La Corea del Nord attacca perchè colta in flagrante

24 / 11 / 2010

Colto nel vivo del suo programma nucleare, l'erratico regime nordcoreano ha risposto con l'unico strumento di cui veramente disponga per salvaguardare la propria statura geostrategica, ovvero la sua stessa esistenza.

Questo strumento, ovviamente, è la minaccia bellica nei confronti dell'altra metà della penisola.

Per capire come questa minaccia sia concreta, non occorre contemplare il triste scenario delle rovine fumanti sull'isola sudcoreana di Yeonpyeong, i cui abitanti (civili) hanno la sventura di sedere sul disputato confine marittimo che da quasi sessant'anni separa le due Coree.

Basta misurare la distanza irrisoria che separa la vibrante e ipermoderna Seoul dalla selvaggia zona demilitarizzata che fa da cornice ad una delle frontiere più sorvegliate e desolate della terra.

Un viaggio di 40 kilometri che porta indietro di 40 anni, al periodo più buio e teso della cortina di ferro.

La contiguità geografica è il grande asset strategico di un paese armato fino ai denti, che non ha bisogno di armamenti atomici per infliggere danni umani e materiali intollerabili all'opinione pubblica di una democratizia quale la Corea del Sud.

Ma che, ciò nonostante, persegue attivamente la bomba, nella consapevolezza che solo un arsenale nucleare può assicurare la deterrenza necessaria a non essere annichilito in caso di guerra con Seoul – alias con gli Usa, che in Corea del Sud mantengono oltre 20 mila truppe.

Ipotesi remota se vista da lontano, ma niente affatto peregrina agli occhi dei coreani.

L'intollerabilità del ricatto di Pyongyang è tanto maggiore in quanto è anche con gli ingenti aiuti umanitari del Sud – svariati miliardi di dollari, elargiti a piene mani dall'ex presidente sudcoreano Kim Dae Jung nel corso della fallimentare Sunshine Policy – che il Nord ha finanziato il proprio riarmo.

Con quegli aiuti ha evitato al contempo di soccombere alla carestia che ha decimato la popolazione locale, facendo della Corea del Nord un paese con standard di vita subsahariani in una delle regioni economicamente più dinamiche della terra.

È presto per accampare certezze, ma è più che probabile che il bombardamento di Yeonpyeong sia la reazione irriflessa di Pyonyang alla recente ispezione di una delegazione statunitense guidata da Siegfried Hecker.

Questo scienziato dei laboratori di Los Alamos appena due giorni fa ha denunciato pubblicamente il possesso, da parte della Corea del Nord, di centinaia centrifughe per l'arricchimento dell'uranio, stipate in un impianto nucleare di cui fino a oggi si ignorava l'esistenza.

Notizia confermata obtorto collo dallo stesso regime nordcoreano, che si ritiene abbia accumulato materiale fissile sufficiente alla produzione di 12 ordigni nucleari.

Il bombardamento, l'atto di gran lunga più ostile degli ultimi anni, segue di poco il siluramento, nel marzo scorso, della corvetta sudcoreana Cheonan, costato la vita a 46 marinai.

Il fatto che l'attacco odierno, a differenza del precedente, abbia suscitato l'immediata reazione (tra gli altri) della Cina, dettasi “preoccupata” per la piega presa dagli eventi, la dice lunga sui rischi di un'escalation che nemmeno Pechino, grande protettrice di Pyongyang, è disposta ad accettare.

La Corea siede nel mezzo di un'area strategicamente cruciale, in cui s'incrociano interessi e destini di alcune tra le maggiori potenze del globo: Cina, Russia, Giappone, Stati Uniti.

Geograficamente, la penisola coreana è un'appendice del colosso cinese. Ma se s'infiamma, a contorcersi è l'intera Asia
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