La crisi dell’India è la nostra crisi

6 / 5 / 2021

Riprendiamo un articolo pubblicato da "Red Pepper" che analizza la crisi sanitaria in India. L'attuale situazione, evidenzia il bisogno di una strategia globale e coordinata di vaccinazione industriale, sostiene Luke CooperTraduzione di Marco Miotto.

L’India è stata aggiunta alla “lista rossa” del Regno Unito. Mentre il paese asiatico ha stabilito un record globale per i numeri di casi segnalati in un solo giorno e aumentano le segnalazioni di carenza di ossigeno e di ospedali che diventano sovraffollati, a un anno dallo scoppio di questa pandemia potremmo essere di fronte ad una crisi ancora più grave.

La “lista rossa”del governo britannico sulle restrizioni sui viaggi equivalgono a un divieto sulla maggior parte degli arrivi (sono permessi gli arrivi da parte di cittadini britannici ed irlandesi se soggetti ad una quarantena obbligatoria negli alberghi). Queste restrizioni hanno goduto del supporto degli attivisti e degli scienziati ma pongono l’accento su preoccupanti interrogativi riguardo al futuro.

Queste restrizioni sono senza dubbio una macabra necessità, in quanto misure temporanee di emergenza. Vi è però un chiaro rischio che diventino gradualmente l’opposto: una tendenza a un mondo di restrizioni semi-permanenti sempre più eclatanti sugli spostamenti delle persone tra un confine e l’altro. Nel caso del Regno Unito e dell’India – come in molti altri casi – questo comporterà un impatto umano devastante, dovuto ai legami famigliari e di diaspora che legano questi due paesi. Insieme agli altissimi costi della quarantena obbligatoria negli alberghi britannici, questo introduce una sorta di apartheid frontaliero basato sulla classe economica: i cittadini ricchi possono ritornare, seppur con l’inconvenienza della quarantena obbligatoria, mentre la maggioranza della gente è chiusa fuori.

Non possiamo permettere che queste misure diventino semi-permanenti. Esse dimostrano come, sempre di più, noi ci troviamo davanti a una scelta difficile fra un nazionalismo pandemico viziato e l’unica via di uscita efficace da questa crisi di tutta l’umanità: la cooperazione internazionale.

La crisi dell’India ha evidenziato come, nel nostro mondo altamente interconnesso, “nessuno sia al sicuro finché noi tutti siamo al sicuro”. Infatti, l’India è un esempio della fragilità di tutte le società di fronte a questa pandemia. All’inizio di marzo il governo aveva dichiarato di essere nella “fase finale” del Covid – 19. Ma una troppo pronta riapertura, che ha incluso delle elezioni regionali che hanno coinvolto 186 milioni di persone ed eventi sportivi di massa senza distanziamento sociale, ha portato a una rapida recrudescenza del virus. In alcune parti del paese i casi stanno raddoppiando ogni cinque giorni. Un rapporto del Lancet ha avvertito che i decessi giornalieri potrebbero arrivare a 2.320 entro giugno, a meno che non vengano introdotte misure contenitive veloci e severe.

Orientalismo e disuguaglianza vaccinale

Quando i media occidentali coprono le crisi che colpiscono i paesi non occidentali, spesso trovano difficile resistere di cadere nell’impostazione predefinita dell’orientalismo. Questo si riferisce a una narrativa e a un inquadramento strutturale che presuppongono un certo livello di superiorità occidentale, che esagera la differenza fra “oriente” e “occidente” e che sensazionalizza la vita nei paesi “esotici” che compongono le nazioni e le regioni dell’Asia e del sud globale. Il Guardian, ad esempio, ha scelto di redigere un pezzo intero dal punto di vista di una famiglia australiana sana e bianca in auto-isolamento nella “zona di guerra” di Bangalore.

In realtà gli errori commessi dall’India sono molto simili agli errori commessi, in diverse fasi di questa crisi, da altre nazioni – specialmente dal Regno Unito e dagli stati Uniti, ma anche più recentemente, dalla Francia che ha fatto passare troppo tempo prima di imporre il lockdown durante l’ultima ondata.

Fortunatamente la svolta vaccinale significa che ora c’è una via di uscita farmaceutica dalla crisi pandemica. Gli ultimi dati mostrano che i vaccini abbattono i tassi di infezione. La Oxford University ha scoperto che una dose dei vaccini Astra Zeneca e Pfizer riducono il rischio di infezione del 65%. Tuttavia, quando la produzione fallisce di soddisfare la domanda globale il successo comporta dei rischi morali.

Gli Stati con accesso ai vaccini potrebbero presto raggiungere l’ “immunità di gregge”, chiudere i confini e proteggere la popolazione. Potrebbero poi fare un passo indietro e stare a guardare mentre il virus si diffonde rapidamente per il resto del mondo. Questo non solo sarebbe moralmente sbagliato, ma sarebbe anche contrario agli interessi a lungo termine di queste società. Aggraverebbe il danno all’economia globale (nuocendo in tal modo quegli stati che hanno preso questa strada nazionalistica) e incrementerebbe la probabilità che le mutazioni virali possano sviluppare un certo grado di resistenza ai vaccini.

Mentre nessuno appoggia apertamente questa politica del rubamazzo, vi è il pericolo che alcuni Stati stiano scivolando, un po’ per sbaglio un po’ per disegno, verso questo approccio. Nel Regno Unito la vaccinazione interna e il controllo delle frontiere sembrano essere le principali priorità del governo.

L’unica via di uscita dalla crisi pandemica è l’alternativa: condividere la tecnologia e investire nella capacità manifatturiera globale, con lo scopo di fornire il programma di vaccinazione più ampio e più rapido che il mondo abbia mai conosciuto. Questo rientra nel nostro potere se decidiamo di cooperare.

Condividere i vaccini

L’orientalismo presuppone che gli stati dell’ “est” e dell’ “eest” (stati dell’europa orientale e del medio oriente) non abbiano le stesse esperienze e sfide condivise. Tra le altre cose questo è un elemento difficile da inquadrare nell’ascesa dell’autoritarismo che ha avvelenato, in egual misura, la politica cinese, indiana, americana ed europea. Anche fra politici progressisti e movimenti progressisti vi è una forte tentazione a perseguire politiche che mettono gli abitanti di questi stati al primo posto (America First, ecc.). Negli Stati Uniti Biden ha inizialmente mantenuto il blocco di Trump su tutte le esportazioni di vaccini sulle materie prime. Di fronte alla propria crisi interna, l’India ha seguito l’esempio americano imponendo un blocco analogo e che dispiegherà una spirale di comportamenti analoghi, a meno che gli stati non decidano di cooperare.

L’India ha bisogno di essere al centro di una strategia industriale globale e coordinata. Il Serum Institute è il più grande centro di fabbricazione di vaccini al mondo e, in tempi normali, il paese contribuisce al 60% della produzione globale di vaccini. Prima del blocco l’India aveva esportato 60 milioni di vaccini – e le sue 138 milioni di dosi domestiche erano seconde, in termini assoluti, solo agli Stati Uniti. Tuttavia, il Serum Institute ha dichiarato che non sta funzionando a pieno regime e si è rivolto direttamente all’amministrazione Biden per revocare il blocco sulle materie prime vaccinali. Solo ora, di fronte all’ultima crisi, l’amministrazione Biden ha acconsentito ad inviare all’istituto indiano le forniture vitali.

Cambiare l’attuale modello di produzione significa mappare e capitalizzare su tutta la capacità produttiva globale disponibile. Richiederebbe poi la sospensione dei brevetti dei vaccini Covid – 19 e la provvigione dello strumentario ai produttori globali per aderire alla corsa per proteggere il mondo.

Sostenuta dall’ OMS (WHO), questa non dovrebbe essere vista come una proposta radicale. Il Sud Africa e l’India hanno portato questa proposta all’OMC (WTO), capeggiando una coalizione di stati che richiedono la sospensione delle regole sulla proprietà intellettuale dei vaccini Covid – 19. L’opposizione dannosa da parte degli stati più ricchi sta diventando sempre più insostenibile, a fronte del fallimento dell’attuale sistema a soddisfare la domanda globale.

Le leggi datate sulla proprietà intellettuale, le quali danno la priorità al monopolio privato a discapito della condivisione della tecnologia, devono essere messe da parte nell’interesse della salute pubblica globale. In particolare il settore farmaceutico americano ha assunto una posizione dominante nei vaccini Covid – 19 con una gamma intera di prodotti: Moderna, Johnson & Johnson, Novax, CureVac e Pfizer (quest’ultimo prodotto in collaborazione con l’azienda tedesca BionTech). Tuttavia queste aziende non hanno aderito al Technology Access Pool dell’OMS, il quale ha lo scopo di condividere la conoscenza scientifica e manifatturiera per uscire dalla crisi il più presto possibile.

Questo rende l’amministrazione Biden fondamentale per la situazione globale. Il governo statunitense, effettivamente, ha dei canoni sulle licenze dei brevetti su tutti i vaccini americani – attualmente solo Pfizer paga il canone. Considerando questo fatto, il controllo monopolistico è ingiustificabile. La scorsa settimana, in una straordinaria lista, 170 ex capi di stato hanno esortato gli Stati Uniti a sospendere i brevetti. Crucialmente, questa non è una questione di beneficenza ma di egoismo illuminato. Intraprende la sola via pratica, basata sulla cooperazione e sulla governance globale, per uscire dalla crisi pandemica.

Liberalizzando le regole sui brevetti e condividendo la tecnologia, la produzione può crescere nel mondo per soddisfare il livello eccezionale di domanda per queste medicine. La significativa capacità produttiva vaccinale dell’India può giocare un ruolo fondamentale in questo sforzo. L’alternativa, un mondo di confini chiusi e apartheid vaccinale, sarebbe tremendamente dannosa per tutti gli stati mondiali.

Credit foto: Covid-19 testing centre in Warora, Maharashtra. Photo: Ganesh Dhamodkar/Wikimedia Commons