Il fallimento del dialogo nazionale

di Lda
2 / 11 / 2013

Questo articolo sarebbe dovuto essere incentrato sull'allarme terrorismo e sulla crescente instabilità del Paese, sulle sparatorie e gli arresti di salafiti di Ansar al-Sharia a Sidi Bouzid, sul kamikaze che si è fatto esplodere a Sousse due giorni fa, e su come tutto questo sia probabilmente manovrato da Ennahda. Ma volevo anche parlare della drammatica vicenda di alcuni "feriti della Rivoluzione" che, esasperati dopo tre anni di silenzio da parte delle istituzioni, rispetto alle proprie rivendicazioni, hanno deciso di impiccarsi in piazza della Casbah a Tunisi, di fronte ai palazzi del potere (fortunatamente sono stati salvati).

Invece mi trovo a dover descrivere in che modo subdolo Ennahda in questi mesi abbia solo preso tempo, ingannando le opposizioni, il Quartetto dei mediatori e la società civile tunisina, promettendo che avrebbe lasciato il governo del Paese (ma come dice sarcasticamente il sito TunisieNumerique, non il potere!).

Riassumendo la vicenda si può dire che il Dialogo nazionale, il processo di mediazione tra la troika di Governo e il Fronte di Salute Nazionale, avrebbe dovuto portare oggi, 2 novembre, alla designazione del nuovo premier, che avrebbe formato un governo indipendente al fine di terminare la redazione della Costituzione e di portare la Tunisia alle elezioni. Nei giorni scorsi ogni partito aveva proposto dei candidati, rigorosamente "tecnici" e non affiliati ai partiti e dopo una scrematura si era arrivati a due nomi, Ahmed Mestiri, sostenuto da Ennahda, che nella votazione di ieri sera ha avuto 4 voti, e Mohamed Ennaceur, sostenuto dal FSN, che ne ha avuti invece 14.

Vedendo il “proprio” candidato sconfitto, Ennahda ha semplicemente dichiarato che non accetterà di passare il testimone a Mohamed Ennaceur. Alla faccia del dialogo.

Perché Ennahda doveva lasciare il potere.

Ennahda prometteva da mesi di lasciare il governo, vista la situazione di stallo istituzionale e la crescente tensione sociale che si era creata, ma per un motivo o per l'altro le dimissioni sono sempre state rimandate. Il caso più eclatante è quello del 23 ottobre, giorno in cui il premier Larayedh si è rimangiato la promessa di dimissioni, in seguito all'uccisone di 6 poliziotti a Sidi Ali Ben Aoun in un agguato organizzato dai terroristi di Ansar al-Sharia.

Il principale timore è che, in conseguenza agli attacchi a istituzioni, civili e cittadini stranieri che sono seguiti al 23 ottobre, Ali Larayedh non presenterà le dimissioni al termine del Dialogo Nazionale, ancora una volta in nome della sicurezza nazionale. Questo timore è talmente forte che alcuni danno per scontato che nei prossimi giorni si verificheranno nuovi attacchi terroristici, proprio per legittimare il governo a restare al suo posto. In tal caso risulterebbe sempre più evidente che la mano che muove questi gruppi jihadisti è quella del governo.

Ma queste analisi provengono da chi crede che ci debba essere una logica dietro ogni avvenimento, e che la costruzione di una particolare situazione fosse necessaria per legittimare il governo a rimanere al potere.

In realtà il governo ha scelto una via ancora più facile: al momento della resa dei conti, quando il proprio candidato come futuro premier è uscito sconfitto nell’ambito del Dialogo Nazionale, Ennahda ha negato ogni mediazione, rifiutando di accettare l’esito delle votazioni. Ennahda ha semplicemente sostenuto, contrariamente agli accordi che definiscono le trattative tra governo e opposizioni, che non si poteva imporre ad un partito con 90 seggi in parlamento di accettare l’imposizione di una minoranza. E rimane al potere.

Vedremo nei prossimi giorni l’evolversi della vicenda, ma le probabilità di trovare una soluzione condivisa sono sempre più esigue, mentre invece iniziano a crearsi i presupposti per una replica di quanto è successo in Egitto e/o di una guerra civile a bassa intensità.