La pace in Siria non passa per Astana

25 / 1 / 2017

I “Syria Talks” tenutesi nella capitale kazaka, Astana, tra lunedì 23 e martedì 24 gennaio, organizzati e supervisionati da Russia, Iran e Turchia hanno fatto emergere una verità che ormai è davanti agli occhi di tutti: il Presidente siriano Bashar Al-Assad sta vincendo la guerra anche se la vittoria finale è ben lontana dall’essere dichiarata. 

Lo sforzo dei diversi leader si è concentrato soprattutto sul mantenere effettivo il già fragile accordo diplomatico e militare siglato lo scorso 29 dicembre. La conferenza infatti, nel suo comunicato finale, annuncia la creazione di una commissione trilaterale il cui compito principale è quello di vegliare e intervenire per mantenere attivo il cessate-il-fuoco. I tre componenti di questa commissione saranno, guarda caso, Russia, Iran e Turchia, i quali agiranno di concerto e valuteranno insieme i prossimi passi, politici e militari, diretti ad una soluzione del conflitto siriano. Va aggiunto che né il governo siriano, tramite il suo rappresentante, né i portavoce dei maggiori gruppi di opposizione presenti ad Astana hanno approvato la risoluzione finale.

L’aspetto più importante della conferenza, se c’era bisogno di dirlo, è rappresentato dal ruolo della Russia che dal giorno in cui è intervenuta militarmente al fianco di Assad è diventata il paese più potente ed influente impegnato in Siria. Tanto che il vero successo per i russi è la firma di un doppio accordo sul comodato d’uso di due basi fondamentali per l’apparato militare in Medio Oriente, ovvero la base navale di Tartus e la base aerea di Khmeimim.

Un altro fattore politico rilevante emerso dalla conferenza di Astana è il ri-posizionamento strategico della Turchia rispetto ai precedenti colloqui di Ginevra. Fino a pochi mesi fa, infatti, il paese anatolico è stato il più importante alleato delle opposizioni armate siriane, Isis compreso, da cui ha tratto enormi vantaggi politici e militari, nonché economici, lasciandolo loro usufruire del proprio confine meridionale come punto di entrata e di uscita. Il cambiamento politico dell’amministrazione turca riguarda soprattutto la posizione su Assad: se fin dal 2011 la condizione prima e indispensabile per la soluzione del conflitto era la dipartita del presidente siriano, ora egli è diventato un punto saldo di questa nuova strategia ed una persona con cuoi fare taciti accordi militari (vedi Al-Bab).

Le parole del vice Primo Ministro turco Mehmet Simsek a riguardo sono eloquenti: “I fatti sul campo sono cambiati drasticamente (vedi Aleppo) e noi dobbiamo essere pragmatici e realisti. La Turchia non insisterà più su un regime change a Damasco”.

Su un fronte i paesi promotori dei “Syria Talks” si sono dimostrati uniti: la lotta al terrorismo di Isis e Fateh al-Sham, ex Al-Nusra e Al-Qaeda in Siria. L’Isis, seppur attaccato ormai su tutti i fronti, ha dimostrato negli ultimi giorni di aver ancora una temibile forza militare e un’invidiabile capacità riorganizzatrice riuscendo a conquistare Palmira per la seconda volta. Inoltre, proprio in questi giorni, Isis sta lanciando una serie di attacchi mirati contro Deir Ezzor, nel sud del paese ed ultimo baluardo governativo nell’area.

Ma se è vero, come ci dicono, che uno degli obiettivi della conferenza di Astana è quello di riportare la pace in Siria, contemporaneamente combattendo Isis e Al-Nusra sorprende, ma non è del tutto una sorpresa, l’assenza al tavolo dei negoziati dei rappresentanti della Federazione del Nord Siria-Rojava e delle Forze Democratiche Siriane (SDF).

La risposta dello YPG, che delle SDF è la componente maggioritaria, non è tardata ad arrivare: “ Il meeting di Astana è promosso da Russia, Iran e Turchia, cioè coloro che sono maggiormente coinvolti in Siria e sono parte delle cause del conflitto siriano. L’unica soluzione -prosegue il comunicato- per la Siria è la soluzione democratica ed essa non potrà mai vedere la luce finché tutte le parti presenti sul campo non saranno sedute attorno al tavolo dei negoziati.” 

Se una delle parole d’ordine ad Astana è stata guerra al terrorismo sembra, sempre di più, inaccettabile e controproducente l’esclusione dai negoziati delle Forze Democratiche Siriane, coloro che hanno pagato e pagano tutt’ora il prezzo più alto nella lotta all’Isis.

“Le decisioni prese ad Astana senza la nostra presenza” aggiunge il co-presidente del Pyd Saleh Muslim “non porteranno a nessuna soluzione e soprattutto non saranno vincolanti per noi”.

Il prossimo round - dopo la prima tornata di colloqui di pace ad Astana - entrerà in scena a Ginevra il prossimo 8 febbraio. Mosca, Ankara e Teheran, nel comunicato finale, hanno detto che appoggeranno le prossime negoziazioni. Così, le tre super potenze si autoproclamano ancora protagoniste dei negoziati, e si continua a fare i conti senza tutti gli attori in campo, cosa che evidentemente non basterà a sostenere la fragile tregua entrata in vigore il 30 dicembre scorso e trovare una "soluzione politica globale" al conflitto che in sei anni ha provocato 310 mila morti.