Il ritorno del Katun: lə zapatistə salpano per incontrare “l’Altra” Europa

25 / 1 / 2021

Un articolo di Lola Cubells, membro dell’Assemblea de Solidaritat amb Mèxic del Paìs Valencià (ASMEX) e Dottoressa in Filosofia del Diritto, pubblicato il 12 gennaio 2021 su desinformemos.org e elsaltodiario.com. Traduzione in italiano a cura di Emma Purgato.

Sí, claro que lo entendí, que de por sí vamos a morir
miserablemente (…) Pero vamos a hacer que valga la pena

Esperanza Zapatista

Mentre ci riprendevamo dallo shock provocato dalla pandemia, nel mese di ottobre 2020 lə zapatistə cominciavano a pubblicare una serie di comunicati. Hanno iniziato dall’ultimo (la sesta parte) e hanno concluso con il primo, pubblicato il primo gennaio, in concomitanza con il ventisettesimo anniversario dell’Insurrezione. In questi comunicati annunciano che gireranno i cinque continenti, partendo dall’Europa, per incontrare altri germogli di lotta per la Vita.

La “sesta parte”, intitolata “Una montagna in alto mare”, ci regala una radiografia dell’impatto che la pandemia ha avuto sulle nostre vite e i nostri corpi. Questo comunicato ci ha lasciato tante domande e solo due date come uniche certezze: salperanno ad aprile 2021 e, dopo aver visitato diversi luoghi dell’Europa in basso e a sinistra,  arriveranno a Madrid il 13 agosto 2021.

Altri calendari ed altre geografie

Lə zapatistə, durante i loro decenni di resistenza, hanno portato contributi fondamentali al pensiero critico e alle lotte antisistemiche, portando alla luce le lezioni sul neoliberismo di Don Durito del la Lacandona. Inoltre, l’introduzione del concetto di IV guerra mondiale o la proposta di altre geografie e altri calendari, hanno contrassegnato un’analisi sistemica del capitalismo a partire da una consapevolezza posizionata e partorita dalla resistenza anticoloniale, antipatriarcale e anticapitalista rappresentata dallo zapatismo.

Il concetto di altre geografie e altri calendari ha permesso di comprendere come in ogni territorio e calendario esistano “il sopra”, ovvero il tempo e la geografia del potere; e “il sotto”, ovvero il tempo e la geografia delle lotte e delle resistenze. Assieme ad un’analisi economico-politica, lə zapatistə hanno sempre individuato l’annientamento del diverso come fulcro principale della guerra contro l’umanità, e l’uguaglianza a partire dal rispetto delle differenze come sfida. Ci avvisarono già nel 2003, quando affermarono: “È questo il progetto della globalizzazione: rendere il pianeta una Torre di Babele. Omogenea nel modo di pensare, nella cultura, negli schemi. Egemonizzata da chi non ha ragione ma forza (…). L’annientamento del differente è una tendenza sempre attuale”.

Questo “annientamento del diverso”, iniziato con la colonizzazione dell’America, ha molto a che vedere con i diversi modi di interpretare il tempo e la storia. Luis Villoro, nella sua opera Estado plural, pluralidad de culturas, spiega come modi diversi di impostare il tempo e la storia siano stati determinanti nella colonizzazione di Abya Yala. Mentre lə spagnolə concepivano il tempo come lineare, per i popoli originari il tempo era ed è ciclico. Tanto lə aztecə quanto lə castiglianə tentarono di dare una spiegazione agli eventi a partire dal proprio contesto culturale. Per quanto riguarda i conquistadores, tutto ciò che non poteva essere spiegato dal punto di vista della loro cultura venne considerato opera di Satana, e quindi meritevole di essere annientato. D’altra parte, secondo Villoro, per il popolo atzeco gli eventi erano determinati da una struttura di senso che corrisponde ad un ordine sacro. Per questo motivo, lo sconosciuto fu inserito in quest’ordine. C’era un vecchio mito che raccontava la partenza di Quetzalcoatl verso l’Oriente e il suo ritorno per riprendere possesso del suo regno. Perciò, Montezuma credette che Cortés fosse Quetzalcoatl o un suo inviato.

Ora lə zapatistə ci dicono che verranno dal mare, ma che, a differenza di quanto accadde cinque secoli fa, verranno a “trovare ciò che ci rende uguali” e a dirci: “Non ci conquistarono. La resistenza e la ribellione continuano”.

Un katún di resistenze neozapatiste

Per le popolazioni maya, il tempo si misurava in modo diverso. In occasione dell’Insurrezione armata zapatista del 1994, lo storico Antonio Garcìa de Leòn pubblicò La vuelta del katún, in cui spiegava che, nell’antica cronosofia maya, la storia era costituita dalla successione di cicli di 20 anni, che i maya chiamavano katún.

Vent’anni prima dell’insurrezione zapatista si tenne il primo Congreso Indìgena, sotto la spinta della Diocesi di San Cristòbal de Las Casas (1974). Fu la prima volta nella storia in cui i principali popoli originari del Chiapas (tseltales, tsotsiles, ch’oles e tojolabales) si riunirono per riflettere sulla loro realtà rispetto a quattro assi: terra, educazione, salute e commercio. Da questo primo incontro emerse un accordo fondamentale: Quiptic ta Lecubtesel (La nostra forza per migliorare). Come moltə sanno, questo incontro rese possibile la nascita di un movimento indigeno indipendente in Chiapas e piantò il seme dell’EZLN.

Durante quest’anno appena iniziato, compiranno 20 anni (un katún) diversi avvenimenti fortemente simbolici per la lotta zapatista e per le lotte alter-mondialiste che germogliarono dal suo fuoco e dalle sue parole. Un katún fa arrivai per la prima volta in Messico, in occasione della convocazione da parte dell’EZLN della “Marcha del Color de la Tierra” (2001). Con essa si puntava a una riforma costituzionale che riflettesse alcuni degli accordi di base ottenuti negli Acuerdos de San Andrés tra l’EZLN e il governo messicano, firmati il 16 febbraio 1996. Però, al di là di questo obbiettivo, la Marcha permise al comando dell’EZLN di girare per diversi Stati, dove poterono dialogare con la società civile e con chi, essendo come loro, era disprezzato per essere del colore della terra

La Marcha vide la presenza della solidarietà internazionale con le Tute Bianche, organizzazione italiana ispirata all’insurrezione zapatista e incaricata della protezione della Caravana. 

La realtà dei popoli originari in Messico e in Abya Yala continua ad essere caratterizzata dalla rEsistenza di fronte all’idra capitalista. Ora i volti sono diversi, ma la morte è la stessa.

Durante il passaggio per Nurío (Michoacán) si tenne una sessione del III Congreso Nacional Indìgena, dove il Comando dell’EZLN ricevette la legittimità dal resto dei popoli indigeni di parlare a nome di tuttə. L’ultima tappa del giro fu davanti al Congreso de la Naciòn, dove la Comandante Esther ebbe l’incarico di parlare di fronte allə legislatorə. Intervenne come donna, indigena e zapatista, e ci regalò un discorso che è considerato come punto di riferimento per i femminismi differenti. Spiegò come la lotta delle donne indigene non sia incompatibile con la difesa del loro modo di governarsi e di interpretare la vita e, chiaramente, con il cambiamento dei costumi che non rispettano i loro diritti. In questo modo, la sua voce contestava quello sguardo coloniale sulle culture indigene, considerate statiche o arcaiche, che pone le donne indigene come vittime della loro cultura, e impossibilitate a liberarsi senza rinunciarci. Dobbiamo ricordare che una delle argomentazioni più utilizzate per negare il riconoscimento giuridico dell’autonomia indigena si basava sull’idea che essa legalizzasse la violenza contro le donne. La Comandante Esther dimostrò che la lotta delle donne è un elemento centrale del movimento zapatista, come è stato reso evidente negli scorsi Incontri Internazionali “Mujeres que Luchan”, tenutisi a marzo 2018 e dicembre 2019.

In alto, il razzismo strutturale disprezzò nuovamente la parola e il percorso indigeni. La “controriforma indigena” del 2001 fu interpretata dal CNI e l’EZLN come una “presa in giro”. La risposta fu la chiamata alla costruzione delle “autonomie senza permesso” che, nell’esperienza zapatista, si materializzò nella nascita dei Caracoles e le Juntas de Buen Gobierno ad agosto 2003.

Da questa parte dell’oceano, il 2021 ci trova a ricordare il katún dell’assassinio di Carlo Giuliani. L’Otro mundo es posible zapatista, lanciato durante l’Incontro contro il Neoliberismo e per l’Umanità in Chiapas (1996), scatenò diverse proteste: Seattle, Bangkok, Washington (1999), Praga (2000). Nel 2001, durante la mobilitazione contro il G8 di Genova, il giovane attivista Carlo Giuliani fu assassinato da un agente dei carabinieri. Nonostante la sua morte sia rimasta impunita, non sono riusciti a cancellarla dalla memoria di un “noi” interoceanico nato dalle reti neozapatiste (Xochitl Leyva) tessute in questi decenni. Giuliani fu nominato, assieme ad altrə, nel comunicato che annunciava la morte del SubMarcos e la nascita del Subcomandante Galeano – prendendo così il nome del maestro zapatista assassinato nel 2014 da un gruppo paramilitare a La Realidad. Molto prima, nel 2003, nel contesto delle proteste europee contro la guerra in Iraq, a Roma la madre di Giuliani lesse un comunicato dell’EZLN in cui Marcos interpretava il “no alla guerra” come un “no” per l’umanità e contro il neoliberismo. Le sue parole sembravano premonitrici di una guerra contro l’umanità che si sarebbe estesa in ogni angolo del pianeta.

Àngel Luis Lara dice che i popoli zapatisti hanno “vissuto sulla loro pelle lo spoiler”, “ci anticipavano ciò che sarebbe successo negli episodi che non avevamo ancora visto. Gli zapatisti hanno sempre avuto questo problema di dislocazione storica: ci stanno raccontando il futuro da quasi due decenni. Adesso quel futuro non esiste, perché è diventato il presente”.

Ereditare la vita, allontanare la morte

C’è chi contesta la scelta di venire adesso, in piena pandemia, per nave, in un momento che sembrerebbe obbligarci all’autoisolamento e ad accettare nuovamente che “There is No Alternative”. La risposta del Viejo Antonio è un messaggio per tuttə noi: “Gli uomini e le donne di mais, quando guardano questo mondo e le sue sofferenze, vedono anche il mondo che dovrà sollevarsi e costruire un proprio percorso”. Come ha già indicato Immanuel Wallerstein, ci troviamo in una “fase di biforcazione o caos sistemico”, in cui ciò che costruiamo in questo momento sarà determinante perché quello che verrà sia un sistema-mondo più democratico ed egualitario o, al contrario, disuguale e distruttivo.

Senza dubbio, l’arrivo per mare delle zapatiste (il 75% della delegazione sarà composta da donne), assieme a una rappresentanza del CNI e del Frente de Pueblos en Defensa del Agua y de la Tierra di Morelos, Puebla e Tlaxcala (FPDT), è un viaggio nella direzione opposta che porta un enorme significato per la lotta anticoloniale e la resistenza comunitaria di fronte alla depredazione del territorio.

Dalla nostra capacità di sognare, ascoltare, imparare, soffrire, e dalla nostra memoria di resistenza, dipenderà ciò che verrà.

Il 13 agosto 2021 compirà 500 anni la caduta di Tenochtitlàn, e la realtà dei popoli originari in Messico e in Abya Yala continua ad essere segnata dalla rEsistenza di fronte all’idra capitalista. Ora i volti sono diversi, ma la morte è la stessa. La salita al governo del Messico di Lòpez Obrador, lungi dal generare una politica differente di fronte ai popoli originari, ha anzi accelerato l’implementazione di megaprogetti di morte come il Corredor Transìstmico o il Tren Maya, attorno ai quali gravitano grandi interessi transnazionali. Samir Flores, membro del FPDT, è stato assassinato a febbraio 2019 per essersi opposto alla costruzione di una centrale termoelettrica nel suo territorio. È diventato un simbolo della difesa della vita comunitaria, di chi lotta non solo per il presente, ma anche per le generazioni future.

Il subcomandante Marcos afferma che per lə zapatistə la morte è come una porta che dobbiamo attraversare, e quindi la vita è il viaggio che conduce a questa porta. Dal 1994 l’audacia zapatista sta tentando di “allontanare questa porta il più possibile”. La proposta di incontro con altri progetti che lottano per la Vita in altri continenti rappresenta un modo di continuare ad allungare questo viaggio verso la morte a cui ci condanna il sistema.

La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla distruzione del capitalismo

Il 1° gennaio scorso in una moltitudine di organizzazioni, collettivi ed individui abbiamo firmato in modo congiunto “Una dichiarazione per la Vita”. Con questa dichiarazione giungevamo alla prima parte della serie di comunicati, e la proposta dell’EZLN veniva assunta da tuttə, con molte differenze, ma unitə da un accordo fondamentale: le sofferenze del mondo sono frutto di un sistema che non si può riformare, solo rovesciare. Per questo, da luglio a ottobre 2021 si realizzeranno numerosi incontri assieme alla delegazione zapatista sul territorio europeo, per rafforzare le lotte per la Vita.

A partire dall’importanza del tempo dei katunes nella filosofia maya, nel 2021 il viaggio “inverso” della delegazione zapatista ci regala un tempo propizio per i movimenti antisistemici. Dalla nostra capacità di sognare, ascoltare, imparare, dolersi, e dalla nostra memoria di resistenza dipenderà quello che verrà. La bambina indigena Defensa Zapatista, uno dei personaggi creati dalla penna del Subcomandante Galeano, rappresenta una donna che cresce senza paura, ed ha l’incarico di sfidarci: “Puoi stare fermo o proseguire. Prenditi la responsabilità della tua decisione. La libertà non è solo poter decidere cosa fare, e farlo. È anche prendersi la responsabilità di ciò che si fa e della decisione presa”.

** Pic Credit: Foto: Primer Encuentro Internacional Mujeres que Luchan, Morelia, agosto 2018. (Andrea Murcia / Cuartoscuro)