Istanbul - Tarlabasi: tra programmi di esclusione e tentativi di resistenza

Il quartiere cambia volto senza i suoi abitanti

25 / 4 / 2014

A poche decine di metri dalla strada-vetrina di Istiklal, immagine di sviluppo, benessere, modernità, basta svoltare l'angolo e affacciarsi sul viale Tarlabasi per ritrovarsi di fronte ad una realtà completamente diversa. E' il quartiere di Tarlabasi, in pieno centro tra piazza Taksim, la torre di Galata e il Corno d'Oro, separato dalla zona del passeggio e della movida dall'omonimo boulevard, che segna quasi una linea di confine, sociale ed economico, visibile a colpo d'occhio.

Sorto a fine ottocento come distretto abitativo degli impiegati e commercianti della classe media di Istanbul, i suoi storici abitanti armeni e greci lo hanno abbandonato in seguito alle persecuzioni e ai progrom attorno alla metà degli anni cinquanta. Da allora i suoi palazzi vuoti sono diventati una delle mete abitative per i migranti interni (i kurdi dalla fine degli anni novanta) ed esterni (buona parte provenienti dall'Africa e dai paesi del Medio Oriente) e in generale per tutte le persone con difficoltà economiche.
Nel corso dei decenni, mentre l'amministrazione di Beyouglu ha investito nell'espansione del distretto turistico che va da Taksim al Ponte di Galata, la popolazione di Tarlabasi è stata dimenticata e abbandonata a sé stessa (il quartiere è carente di infrastrutture pubbliche e servizi).  Senza nessun intervento di manutenzione e ristrutturazione palazzi e strade sono andati in rovina e la zona si è progressivamente trasformata in un vero e proprio “slum”, subendo anche una forte stigmatizzazione da parte dei media e del resto della città.

Ai nostri occhi Tarlabasi appare però impressionante in conseguenza del massiccio progetto di gentrificazione  violenta che lo riguarda e che ne ha trasformato interi isolati in una città fantasma in attesa di essere abbattuta. Ma un tetto è un bene troppo prezioso, e palazzi spettrali, che sembrano carcasse vuote, assolvono ancora a una funzione abitativa per gli homeless della città, oggi in prevalenza famiglie siriane, che tra i cantieri e le macerie trovano un minimo di riparo.
Ampi settori del quartiere sono soggetti al processo di trasformazione urbana osteggiato dalle realtà di resistenza che abbiamo incontrato in questi giorni, un processo che investe tutta la città nell'ambito del piano GAP, lo stesso che prevedeva la rimozione di  Gezi park. Espropri di case con risarcimenti ridicoli, evacuazioni e sfollamenti per spostare la povertà dal cuore di Istanbul: è il nuovo boom edilizio della Turchia, che mette a profitto ogni metro di suolo senza preoccuparsi delle comunità e dei residenti, che verranno dispersi e trapiantati chissà dove. La possibilità per gli abitanti storici  di beneficiare dell'operazione di risanamento e qualificazione non è stata prevista, perché al loro posto, manco a dirlo, sorgeranno appartamenti di lusso, hotel, negozi e boutique, uffici di pregio, il progetto è affidato alla Calik Holdin, il cui presidente è il genero di Erdogan. E' una città che si trasforma, come giusto, ma senza coinvolgere nella trasformazione i propri abitanti, che vengono rimossi perché poco consoni all'immagine patinata della Turchia contemporanea e ai suoi interessi economici.

Migrants solidarity kitchen, un esempio di resistenza e convivenza tra cibi dal mondo e lezioni di lingua turca.
Due bambine kurde disegnano sulla lavagna un coniglio e poi scrivono “adın ne?” che vuol dire “come ti chiami?” in turco. Accanto a loro Anna sorride. Di fronte a loro attorno ad un tavolo due ragazzi siriani, tre nigeriani, un congolese e una bambina siriana.
“Benım adim Desmond”, “io mi chiamo Desmond” risponde sorridendo uno di loro. E la bambina scrive la risposta alla lavagna.
Questa è la prima scena cui assistiamo quando entriamo nella cucina. Poi ci sediamo e, tra un sorriso e una frase in turco, ci uniamo al gruppo. A Tarlabasi, classico esempio di “periferia centrale”, succede anche questo.

Percorrendo una piccola stradina del quartiere sulla destra c'è una porticina con scritto “mutfak” che vuol dire “cucina” in turco. Leggiamo che il martedì alle 19:30 c'è un corso di lingua turca. Ritorniamo quindi a quell'ora e vediamo la scena – fortissima ed emozionante nella sua semplicità - descritta prima: Anna e i bambini del quartiere insegnano ai migranti le frasi principali in turco e il tutto avviene proprio dentro una cucina, un piccolo spazio che da due anni rappresenta un luogo dove si creano momenti di convivialità attraverso iniziative e incontri ma anche dove si prova in forma collettiva ad affrontare i problemi di un quartiere come Tarlabasi.
La cucina fa parte di un network cittadino - migrants solidarity network - che nasce nel 2007 e che sin dall'inizio ha supportato le lotte dei migranti e promosso iniziative contro i centri di detenzione e le politiche di chiusura dei confini turchi. La principale campagna del migrants solidarity network è stata realizzata dopo l'uccisione nel 2007 a Istanbul di Festus Okey, un ragazzo nigeriano, da parte della polizia turca.

Cosa si fa nella cucina? “Ogni sabato organizziamo il nostro pranzo tutti insieme invitando tutti gli abitanti del quartiere a cucinare e a pranzare insieme”, ci racconta Anna, “ inoltre due volte a settimana organizziamo corsi di lingua turca - uno di livello base e uno intermedio – aperti a tutti. Abbiamo anche iniziato a realizzare un giornale dove raccoglieremo le storie delle donne siriane arrivate a Istanbul accompagnate dai disegni dei loro figli e un altro giornale che raccoglierà articoli legati al tema dell'immigrazione e poi vorremmo realizzare anche dei cineforum”, il tutto coinvolgendo i migranti in prima persona.

Poi Anna aggiunge: “La cucina è uno spazio sociale indipendente che non riceve alcun finanziamento da enti pubblici e privati. Siamo tutti volontari e cerchiamo di fare il massimo per conciliare i nostri impegni di lavoro con queste attività.”
E il rapporto con il quartiere? Anna ci dice che la cucina è uno spazio conosciuto dagli abitanti anche se non è facile coinvolgere un numero elevato di persone. Questo sia per i pregiudizi di alcuni curdi verso gli immigrati (in particolare gli africani sub-sahariani) sia per alcune difficoltà legate all'uso comune dello spazio (per le donne curde, ad esempio, è meno facile condividere uno spazio con uomini di altre nazionalità). I risultati positivi in ogni caso ci sono anche grazie al fatto che lo spazio è dentro il quartiere e che le attiviste che organizzano le attività vivono lì o comunque vicino.

Quindi chiediamo ad Anna di dirci qual'è la sua opinione sulle discriminazioni e il razzismo in Turchia verso i migranti. “In realtà a livello politico e mediatico l'immigrazione è un tema che semplicemente non viene affrontato, non esiste. Si fa finta di niente e non entra quasi mai nel dibattito pubblico”. E nella vita quotidiana? “Gli africani e in particolare chi ha la pelle nera, viene maggiormente discriminato, ma lo stesso o quasi avviene ad esempio con gli afghani”. A volte, ci racconta, avvengono pestaggi e aggressioni verso gli immigrati. Un caso molto grave è accaduto proprio alcuni giorni fa. Una persona all'interno di un locale ha sparato con una pistola a quattro ragazzi liberiani. Questo episodio ha dato la spinta per una ripresa delle attività del network a sostegno degli immigrati. Altri problemi sono legati alla mancata assistenza medica. “In alcuni casi abbiamo saputo che non viene fornita assistenza sanitaria agli immigrati e noi cerchiamo di aiutarli anche in questo”.

Infine anche con lei affrontiamo il tema delle migrazioni verso l'Europa. “Praticamente tutti i migranti che arrivano a Istanbul vogliono andare in Europa. Una delle modalità più utilizzate è quella dei passaporti falsi. Quando vengono fermati dalla polizia sono condotti nei centri di detenzione e uno dei più grandi e proprio qui a Istanbul.”

Ci salutiamo con Anna con l'augurio che questa realtà – idealmente gemellata con le scuole di italiano all'interno dei nostri centri sociali - continui ad esistere e a rappresentare un piccolo grande esempio di condivisione, resistenza e antirazzismo.

Intervista a Hande, attivista della Migrants Solidarity Kitchen

"Sulle rotte dell'Euromediterraneo" in Tunisia, Turchia e Libano organizzate da:
Un Ponte per ...
Coalizione Ya Basta Marche, Nordest, Emilia Romagna e Perugia
Info e contatti generali: [email protected] e [email protected]

I report completi dell'iniziativa saranno in Globalproject.info e Unponteper.it
Media Patner dell'iniziativa: Nena News, Osservatorio Iraq, Progetto Melting Pot Europa, CORE online

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Migrants solidarity kitchen