La discriminazione “inesistente”.

Lo “straniero” in Tunisia. Intervista a Tourè Blamassi, AESAT - Association des etudiants et stagiaires africains en Tunisi

5 / 2 / 2014

Il razzismo in Tunisia è orfano. Manca di riconoscimento, manca di responsabilità.  

Nessun padre sembra conferirgli un nome. Il principale problema della discriminazione razziale appare quindi  il suo stesso misconoscimento  poichè , se nessuno è responsabile di ciò che non esiste, nessuno combatterà per mettere fine a ciò di cui non si riconosce l’esistenza.

Per  gli immigrati stranieri provenienti dall’ altra parte della “cortina-Sahara” la vita in Tunisia non è priva di discriminazioni. La corsa dietro un taxi può rivelarsi inutile grazie ad  un «no noirs» dell’autista e un amore “meticcio” tra una persona bianca ed una nera è per lo più  scomodo, imbarazzante, non accettato.

Secondo Tourè Blamassi , presidente dell’associazione Aesat (Association des etudiants et stagiaires africains en Tunisie) per spiegarsi tutto ciò bisogna porsi una sola domanda : Perché la  Tunisia non si sente africana?

La risposta non è facile ma non la si può che cercare nella complessità che il concetto stesso  di “identità africana” impone  e  che Tourè  definisce sulla base degli stessi confini geografici del continente nero e nella sua libertà da frontiere interne.

 È nella impermeabilizzazione delle frontiere geografiche e culturali che si deve, a suo avviso, ravvisare il seme del razzismo tunisino.

 In primo luogo nella così detta incompatibilità tra l’identità arabo-musulmana e quella africana che fa dei tunisini i cittadini del “continente Mediterraneo”.

Successivamente nella risposta politica ai flussi migratori  che ha portato agli accordi tra Italia e Tunisia del maggio 2004 i quali, oltre a consentire l’apertura di una zona di libero scambio, hanno portato importanti investimenti italiani sul suolo tunisino che si sono tradotti nel rafforzamento del muro militare sulla frontiera-mediterraneo.

Tutto ciò mostra la “mobilità” delle frontiere stesse che, atte ad imporre un’inclusione esclusiva sia geografica che razziale, sono sottoposte  al giogo della potenza (economica) di turno: il Sahara per la Tunisia, le coste  tunisine per l’Italia.

Sono queste le spiegazioni che Taurè Blamassi fornisce per inquadrare il problema dell’esistente razzismo in Tunisia.  La situazione,  come è ovvio, non è semplice ma la sua associazione, AESAT, nata sotto il regime di Ben Ali con lo scopo di creare una rete di solidarietà tra gli studenti provenienti da altre parti dell’Africa presenti in Tunisia  lavora affinché si sviluppi una maggiore consapevolezza sociale sul tema del razzismo e delle discriminazioni.

L’associazione in questi tre anni del post-rivoluzione ha ampliato gli obbiettivi e le azioni.

 Ha investito  sempre di più sulla promozione della cultura africana, necessaria per confutare l’idea di una  incompatibilità tra identità araba ed africana,  e sul diritto allo studio e al lavoro per gli stranieri le cui tasse universitarie sono il doppio di quelle dei cittadini tunisini e il cui accesso al mondo del lavoro è impedito da una legge nazionale del 1968 che non prevede la possibilità per gli studenti stranieri presenti in Tunisia di rimanere  nel paese per lavorare .

Sono numerose le associazioni come Aesat che, in questa fase di transizione, con fatica e determinazione  stanno lavorando sul territorio tunisino affinchè si sviluppi una cultura della solidarietà e della tolleranza capace di modificare lo sguardo che posiamo sugli altri.

(dalla delegazione di Ya Basta Perugia a Tunisi)