Il Brasile delle lotte

Intorno all'autogoverno e alla pratica delle occupazioni

8 / 9 / 2013

Chi pensava che in Brasile non ci fosse stato niente fino a questo giugno, evidentemente si sbagliava di grosso. Sicuramente il protagonismo giovanile, come abbiamo scritto qui (nell'articolo Il racconto dei crianças), è un fattore nuovo nel panorama delle lotte brasiliane, così come l'intervento metropolitano e alcune pratiche comuni con i tumulti globali. Eppure, molte delle esperienze politiche che abbiamo visto ci riportano ad una tradizione di occupazioni, autogestioni e autogoverno che si radica indietro negli anni, a partire principalmente da strutture organizzate sindacali, così come dall'iniziativa autonoma dei cittadini.

Il caso sicuramente più interessante è quello di Jandira, dove sorge una Comuna Urbana nelle prima periferia di Sao Paulo, nata dalla lotta per il diritto all'abitare delle famiglie rimaste senza casa e l'intervento del Movimento Sem Terra. La rete delle duecentocinquanta famiglie, dopo una prima occupazione di un terreno non edificato, ha trovato questa sinergia con l'MST riuscendo a coniugare la pratica dell'occupazione con rivendicazioni puntuali. L'occupazione del seminario e delle terre circostanti non ha soltanto affermato una proprietà comune strappandola alla speculazione e all'incuria, ma ha anche rivendicato un diritto alla moradia e alla città, comprese le sue ricchezze. L' MST e le famiglie sono riuscite ad imporre un rapporto di forza direttamente con il governo Lula, da cui sono riusciti ad ottenere dei finanziamenti per l'acquisto del terreno e il progetto di costruzione edilizia. Rivendicando direttamente la ricchezza collettiva per migliorare le proprie condizioni di vita, la Comuna di Jandira l'ha utilizzata per costruire il suo spazio autonomo di cittadinanza, ossia disegnando e costruendo una piccola città comune in base ai bisogni e ai desideri di chi la vive. Il progetto di autocostruzione delle case ha concepito il villaggio attorno ad una piazza- anfiteatro, luogo centrale per le relazioni sociali e i momenti di discussione politica. La disposizione degli ambienti cittadini è tale da garantire la cirolazione dell'economia locale e degli incontri, con molta attenzione per gli spazi comuni di socialità.

La Comuna ha un proprio meccanismo istituzionale che si fonda sull'autogoverno del villaggio: i vari cittadini sono riuniti sotto nuclei, che corrispondono più o meno a dei quartieri, dentro cui vengono avanzate le proposte e i ragionamenti politici; successivamente, i portavoce di questi nuclei si trovano per mettere in comune quello che si discute all'interno del proprio.

La decisione non viene stabilita per votazione ma con il cosiddetto “metodo del consenso”, che permette una partecipazione diretta di tutti i cittadini e la fluidità della discussione attraverso il movimento costante tra nuclei e assemblea dei portavoce. E' così che, con un processo del tutto autonormativo, si costituisce la vita in comune degli abitanti di Jandira.

La mobilitazione attorno alla moradia a Jandira ha esercitato un potere costituente nel momento in cui è riuscita a forzare il diritto, le istituzioni della governance per ampliare i propri spazi di agibilità e praticare il suo obiettivo, restituendo la casa a chi la rivendicava e avanzando un nuovo tipo di istituzionalità nei territori. Il riconoscimento ottenuto da Lula e i finanziamenti non hanno infatti vincolato né catturato la spinta conflittuale della Comuna: a parte la completa autonomia decisionale per quanto riguarda la gestione della città, gli abitanti assieme all' MST sono riusciti ad aprire un ambito vertenziale sul diritto alla casa che ha esteso l'esperienza, facendo proliferare nuove occupazioni di territori a scopo abitativo.

Da una parte questo evidenzia la continua rottura dei soggetti in lotta per garantire la casa, dall'altra la necessità della contaminazione con altre esperienze per sostanziare la propria situazione politica. Questo è stato dimostrato dalla prima rete di famiglie e dall'MST, che ha dovuto calibrare il suo intervento in una dimensione urbana piuttosto che rurale, quando hanno deciso di fondare formalmente una cooperativa autorganizzata che potesse avere i mezzi legali e formali per supportare e difendere le varie occupazioni.

In generale, il Movimento Sem Terra ha aperto molte esperienze di autogestione nelle zone rurali, muovendosi tra questo uso espansivo del diritto e le rivendicazioni agricole. La COPAVI di Paranacity ne è un esempio, così come altre occupazioni che continuano negli anni in questo stato al sud del Brasile. La forma cooperativa che assumono le occupazioni delle terre è funzionale da una parte per sganciarsi dalla logica del latifondo fondato sulla schiavitù lavorativa, dall'altra per avere un'interfaccia formale che possa richiedere dai governi locali e federali finanziamenti per implementare l'occupazione.

L'accampamento di Puricatù, occupato da 6 anni, è riuscito in questo modo a fondare una scuola elementare e media al suo interno, permettendo ai bambini di accedere all'istruzione basilare. Tutto ciò, mantenendo sempre la propria indipendenza.

Anche le lotte per la moradia nelle grandi metropoli si inseriscono in questa dinamica. Come per la Comuna di Jandira, le occupazioni dei palazzi non mirano solo all'emergenzialità dei non aventi casa: un'occupazione significa praticare il diritto alla città, aprire spazi di conflitto affinché la vita metropolitana possa migliorare continuamente. Come dicono gli attivisti del MLNM, l'abitare è un diritto che deve essere accompagnato dal diritto universale al trasporto, ai servizi e al welfare, soprattutto per quelle zone della città più marginali come possono essere le favelas.

Un dato interessante, assolutamente non esaustivo, riguarda la composizione che ha animato queste esperienze, vissuta in una condizione di subalternità tipica di una favela brasiliana o del lavoro agricolo. Una condizione che disciplina e controlla la popolazione marginale, facendo interiorizzare norme di obbedienza e rapporti di potere dal punto di vista etnico, di genere e sociale: non è segreto il fatto che nelle zone agricole e nelle favelas ci siano ancora forti forme di razzismo - fenomeno molto complicato in brasile, visto che la popolazione brasiliana è essa stessa un ibrido tra diverse etnie - perlopiù nei confronti degli afro-discendenti; così come le discriminazioni, violenze e maltrattamenti, derivanti da una cultura macista diffusissima, nei confronti delle donne costituiscono la forma famiglia tradizionale.

Di fronte a questo, è sorprendente come il conflitto e l'autogoverno riescano a rendere potente la subalternità, creando delle nuove forme di vita e una nuova etica collettiva: ciò che riproduce i rapporti di forza e norma gli individui si rompe, rendendo sovversiva la subalternità con il mutualismo, l'autodeterminazione dei soggetti e il senso di collettività. Proprio a partire dalla condizione comune dell'essere subalterni, si dà quella forza collettiva che supera i modelli sociali imposti creando una comunità politica alternativa. In tutte queste situazioni, abbiamo infatti visto un elevato protagonismo femminile, una convivenza virtuosa tra diversi e l'eliminazione di qualsivoglia gerarchia sociale.

Questo è il background con cui si presenta il Brasile, ereditato anche dai movimenti degli ultimi mesi per quanto riguarda l'attitudine all'organizzazione e all'autogoverno, come ci dicono le varie esperienze ancora embrionali di #Ocupa, sebbene trasformati e messi in pratica in modo differente e nuovo.