui Noticias, 22 de octubre, 2019.
19 Dawn Paley and Simon Granovsky-Larsen, Organized Violence. Capitalist Warfare in Latin America (Regina, Canada: University of Regina Press, 2019, p. 11).
20 Jannet López Ponce, “Destapan la existencia de grupo military ‘cazacapos’”, Milenio, 31 de octubre, 2019.
21 Arturo Rodríguez García, “López Obrador reconoce que no estaba informado del operativo en Culiacán” Proceso, 22 de octubre, 2019.
22 Roberto Rock L., “Culiacán: la historia que se abre paso”, El Universal, 22 de octubre, 2019.
23 Redacción, “Grupo de Análisis de Información del Narcotráfico de Sedena planeó captura de Ovidio Guzmán”, Aristegui Noticias, 30 de octubre de 2011.
24 José Raúl Linares, “Hay ‘enojo y decepción’ en el Ejército, advierte el general Sergio Aponte”, Proceso, 3 de noviembre, 2019.
25 Redacción, “Cuestiona general ‘decisiones estratégicas’ del Ejecutivo que ‘no han convencido a todos’”, Aristegui Noticias, 30 de octubre, 2019.
26 Marcos Vizcarra, “La DEA visita Sinaloa”, RíoDoce, 16 de septiembre, 2019.
27 Redacción, “Operativo en Culiacán, inició 36 días antes con viaje secreto de la DEA a México”, MVS Noticias, 23 de octubre, 2019.
28 Redacción, “‘No puede valer más la captura de un delincuente que la vida de las personas’, argumenta AMLO tras liberación de Ovidio Guzmán”, Aristegui Noticias, 18 de octubre, 2019.
29 María Fernanda Navarro, “Habríamos ganado en Culiacán, pero no quisimos exterminio: Durazo”, Forbes, 30 de octubre, 2019.
30 Alejandro Moreno, “Aprobación de AMLO resiste ‘efecto Culiacán’”, El Financiero, 22 de octubre, 2019.
31 María José Rodríguez Rejas, La norteamericanización de la seguridad en América Latina (México: Akal, 2017).
32 Kristin Norget, “Caught in the Crossfire. Militarization, Paramilitarization, and State Violence in Oaxaca, Mexico”, When States Kill. Latin America, the U.S., and Technologies of Terror, Cecilia Menjívar y Néstor Rodríguez, eds. (Austin: The University of Texas Press, 2005) 123.
33 Jack Beatty, “The Temptation of War”, The Atlantic, octubre, 2002.

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