Il nuovo governo yemenita: come se la sta cavando?

Di Helen Lackner tradotto da Francesco Cargnelutti

1 / 2 / 2021

Il nuovo governo yemenita è espressione dell’Accordo di Riyadh che, promosso dall’Arabia Saudita, mira a sanare la frattura tra le forze separatiste del Consiglio di Transizione del Sud, sostenute dagli Emirati Arabi Uniti, e quelle del presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi, appoggiato dai sauditi. Per fare il punto sul primo difficile mese di attività, traduciamo questo articolo di Helen Lackner apparso su Arabdigest.org. Nella sua analisi, l’autrice sottolinea anche l’importanza, per le sorti della guerra, del futuro posizionamento dell’amministrazione Biden, le cui prime iniziative sullo Yemen sembrano anticipare un cambio di direzione rispetto alla strategia dei suoi due predecessori.

Ad un mese dalla nomina a lungo rimandata del nuovo governo riconosciuto dalla comunità internazionale (GRCI) in Yemen, quali risultati ha raggiunto? Il giuramento è stato prestato a Riyadh, ma il parlamento – che non ha ancora una sede – non lo ha ancora approvato, mentre i suoi membri si sono diretti ad Aden il 30 dicembre. Seguendo le normali procedure di sicurezza, l’intero governo e gli altri ufficiali hanno viaggiato sullo stesso volo, pubblicizzando i loro movimenti sui social media! Al loro arrivo, immediatamente dopo l’atterraggio, l’aeroporto è stato colpito da tre esplosioni, anche se il velivolo non è stato danneggiato. Tra la folla di benvenuto e altra gente, 25 persone sono state uccise, inclusi alcuni alti ufficiali e membri dello staff internazionale della Croce Rossa. Senza contare gli oltre 100 feriti.

Il primo ministro e il governo hanno subito attribuito la responsabilità dell’attacco agli Houthi. Questi, che di solito sono sinceri in queste faccende, se non in altre, hanno negato il loro coinvolgimento, e lo hanno invece attribuito a divergenze interne al GRCI. Anche i media ufficiali iraniani hanno condannato l’accaduto. A rafforzare questa tesi è il fatto che il tipo di armi utilizzate sia a raggio limitato, il che suggerisce che non avrebbero potuto essere usate dalle [troppo lontane, NdT] postazioni sotto il controllo degli Houthi. Ulteriori dubbi derivano dal fatto che il capo della sicurezza uscente di Aden (dopo mesi di resistenza, che lo ha anche portato ad impedire al proprio successore di prendere servizio) era uscito dall’aereo ed era stato visto correre via dall’aeroporto con dozzine di supporter immediatamente prima delle esplosioni. Accusare i separatisti del sud (per quanto leggermente dissidenti possano essere) dell’attacco avrebbe dato il colpo di grazia agli sforzi sauditi – portati avanti da tempo e con difficoltà – di formare questo governo. Per cui il comitato di inchiesta creato dal governo ha subito confermato le iniziali accuse contro i Houthi. E mentre gli USA e il Regno Unito accettano queste conclusioni, molti le rifiutano.

A suo merito bisogna dire che, a differenza di precedenti occasioni in cui i ministri sono stati attaccati ad Aden, il governo – ad un mese dalle esplosioni – è rimasto ed è ancora là. Ciò ha permesso all’Inviato Speciale dell’ONU di visitare Aden e di tenere discussioni con il governo, e al consiglio dei ministri di riunirsi ad Aden. Ma il governo non ha fatto molto più di questo. I problemi finanziari continuano ad attanagliare il governo. La tranche finale dei 2 miliardi di dollari americani che i sauditi hanno depositato per supportare il commercio internazionale è stata sborsata a dicembre 2020. Nell’assenza di un finanziamento aggiuntivo dall’Arabia Saudita, la Banca Centrale dello Yemen (BCY) stabilita ad Aden ha poco controllo sulla situazione finanziaria; non è chiaro se il sistema bancario alternativo del Consiglio di Transizione del Sud (CTS), che ha privato la BCY di entrate locali, sia ancora attivo. Il valore del Riyal yemenita continua a peggiorare: la nuova valuta stampata dal GRCI ha un tasso di cambio YR 800 = US$ 1 (sotto il governo Houthi il tasso è stabile a circa YR 600). Nel frattempo, il personale militare ha protestato ad Aden e ad Abyan chiedendo che i salari sospesi da mesi venissero pagati. Il 26 gennaio, il Ministro della Difesa ha annunciato che avrebbe pagato gli stipendi dei soldati ma solo per agosto e settembre 2020.

Gli aspetti militari dell’accordo di Riyadh rimangono in stallo. La Guardia Presidenziale, che secondo l’accordo dovrebbe ritornare ad Aden, rimane a Shuqra (a 100 km ad est di Aden, sulla costa) perché l’ingresso ad Aden le è stato impedito dal CTS. Nessun progresso è stato fatto sul terminale di gas di Balhaf che, insieme all’aeroporto di Mukalla/Riyan, rimane sotto il controllo degli Emirati Arabi Uniti, nonostante le richieste di cessione avanzate dal GRCI.

Il 7 gennaio, Aydaroos al Zubeidi, in un’intervista data ad un organo di stampa basato negli Emirati, l’auto-nominatosi presidente del CTS ha sostenuto posizioni totalmente intransigenti e dal pugno duro che avrebbe potuto benissimo essere state presentate il giorno in cui il CTS ha annunciato il uso auto-governo in aprile 2020 [quando, cioè, la divergenza tra il CTS e il governo del Presidente Hadi sostenuto dalla coalizione internazionale a guida saudita era massima, NdT]. Nell’intervista, al Zubeidi ha esplicitamente fatto appello alla “restaurazione” dello stato del sud; sta anche facendo nomine militari in via del tutto unilaterale, proprio mentre il CTS si oppone alle nomine di alti ufficiali fatte dal presidente Hadi.

Nel frattempo, l’amministrazione Trump, nelle sue ultime ore, com’era da aspettarsi e ignorando completamente la sopravvivenza di 30 milioni di yemeniti, ha dichiarato il movimenti Houthi come Organizzazione Terroristica Straniera. Il movimento è stato e continua ad essere contrastato dal mondo intero ad eccezione del GRCI e delle autorità saudite. Anticipando le lunghe procedure richieste per modificare questa decisione, l’amministrazione Biden, ad una settimana dall’inaugurazione, ha opposto questa mossa rilasciando una licenza temporanea che ha effettivamente cancellato per un mese la designazione originale [sospendendo quindi temporaneamente la classificazione degli Houthi come organizzazione terroristica, NdT].

Anche se questa modifica non piace al GRCI, è un passo nella giusta direzione per il popolo yemenita, che spera disperatamente in miglioramenti per il 2021. Anche se il 2020 ha visto “solo” 2155 bombardamenti aerei, questa cifra rappresenta l’82% in più di quelli del 2019, l’anno con il minor numero di attacchi dall’inizio della guerra. Altri aspetti della vita in Yemen sono peggiorati significativamente nell’ultimo anno: oltre al nuovo problema del Covid-19, la cui gestione in Yemen è stata peggiore che altrove (un record, vista la competizione), ci sono stati “solo” 235.000 casi sospetti di colera, e il numero di strutture mediche operative non ha superato la metà del totale. L’appello umanitario dell’ONU ha raggiunto solo la metà di quanto richiesto per l’intero anno, nonostante la cifra richiesta sia significativamente al di sotto dei bisogni. Il 14 gennaio, il Sottosegretario dell’ONU per gli Affari Umanitari e il Soccorso di Emergenza ha ammesso che “circa 50.000 persone stanno essenzialmente morendo di fare in quella che all’inizio era solo una carestia circoscritta. Altri 5 milioni sono giusto un passo dietro di loro”.

La prime indicazioni della nuova amministrazione USA sulla priorità data allo Yemen sono incoraggianti e, si spera, saranno seguite da ulteriori interventi positivi: aumento degli aiuti umanitari e fine della vendita di armi e munizioni ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono nell’agenda statunitense (martedì [26 gennaio, NdT] alti dirigenti della Raytheon hanno ammesso che si aspettano che Biden bloccherà una vendita di bombe Paveway ai sauditi dell’ammontare di 519 milioni di dollari). Un’ulteriore ed importante iniziativa degli USA sarebbe la promozione di una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che vada a sostituire la 2216, che è superata e che compromette l’efficacia delle Nazioni Unite. Anche la nomina di un nuovo Inviato Speciale, privo di “bagaglio” politico, come la “reimpostazione” delle relazioni con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti aiuterebbero a dare priorità ai diritti umani e alla libertà di espressione rispetto agli interessi commerciali e all’industria bellica.