La centrifuga europea

Come mantenere una decisione centralizzata, per quanto proveniente da diverse istituzioni comunitarie, e la prosecuzione dell’austerità targata Germania?

27 / 10 / 2015

Nell’ultima settimana si sono consumati gli ennesimi cortocircuiti delle democrazie liberali in Portogallo; infatti, successivamente ai risultati delle elezioni parlamentari del quattro di ottobre, il Presidente della Repubblica Annibal Cavaco Silva ha nominato alla guida del Paese Pedro Passos Coelho, premier della coalizione di centro-destra. Quest’ultimo è un esponente del Partito socialdemocratico (Psd), il quale nell’ultima legislatura ha governato grazie alla coalizione tra Centro democratica (Cds), Social Partido Popular (Pp) e Partido Socialista (Ps). Va specificato come  il Ps portoghese si sia distinto nel corso degli anni, come del resto tutti i socialisti europei,  per le sue posizioni liberali e sistemiche.

In effetti, se fosse stato rispettato tale equilibrio, Coelho sarebbe senza alcun inghippo formale e materiale il capo dell’esecutivo portoghese; tuttavia, il Partido socialista, proprio negli ultimi giorni prima dell’apertura delle urne, ha subito uno slittamento a sinistra operato dal suo comitato centrale prendendo un’importante decisione: l’alleanza con il Partido Comunista e il Bloco de Esquerda.

Questo ha invertito sostanzialmente gli esiti delle urne: per quanto i partiti di maggioranza relativa siano il Psd e il Cds, la scelta dei socialisti di superare quel governo di unità nazionale tanto di moda durante la “gestione emergenziale della crisi” (vedi in Italia) ha di fatto prodotto una maggioranza parlamentare al 53% per la coalizione di centro-sinistra. I tre partiti a diversi livelli “a sinistra” hanno convenuto su alcuni punti del programma politico e su di una figura comune per guidare il Paese, rappresentata dal socialista di sinistra Antonio Costa. Sebbene il Partido Socialista abbia ancora delle fazioni e delle fratture interne per questa scelta, allo stesso tempo si è accordato con i comunisti e gli esquerdisti per rinunciare a moltissime misure programmatiche in linea di continuità con l’austerità, come la flessibilizzazione del lavoro e il taglio alla previdenza sociale. La strategia del Partido Comunista e del Bloco è di distruggere il centro politico e riportare, con tutte le contraddizioni ed i conflitti del caso, i socialisti a sinistra, rinunciando ai loro punti di fuoriuscita dalla Nato e dall’euro.

Il discorso del 22 ottobre di Silva ha però cercato di frantumare un governo di centro-sinistra: facendo leva su una procedura materiale della costituzione portoghese, che ha sempre affidato nel concreto la formazione del nuovo governo al Presidente della Repubblica, Silva ha nominato in faccia ad ogni percentuale la coalizione di centro-destra all’esecutivo. Formalmente dalla Costituzione non si evince se la nomina del governo debba dipendere direttamente dal leader della coalizione vincente, dalla maggioranza del Parlamento o dal Presidente della Repubblica, per quanto nella storia sia sempre stata affidata a questi. Silva ha approfittato di questa consuetudine pratica per annunciare la sua preferenza per la stabilità, per dei partiti verso cui ha fiducia per il rispetto del pareggio di bilancio, la permanenza nell’Unione Europea, il trattato di commercio trans-atlantico, insomma con le disposizioni economiche, politiche e giuridiche della governance neoliberale. Il suo focus è stato proprio calato sull’impossibilità di accettare nelle proprie maglie istituzionali delle forze anti-europeiste, perché “incompatibili” con l’andamento dei fondamenti della democrazia portoghese. Un atteggiamento quanto mai elitista e conservatore delle istituzioni, ma anche reazionario perché sottomette il dato di maggioranza in Parlamento. Un ulteriore scavallamento della democrazia rappresentativa, completamente svuotata di fiducia per gli elettori (43% di astensione in Portogallo) e di senso dalle istituzioni comunitarie. Subito, infatti, plaudono i mercati – dopo aver avuto un tonfo per le dichiarazioni di Costa – e l’ex Presidente della Commissione europea Barroso; tirano un sospiro di sollievo gli oligarchi tedeschi e tutti i loro vassalli, a partire da quelli spagnoli visto che dovranno affrontare le elezioni tra meno di un mese. Non soltanto le maglie dei poteri dell’austerità europei agiscono sull’economia, sulle dimensioni sovrapposte della finanza, ma utilizzano le norme giuridiche nazionali per riportare un risultato di consenso elettorale sempre verso l’estremismo di centro che si impone sull’Europa.

Bisognerà vedere quanto la fiducia in Parlamento riuscirà a far vacillare Coelho, che comunque potrà continuare a governare seppur con poteri ridotti. Allo stesso modo la coalizione tra socialisti e partiti radicali di sinistra potrebbe vacillare nel momento in cui si darebbe la necessità di uno scontro frontale con la BCE, l’Eurogruppo e la Commissione, come nel caso della Grecia. Proprio questo è ciò che vogliono evitare i big che guidano il Vecchio Continente: temono un’altra spinta centrifuga dal loro comando, dal mantra della crescita fatta di abbassamento del costo del lavoro e ricaduta sulla ricchezza individuale del welfare, per non parlare delle ultime scelte sulla migrazione. Pertanto si sovrappongono i ruoli istituzionali e coloro che vogliono impedire la fuga dall’austerità. La poca evidenza nella stampa dimostra che l’Europa vuole evitare una nuova esposizione mediatica sulle sue negoziazioni.

Del resto, domenica sera il problema a Est si è approfondito con la vittoria della destra in Polonia. Un nuovo tassello si aggiunge al blocco capitanato dall’Ungheria di Orban, dedito più che mai a contrapporre un sovranismo (a tratti velleitario, a tratti no) sull’accoglienza dei profughi ed il passaggio delle migrazioni. La vittoria a quasi il 40% degli ultra-conservatori ha premiato come capo del governo la capolista del PiS (Diritto e Giustizia) Syzdlo, scalzando i liberali di Ewa Kopacz che hanno riportato il Paese ad un livello di competizioni e di crescita pari al resto d’Europa introducendo proprio quelle normative e promuovendo quel tessuto produttivo che intaccano la dignità dei lavoratori e smantellano la previdenza sociale. La reazione dopo otto anni dei polacchi è stata quella di consegnare la Polonia secondo una maggioranza assoluta alla destra di Diritto e Giustizia, che già promette scontri con la BCE e la Commissione sulle pensioni, la migrazione e le tasse sulle banche. Un bel problema, quello delle fratture che provengono anche da destra per la gestione dell’equilibrio governamentale di centro, soprattutto in questo periodo delicato a causa dei continui flussi migratori della Balkan route e in cui l’accordo l’unico punto di accordo tra i diversi Paesi coinvolti sembra essere la firma bilaterale con la Turchia.

Come superare la situazione colta da tutte questa fratture, e riaffermare la normalità del comando transnazionale? La risposta sta nelle più grandi preoccupazioni delle élites, per niente disposte ad avere davanti,  sul loro tavolo di discussione, una centrifuga europea che sappia sovvertire i giochi di potere tra Grandi d’Europa.