Il processo costituente in Cile, tra le istituzioni e le piazze

Intervista di Lorenzo Feltrin a Juan Pablo Rodríguez, ricercatore della Universidad de Chile

13 / 11 / 2021

Da due anni, il Cile è attraversato dal processo costituente aperto dall’ondata di rivolta nota come estallido social. A pochi giorni dalle elezioni presidenziali e legislative nel paese, pubblichiamo un’intervista di Lorenzo Feltrin a Juan Pablo Rodríguez, ricercatore della Universidad de Chile. Juan Pablo si occupa di conflitti politici e sociali presso il Centro de Estudios de Conflicto y Cohesión Social (COES) ed è l’autore del libro Resisting Neoliberal Capitalism in Chile: The Possibility of Social Critique (Palgrave, 2020). Attualmente dirige il progetto di ricerca sul processo costituente “De la calle a la convención: controversias en torno al derecho a la educación, la vivienda y el agua en el proceso de cambio constitucional en Chile”.

A due anni dall’estallido social, la Convenzione Costituente ha cominciato a lavorare sui contenuti della nuova Costituzione. Come siamo arrivati a questa tappa?

Bisogna precisare che la nuova Costituzione non era tra le rivendicazioni iniziali dell’estallido, che fu un’esplosione di malcontento caratterizzata da una molteplicità di richieste non tutte compatibili tra loro. C’erano rivendicazioni sociali immediate, per esempio la scintilla è stata la protesta degli studenti medi contro l’aumento dei prezzi del trasporto pubblico. Si può dire che un tema trasversale di fondo era quello della precarietà, nel senso teorizzato dal femminismo, come precarietà dell’esistenza tutta. La rivendicazione di una nuova costituzione si formò politicamente durante le mobilitazioni e la maggioranza dei manifestanti cominciò a identificarsi con essa.

La parola d’ordine di un’assemblea costituente cominciò a rafforzarsi come forma di cambiare un sistema istituzionale delegittimato e restituire potere al popolo. Si configurò così un “momento costituente”. Nella politica istituzionale, la richiesta di una nuova costituzione era stata portata avanti da anni. Il secondo governo Bachelet (centro-sinistra) aveva tentato una sorte di versione istituzionale del momento costituente. Ma solo con l’estallido si è arrivati all’ “Accordo per la pace e la nuova Costituzione” tra governo e opposizione. Non tutti appoggiarono l’accordo, per esempio alcuni gruppi criticarono il fatto che esso veniva siglato quando pesanti violazioni dei diritti umani erano tuttora in corso e vedevano nel processo costituente uno strumento del sistema politico per cooptare le mobilitazioni e diluirle nel lungo periodo.

Perché la rivendicazione di un’assemblea costituente si è massificata durante l’estallido?

In primo luogo, perché la vecchia Costituzione rappresenta un legame diretto con la dittatura, che la impose illegittimamente nel 1980. Quella che si tenta di sostituire non è una Costituzione qualunque, è la Costituzione di Pinochet. In secondo luogo, perché una Costituzione è una forma di distribuzione del potere e in questo senso la Costituzione del 1980 è il simbolo di un sistema politico incapace di ascoltare le aspirazioni della cittadinanza. Infine, perché la Costituzione contiene disposizioni istituzionali che riguardano la totalità della precarizzazione esistente (lavoro, salute, pensioni, abitare, ecc.).

Il processo costituente ha di fatto aggregato una serie di istanze generalizzate, accomunate dalla volontà di andare oltre il neoliberismo. Dopo la fase più acuta della pandemia, la campagna per il referendum sul cambiamento della Costituzione ha dato un nuovo impeto alla mobilitazione di base, che ha ottenuto la vittoria del referendum con l’80%. Più di un terzo dei costituenti eletti appartenevano a liste indipendenti dai partiti, e un numero simile fu quello degli eletti come indipendenti appoggiati da un partito. Le regole della parità di genere e dei seggi riservati alle popolazioni indigene sono una novità sul piano internazionale. Resta ora da vedere se la Costituente sarà in grado di processare le esigenze espresse dall’estallido per creare le basi istituzionali di un’uscita dal neoliberismo.

Come interpreti la relazione tra alternative al neoliberismo e alternative al capitalismo tout court?

Importanti aree dei movimenti di lungo corso – dei sindacati dei precari [contratistas], dei movimenti studenteschi, del movimento per il diritto all’abitare, delle organizzazioni mapuche, del femminismo e dell’ambientalismo – condividono un orientamento anticapitalista che fa da base a una “militanza multipla” che attraversa i diversi ambiti. A questi militanti è chiaro che “Estamos todes en la misma lucha”, ma i tentativi di coordinamento formale non sono durati perché le logiche organizzative sono diverse. Nei movimenti c’è un grande scetticismo nei confronti dei partiti elettorali e si preferisce sperimentare forme più autonome e orizzontali, cosa che ha creato tensioni con alcuni sindacati. Ad ogni modo, anche i movimenti anticapitalisti sono stati colti di sorpresa dall’estallido, sono scesi in piazza ma non l’hanno organizzato né previsto. Il discorso che è poi riuscito a massificarsi è quello dell’alternativa al neoliberismo. Credo che sia corretto dire che nell’estallido non si sono generalizzate rivendicazioni esplicitamente anticapitaliste. Resta una questione aperta del processo politico in corso.

Come si sta dando la dialettica tra movimenti e arena elettorale?

Nei movimenti ci sono posizioni diverse. Alcuni non vogliono entrare nella politica elettorale. Per esempio, il Mat (Movimiento por el agua y los territorios) è un coordinamento nazionale di comitati territoriali che non si pone come obiettivo quello di partecipare direttamente alle elezioni. Hanno però fatto eleggere dei militanti nella Costituente. Invece, un altro movimento ambientalista, Modatima (Movimiento de Defensa por el acceso al Agua, la Tierra y la Protección del Medioambiente), ha accettato il sostegno del Frente Amplio, un raggruppamento partitico emerso dal movimento studentesco del 2011. Infine, altri movimenti hanno creato un partito proprio. È il caso del Partido Igualdad, nato da un movimento per il diritto all’abitare. Mi sembra che la tendenza più diffusa da parte dei movimenti sia quella di relazionarsi in diversi modi con i nuovi partiti – in particolare quelli che formano il Frente Amplio – mantenendo però uno spazio variabile di distanza critica.

Quali sono i temi principali su cui sta lavorando la Costituente?

Ci sono due aree importanti. La prima area riguarda i diritti sociali: l’acqua, l’abitare, la salute, l’istruzione, la sicurezza sociale, tutti diritti legati alle rivendicazioni della rivolta. La seconda area è stata identificata dall’accademico Roberto Gargarella come quella della “sala macchine”, ovvero le istituzioni politiche. C’è una sorta di accordo sul fatto che, se non si modificano le basi del sistema politico cileno (centralista, presidenzialista, erede di strutture del XIX secolo), non sarà possibile realizzare un’espansione reale dei diritti. 

Un fenomeno interessante è l’ampio consenso sulla necessità di espandere i diritti sociali, anche se non è ancora chiaro il significato politico che si dà a questo principio e come lo si vuole mettere in pratica. Per esempio, ci sono costituenti di centro, sinistra e destra che concordano nell’inserire il diritto a un abitare degno nella nuova Costituzione, ma al momento di decidere che cosa implichi concretamente questo diritto e qual è il ruolo dello stato, delle comunità e dei movimenti sociali cominciano a emergere le divergenze.  Lo stesso si può dire per il diritto all’acqua. C’è un certo consenso sulla necessità di togliere l’acqua ai privati ma ci sono idee diverse su chi e come la gestirà.

All’interno della sinistra emergono due poli: uno “pubblico-statalista” e l’altro “pubblico-comunitario”. Il polo pubblico-statalista dice, per tornare all’esempio dell’acqua, che questa deve tornare a essere amministrata dallo stato. Il polo pubblico-comunitario invece sostiene una gestione decentralizzata da parte delle comunità e il riconoscimento dei diritti della natura. Un terzo polo è quello della destra, che tenta di contenere o almeno moderare le ricadute concrete del cambiamento costituzionale, seppur adottando il linguaggio dei diritti sociali.

A quali condizioni la nuova Costituzione si tradurrà in reali cambiamenti sociali?

Di per sé, la nuova Costituzione non risolverà nessun problema concreto e non decreterà la fine del neoliberismo. In questo senso, credo che sia necessario avere aspettative ragionevoli su ciò che può e non può fare una Costituzione. La nuova Costituzione può, per esempio, porre le basi concrete per i dibattiti e le mobilitazioni del futuro, nella misura in cui si raggiungano una distribuzione più ugualitaria del potere politico e norme che permettano di espandere i diritti sociali. Su un piano simbolico, la nuova Costituzione può anche mettere in circolazione parole e concetti di alternativa al neoliberismo forse ignoti alla maggior parte della popolazione. Detto questo, credo che ci siano quattro condizioni affinché la nuova Costituzione non diventi lettera morta. La prima è che il processo costituente venga capito, che la popolazione non lo ripudi a causa dei tempi lunghi necessari a realizzare cambiamenti strutturali concreti. È necessario che i principi e le parole d’ordine della nuova costituzione siano in grado di diffondersi tra la popolazione. La seconda è che le elezioni presidenziali e parlamentari di novembre abbiano un esito favorevole per le forze politiche che hanno la volontà di concretizzare la nuova Costituzione. In breve, con un governo di destra difficilmente si realizzerà un’espansione reale dei diritti. La terza è che si crei la capacità istituzionale per progettare, amministrare e implementare le politiche di un nuovo welfare, compresa la formazione nelle diverse sfere della società (economia, politica, cultura, istruzione) di intellettuali organici – per dirla con Gramsci – che mostrino al popolo come la politica possa cambiare aspetti concreti della vita. Infine, nel breve e medio termine, è necessario che la cittadinanza – organizzata e non – che partecipò o appoggiò la rivolta, resti coinvolta nel processo e incida su di esso tramite i diversi meccanismi partecipativi stabiliti dalla Convenzione, poiché la destra tenterà di approfittare di questi stessi meccanismi per influenzare il processo e frenare il cambiamento strutturale. Nel lungo periodo, come ha detto la Presidentessa della Convenzione Costituente Elisa Loncón nel suo discorso di apertura ai lavori sui contenuti, è necessario che la cittadinanza e i movimenti sociali usino la nuova Costituzione per “continuare a discutere e pensare un paese dove la dignità diventi costume”.