Il potere dal basso

Un articolo da La Jornada di Raul Zibechi rispetto a cosa sta cambiando in Messico

17 / 1 / 2017

Raúl Zibechi commenta con ottimismo la decisione presa dall’Ezln e dal Congresso Nazionale Indigeno dopo l’ampia consultazione e l’approvazione della proposta da parte di 43 diversi popoli. L’attenzione dei media si è già concentrata sulla portavoce indigena che verrà candidata nelle elezioni messicane del 2018.

È inedito per l'America Latina che decine di popoli e nazioni indigene decidano di dotarsi di un governo proprio. La recente decisione del quinto Congreso Nacional Indigena (CNI) di creare un Consiglio Indigeno di Governo, dopo la consulta e l’approvazione di 43 popoli, che si propone di governare questo paese, avrà profonde ripercussioni nel paese (il Messico, ndt) e nel mondo.

Come segnala il comunicato ¡Y retemblò!, siamo di fronte a decine di processi di trasformazione radicale, di resistenze e ribellioni che costituiscono il potere dal basso, che ora troverà espressione nel Consiglio di Governo. Allo stesso tempo, l’organismo avrà come portavoce una donna indigena, che sarà la candidata indipendente alle elezioni del 2018.

È il modo con cui i popoli indigeni hanno pensato di mettere nell’agenda elettorale del 2018 l’indignazione, la resistenza e la ribellione. In questo modo vogliono scuotere le coscienze della nazione per distruggere il potere dall’alto e ricostruirsi non solo come popolo ma anche come paese. L’obiettivo immediato è fermare la guerra, creare le condizioni per organizzarsi e superare collettivamente la paura che paralizza e provoca il genocidio dall’alto.

Nella parte finale il comunicato mette in evidenza che forse questa è l’ultima opportunità per i popoli originari e per la società messicana di cambiare pacificamente e radicalmente la forma di governo, facendo in modo che la dignità sia l’epicentro del nuovo mondo.

Fino a qui, a grandi linee, la proposta e il cammino per renderla reale. Guardando da distante richiama l’attenzione il fatto che i dibattiti dal passato mese di ottobre si siano focalizzati sulla questione della portavoce indigena come candidata alle elezioni del 2018, lasciando poco spazio al tema fondamentale che, credo, sia la costituzione del Consiglio Indigeno di Governo. È evidente che non si può comprendere la nuova cultura politica che incarnano il CNI e l’EZLN con i paraocchi della vecchia cultura, inquadrata in discorsi mediatici e nelle elezioni come forma quasi unica di fare politica.

Che i popoli originari del Messico decidano di creare un consiglio di governo sembra un fatto della massima importanza. Sono popoli e nazioni che non saranno governati più da nessuno se non da loro stessi. Milioni di uomini e donne stabiliscono il proprio autogoverno in forma coordinata, in un solo consiglio, che li rappresenta a tutti e tutte. Si tratta di un punto di svolta per gli indigeni, che avrà ripercussioni in tutta la società, come lo ebbe l’insurrezione del primo gennaio del 1994.

Qui devo fare alcune precisazioni rispetto alle interpretazioni più folli e, se mi sbaglio, chiedo scusa in anticipo. La cultura politica che praticano lo zapatismo e il CNI consiste nel promuovere l’autogoverno di tutti i settori della società: rurali, urbani, indigeni, contadini, operai, studenti, professionisti e tutti i settori che si desidera elencare. Mai hanno preteso di governare altri, non vogliono sostituire nessuno. Il comandare obbedendo è una forma di governo per tutti gli oppressi, che ognuno costruisce a suo modo.

Il comunicato dichiara che non vogliono competere con i politici professionisti, perché non sono uguali. Nessuno che conosca minimamente lo zapatismo, lungo questi 23 anni, può immaginare che si dedicheranno a contare i voti, ad ottenere incarichi in governi municipali, statali o federali. Non si dedicheranno ad aggiungersi o a sottrarsi alle sigle elettorali perché vanno da un’altra parte.

In tempi di guerra contro los de abajo, credo che la domanda che si fanno CNI e EZLN è: come possiamo contribuire all’organizzazione dei vari settori del paese? Non si tratta di organizzarli, questo è il compito di ognuno. Si tratta di capire come appoggiarli, come creare le condizioni per renderlo possibile. La candidatura indigena va in questa direzione, non come un voto aggiunto ma come possibilità di dialogo perché altri sappiano come hanno fatto loro.

La creazione del Consiglio Indigeno di Governo è la dimostrazione che è possibile autorganizzarsi; se milioni di persone, di popoli e nazioni possono, perché non posso nel mio quartiere, nel mio municipio o da altre parti? Se l’insurrezione del 1994 moltiplicò le ribellioni, contribuì alla creazione del CNI e di molteplici organizzazioni sociali, politiche e culturali, allora può succedere qualcosa di simile. Non c’è niente di tanto potente come l’esempio.

Quest’anno celebriamo il centenario della Rivoluzione di Ottobre. L’ossessione dei bolscevichi e di Lenin, che si può avvalorare nel meraviglioso libro di John Reed “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”, è che tutti si organizzino in soviet, anche coloro che fino a quel momento li combattevano. Chiamavano perfino i cosacchi, nemici della rivoluzione, a creare i propri soviet e inviare i delegati al congresso di tutta la Russia. La rivoluzione non si fa, si organizza, diceva Lenin. Indipendentemente da ciò che si pensa del dirigente russo, questa affermazione è il nucleo di qualsiasi lotta rivoluzionaria.

Il passare dell’indignazione e della rabbia per l’organizzazione, solida e persistente, è la chiave di qualsiasi processo di cambio profondo e radicale. La rabbia abbonda in questo momento. Manca organizzarla. Potrà la campagna elettorale del 2018 convertirsi in un salto in avanti nell’organizzazione dei popoli? Nessuno può saperlo. Però è un’opportunità perché il potere dal basso trovi espressione in diverse forme, incluso in atti e schede elettorali, perché la forma non è essenziale.

Riflettendo sui critici, che non sono pochi, invece di accusare il CNI e l’EZLN di essere divisionisti, potrebbero riconoscere la loro enorme flessibilità, essendo in grado di avventurarsi in terreni che fino a quel momento non avevano tentato e, di farlo, senza abbassare la bandiera, mantenendo in alto principi ed obiettivi. I prossimi mesi saranno decisivi per delineare il futuro degli oppressi e delle oppresse del mondo. È probabile che in pochi anni daremo valore alla formazione del Consiglio Indigeno di Governo, come la svolta che stavamo aspettando.

Traduzione a cura dell'Associazione YaBasta! ÊdîBese!

 
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