Honduras - L'estrattivismo che uccide

13 / 7 / 2016

Ti ruba tutto. Comincia obbligandoti a dedicare il tuo tempo, la tua vita, esclusivamente al lavoro. Poi rivolge le sue mire alla terra in cui vivi: stupra, cementifica, mercifica, avvelena acqua e terra. Ti rende insicuro con la sua violenza: se alzi la voce e difendi i beni comuni ti caccia dalla tua terra con i suoi servi in divisa; se resisti e protesti ti priva della libertà, perchè al mondo non esiste peggior crimine di quello contro il capitale e il libero scorrere di fiumi di denaro. Ma la dignità, la voglia di giustizia, quella vera, e di pace non si sconfiggono tanto facilmente, così non gli rimane altro da fare che prendersi il tuo respiro.

Questa è la triste realtà del sistema economico capitalista, che ora, a seguito della crisi sistemica, si è evoluto, trasformato, ed è diventato, se possibile, ancora più spietato. Capitalismo estrattivo lo chiamano, perchè non è fondato solo sul potere del mercato e del denaro ma arraffa tutto ciò che può essere monetizzato divorando la vita in ogni suo aspetto; annienta ogni diritto umano e depreda ogni risorsa terrestre. Estrae acqua, gas, petrolio e ogni genere di materiale, devasta l’ambiente per costruire dighe per lo sfruttamento energetico. E ancora controlla coltivazioni e allevamenti intensivi, è responsabile di deforestazione, inquinamento anche se ultimamente si è dato un aspetto piú ecologico con la nuova moda delle energie rinnovabili.

In questa nuova fase tutto deve avere una valenza economica e quindi tutto deve essere gestito secondo questa logica perversa e contraria alla Vita da qualsiasi punto di vista la si guardi. Questo è il mondo in cui viviamo, questo è il mondo che Lesbia Yaneth Urquía combatteva mettendoci la faccia e il cuore. E questo è quello che le è accaduto: l’hanno seguita mentre faceva il quotidiano giro in bicicletta nel quartiere; l’hanno ammazzata fracassandole il cranio, a quanto pare con un machete e l’hanno abbandonata priva di vita nei pressi di una discarica. Lesbia Yaneth Urquía era un’attivista hondureña, il suo impegno politico si era espresso in maniera forte negli ultimi mesi contro il progetto idroelettrico Aurora I dell’impresa della vicepresidente del congresso Gladys Aurora Lopez e di suo marito Arnold Castro nel dipartimento di La Paz. Il suo omicidio è avvenuto alla vigilia della consultazione popolare nella quale i popoli indigeni possono esprimersi in merito al progetto di sfruttamento del loro territorio. Appare dunque chiara, a chi vuol vedere oltre le ridicole regole della giustizia ufficiale, la matrice politica del suo assassinio; ed è chiaro il messaggio che lancia a quanti vogliano opporsi a tale progetto. La mano che ha armato il machete è sicuramente al soldo di un potere senza scrupoli e criminale, a cui la vita umana non interessa. Come è successo con Berta, a pagare saranno probabilmente i pesci piccoli, nessuno metterà mai in discussione il fatto che sia questo sistema economico malato a produrre tanto orrore e questi corto circuiti disumani.

Perfino le Nazioni Unite, tramite tre suoi relatori, John Knox, Relatore sui Diritti Umani e l’Ambiente, Michel Forst, Relatore sulla situazione dei Difensori dei Diritti Umani e Victoria Tauli Corpuz, Relatrice sui Diritti dei Popoli Indigeni, si sono pronunciate così solo pochi giorni fa: “Difendere la terra e l’ambiente sono attività letali in alcuni paesi e i diritti umani sono violati continuamente, incluso il diritto più elementare, quello alla vita.” Secondo l’ONG Global Witness infatti dal 2002 al 2014 ci sono stati 1024 omicidi di ambientalisti e di questi addirittura 923 sono avvenuti in America Latina; a guidare questa triste classifica ci sono Brasile, Colombia, Honduras, Filippine, Messico, Perú e Guatemala. È stato proprio l’omicidio di Berta Caceres che ha motivato questa relazione da parte delle Nazioni Unite. In questo contesto di guerra dell’estrattivismo contro l’umanità, l’Honduras è il caso esemplare di come essere ambientalisti possa essere in realtà molto pericoloso: in poco più di dieci anni sono 114 gli ecologisti ammazzati in circostanze violente. Nella quasi totalità dei casi le indagini non hanno portato a niente, di sicuro restano impuniti i mandanti politici di tutti questi omicidi.

È una guerra senza frontiere che non risparmia niente e nessuno. È una guerra all’ambiente, sottoposto a un’incessante sfruttamento che non tiene minimamente conto dei possibili effetti collaterali sia sull’ambiente stesso sia sulla vita umana. È una guerra all’uomo perchè non c’è spazio per idee alternative, non c’è spazio per una convivenza pacifica: o si obbedisce a testa bassa alle regole e alle leggi imposte dall’alto o, se si protesta, si incorre all’eliminazione fisica degli oppositori. È una guerra celata dietro lo specchietto dello sviluppo, del progresso, del benessere. Ma sappiamo che non c’è niente di tutto ciò in una diga che cambia drasticamente l’assetto geografico di intere regioni, sommergendone alcune parti, desertificandone altre. Non c’è niente di tutto ciò in progetti di sviluppo ecosostenibile in remote località americane, africane o asiatiche che nel giro di pochi anni sono costrette a fare i conti con problemi ambientali mai avuti in precedenza. Non c’è niente di tutto ciò perfino nei programmi di aiuto verso paesi poveri, perchè lo sviluppo sfrenato porta con sè sempre gravi violazioni di diritti umani e di devastazione ambientale.

Non c’è niente di umanamente sostenibile in tutto ciò, eppure ogni volta che una Berta o una Lesbia vengono ammazzate, ogni volta che un Facundo Jones Huala viene imprigionato, ogni volta che una Máxima Acuña viene minacciata di morte, ogni volta che il mondo assiste inorridito alla veemenza della repressione contro i maestri della CNTE in Messico, versa lacrime di coccodrillo per dimenticarsi di questi drammi all’indomani.

Ma noi abbiamo una grande responsabilità, a tutto questo dobbiamo dire no, dobbiamo organizzare ed unire le lotte e, come dicono gli zapatisti, affrontare questi muri tanto ostili producendo quelle crepe in grado di produrre cambiamenti reali. Non una sterile opposizione ma una reale e credibile alternativa, che rispetti l’ambiente e l’uomo, che sia sostenibile alla Vita.

Coltivare la ribellione, costruire l’alternativa, unire le resistenze, è questo il grande compito che spetta ai movimenti, dall’Europa Fortezza all’America Latina dei grandi progetti e delle miniere a cielo aperto, dal Medio Oriente dell’instabilità e delle guerre, all’America del Nord, fulcro e centro di comando del sistema.

*** È attivista del Centro Sociale Rivolta di Marghera e dell’associazione Ya Basta! Êdî bese! con cui ha organizzato numerose carovane in Messico e collaborato alla realizzazione di progetti di solidarietà con le comunità indigene zapatiste, tra i quali il progetto El Estadio del Bae, Agua Para Todos e Que corra la voz. Saltuariamente racconta su Sportallarovescia il doping nel ciclismo. Nel tempo sottratto alla libertà dal capitalismo, fa l’educatore a ragazzi con disabilità. Quando può cammina domandando per il mondo...