Meriem è una giovane donna tunisina di trentacinque anni, madre di due bambini, assistente presso l’Institut français de Tunisie e militante ormai da molti anni nell’ATFD - Association Tunisienne Femmes Democrates, dove fino al 2010 è stata coordinatrice del Centro d’ascolto per le donne vittime di violenza.

Intervista a Meriem Zeghidi

La rivoluzione: una liberazione da cui ripartire per costruire la nuova Tunisia oppure La formula magica della Rivoluzione tunisina: credere nella possibilità del cambiamento

14 / 2 / 2014

L’attivismo per Meriem è una questione genetica. Sua madre Leila, è la figlia di George Adda, una delle figure storiche dell’indipendenza tunisina e del partito comunista. Leila Adda ha militato nel PCT - Parti Comuniste Tunisien, interdetto in Tunisia per lungo tempo, insieme al padre di Meriem, Salah Zeghidi, sindacalista che ha conosciuto anche il carcere sotto Bourguiba. Il femminismo scorre nel sangue di Meriem da più generazioni. Sua nonna materna, Gladys Scialom, donna dal grande coraggio e carisma, è stata una delle figure che negli anni cinquanta ha contribuito al risveglio della coscienza sociale delle donne tunisine.

 

Per Meriem, dunque, il luogo naturale nel quale evolvere non poteva che essere l’ATFD - Association Tunisienne Femmes Democrates. “La lotta instancabile contro tutte le forme di violenza sulla donna e contro qualsiasi tipo di discriminazione di genere, come anche la battaglia verso le leggi discriminatorie del genere femminile che esistevano e, in parte ancora esistono, in Tunisia”, sono le azioni che hanno cercato di portare avanti le attiviste dell’ATFD.

 

Oggi il lavoro all’interno dell’ATFD è totalmente cambiato rispetto al periodo pre-rivoluzionario. L’associazione, che era una delle poche autorizzate da Ben Ali, viveva una situazione molto particolare, di “schizofrenia” per usare le parole di Meriem. “Ci era interdetto l’accesso ai luoghi pubblici, non si poteva avere una sede, né andare in strada o davanti alle fabbriche per manifestare, non si poteva fare niente, nemmeno spostarsi tra le varie regioni e coordinarne le diverse attività”, ha affermato Meriem. “Anche a Tunisi non era possibile lavorare normalmente. I telefoni dell’ATFD erano messi sotto controllo, le mail venivano bloccate puntualmente, non si potevano tenere meeting, tavole rotonde o riunioni, e questo anche nei luoghi privati. Quando prenotavamo una sala di un hotel pagandola per una riunione, era diventato normale trovare il giorno dell’evento i fili dell’elettricità tagliata o altre azioni di sabotaggio”. L’attività dell’associazione era effettivamente confinata in un piccolo locale e quando nelle riunioni si trattavano argomenti “scottanti” che implicavano una grande partecipazione, era sicuro trovarvi dei poliziotti che controllavano l’associazione.

“Il 14 gennaio ha evidentemente rivoluzionato tutto. È stato uno shock benefico, positivo. Si sono potute scoprire le regioni della Tunisia, cioè il lavoro fatto dalle diverse sezioni dell’associazione che sotto il regime di Ben Ali non potevano coordinarsi tra loro”.

Nel periodo post-rivoluzionario la rete di collegamento venutasi a creare ha permesso la realizzazione di numerose attività rivolte alla donna, come la campagna per la partecipazione politica, inscritta in un progetto più ampio (la Carovana delle donne) volto a sollecitare le tunisine di tutto il paese a partecipare al voto. Dopo le elezioni del 23 ottobre 2011 c’è stato il processo costituzionale e l’ATFD, ancora una volta, si è impegnata molto per salvaguardare i diritti di genere rivendicandone la loro costituzionalizzazione.

 

Riguardo alla neonata Costituzione, si può dire che oggi ci sia stata un’evoluzione in merito alle rivendicazioni di genere, ma tutto questo rimane ancora insufficiente secondo Meriem. “La Costituzione è piena di questioni lasciate a metà, di battaglie vinte a metà. Abbiamo atteso per molto tempo questo momento e per me, come donna e come femminista attiva nell’ATFD, questa Costituzione è per molti versi un fallimento. In Tunisia oggi non si può parlare di uguaglianza tra i sessi ma soltanto tra cittadine e cittadini.”

Comunque, secondo Meriem, quello che il popolo tunisino deve fare oggi più che mai è difendere questa nuova Costituzione, pur con tutte le sue ambiguità. Difatti, il problema che si presenterà ora sarà l’interpretazione del testo costituzionale, che si presta a molteplici letture. Le leggi che saranno riviste e si plasmeranno su questa nuova Costituzione, sono il terreno di gioco nel quale Meriem, e con lei tutta l’ATFD, spera di veder vincere una visione progressista, modernista e laica. “È questo l’obiettivo per cui dovremmo combattere, sarà dura ma dovremmo farlo”, ha affermato Meriem.

 

Sicuramente la forza e la tenacia, sono caratteristica che non mancano alle donne tunisine. Lo hanno dimostrato pienamente nei giorni della Rivoluzione. Figure già presenti sulla scena politica e attive nell’opposizione a Ben Ali, hanno manifestato nella capitale insieme a giovani studentesse, a militanti nel sindacato, ma soprattutto insieme a ragazze che non si erano mai impegnate precedentemente, donne provenienti dalle regioni rurali della Tunisia. Le donne della Tunisia non hanno partecipato alle manifestazioni di piazza come portatrici di meri interessi femministi, ha tenuto a precisare Meriem. “I cartelli che mostravano le ragazze erano gli stessi degli uomini”. Alla base delle rivendicazioni del popolo tunisino, vi erano i problemi socio-economici ed è qui che si spiega la forte presenza delle donne provenienti dall’ambiente rurale. Si dimentica spesso che le prime vittime della disoccupazione sono le donne e che ci sono regioni in Tunisia in cui la disoccupazione femminile raggiunge il 35%. La disoccupazione e la fame ha mosso le donne, così come gli uomini.

 

È stata questa unità di tutto il popolo tunisino la forza della Rivoluzione.

Per Meriem, “tutto quello che è successo fino ad oggi è stato meraviglioso: a partire dal 17 dicembre 2010 (giorno in cui il diplomato disoccupato Mohamed Bouazizi si è immolato a Sidi Bouzid) fino al 14 gennaio 2011 (quando il presidente Ben Ali ha lasciato il paese), passando per le elezioni del 23 ottobre dello stesso anno.

Come donna e come militante nell’ATFD, Meriem ha vissuto il processo rivoluzionario con molta felicità ma anche con molto dolore e angoscia. “La mia Tunisia, che per più di cinquanta anni è stata oppressa dal potere, alla fine è riuscita a liberarsi dalla dittatura e dal fardello del partito desturiano che ha relegato i tunisini, ha represso la libertà, ha imprigionato e torturato le persone. La fine di tutto questo non può che tradursi in un’esplosione di tantissimi sentimenti”.

Il nuovo volto della Tunisia, che a poco si sta delineando, è fatto sicuramente di sogni, ma anche di sangue e dolore. “È stato versato tanto sangue, non bisogna dimenticarlo”, ha affermato l’attivista, “ma io penso che malgrado tutto quello che è successo in questi anni, malgrado il tanto dolore, le speranze dei tunisini ci siano ancora e siano forti”.

“Ho perduto un amico giusto un anno fa proprio qui sotto casa mia [rif. Chokri Belaid] e il rumore dello sparo che lo ha ucciso è ancora nella mia testa” ha affermato Meriem. “Sono certa che gesti simili ci saranno ancora e spezzeranno di nuovo il cuore a me e ai tunisini, ma sono convinta che tutto questo, sfortunatamente, sia il prezzo da pagare per costruire la Tunisia di domani, la Tunisia dei nostri sogni.” Ci saranno ancora dei Chokri Belaid che saranno sacrificati, perché ci sono moltissimi tunisini che credono nel cambiamento ma ce ne sono molti altri che si oppongono al cambiamento per i loro interessi personali, quindi dobbiamo continuare a lottare. Le nostre speranze sono lì, e non le abbandoneremo”.

Secondo Meriem si dovranno attendere almeno vent’anni perché si possa creare un equilibrio nel paese poiché la rivoluzione non è un processo che si può dire concluso in due o tre anni. “Sono sicura a cinquant’anni potrò vivere nella Tunisia che ho sempre sognato”, ha affermato Meriem.

 

L’idea della possibilità, che il destino di un paese possa essere cambiato, è quello che i tunisini, e le tunisine, hanno insegnato al mondo. “Ma non c’è una formula magica, non c’è un momento esatto in cui iniziare una rivoluzione, non c’è una tecnica da seguire per abbattere un dittatore o degli slogan più adatti da portare in strada”. C’è solo la determinazione e la speranza di un popolo che continua a lottare per qualcosa in cui crede: una nuova Tunisia