Giustizia sociale in Marocco - Solidarietà agli arrestati dell’Hirak

13 / 6 / 2017

Sono passati ormai più di sette mesi da quando Mouhcine Fikri, venditore di pesce di Al Hoceima, moriva schiacciato in un autocompattatore della nettezza urbana durante il sequestro della sue merce da parte delle forze dell’ordine. Nei giorni immediatamente seguenti, l’indignazione contro gli abusi di potere e la marginalizzazione delle regioni arretrate generò una fiammata di manifestazioni in tutto il paese (1). È però nel Rif, regione storicamente ribelle nel nord ovest del paese, che le proteste hanno trovato uno slancio di lunga durata continuando a intensità variabili fino a oggi (2). Le mobilitazioni per i diritti sociali, lo sviluppo locale e la dignità dell’identità amazigh (3) hanno visto una nuova impennata recentemente, in particolare con lo sciopero generale e la grande manifestazione del 18 maggio 2017.

Di fronte alla persistenza del movimento (alla faccia delle rituali promesse di dialogo), il regime si è risolto all’uso massiccio della forza bruta, nonostante in tempi normali la monarchia dedichi una grande attenzione alla cura della propria immagine all’estero. L’occasione è arrivata il 26 maggio, quando Nasser Zefzafi – il leader più conosciuto del movimento – ha interrotto la predica dell’imam locale con le ormai famose parole: “Questa è la casa di dio, non del Makhzen!”. Dove Makhzen è la tipica espressione per indicare il potere centrale marocchino. La polizia è intervenuta generando una notte di scontri tra forze dell’ordine e popolazione. Il giorno seguente il Ministero degli Affari Islamici ha condannato il comportamento di Zefzafi come ostacolo alla pratica religiosa e la polizia ha emesso un mandato di cattura nei suoi confronti. Così il 29 maggio Zefzafi è stato arrestato. Tra il 26 e il 31 maggio sono 71 gli arresti effettuati, secondo Amnesty International. Nel frattempo, mentre altre figure di spicco del movimento vengono private della libertà, le manifestazioni di solidarietà si ripetono quotidianamente ad Al Hoceima e si allargano alle principali città del Marocco e ad alcuni centri della diaspora marocchina in Europa.

Il principale riferimento ideologico dell’Hirak è il nazionalismo amazigh, cosa che ha suscitato varie forme di perplessità a sinistra come a destra. Ma la sinistra radicale (in particolare Attac Marocco, Ennahj Eddimoucrati e la Fédération de la Gauche Démocratique) ha dato un chiaro e netto sostegno al movimento. È infatti chiaro che non si tratta “solo” del Rif e dell’identità amazigh, ma di una grande e determinata mobilitazione di popolo contro l’arroganza delle autorità e le grandi inuguaglianze che caratterizzano il paese. Come si legge in un appello sottoscritto da numerosi intellettuali marocchini: “La maggioranza delle rivendicazioni dei manifestanti del Rif non è specifica a questa regione marginalizzata. Tali rivendicazioni riguardano tutti i marocchini che aspirano a una vita e a un futuro migliore per loro e per i loro figli: la giustizia sociale, una equa distribuzione delle risorse, una amministrazione funzionante e uno sviluppo economico sostenibile. Insomma, delle reali pratiche democratiche. Se i marocchini del Rif manifestano oggi questo desiderio con una certa determinazione, altri strati della popolazione e altre regioni potrebbero non tardare a dare vita ai propri Hirak se la situazione non cambia in modo concreto e positivo. C’è chi soffre allo stesso modo di una corruzione strutturale e di molteplici forme di precarietà e d’esclusione”. (4).

Domenica 11 giugno una grande manifestazione ha avuto luogo nella capitale Rabat, raccogliendo decine se non centinaia di migliaia di persone. Alcuni hanno paragonato l’atmosfera di domenica a quella dei tempi del Movimento 20 Febbraio. Nonostante le grandi differenze, oggi come allora sensibilità politiche assai disparate (tra cui alcuni gruppi islamisti) hanno trovato un terreno di intesa nelle rivendicazioni per i diritti civili e socioeconomici. Il giorno seguente è stato lanciato su Facebook un appello internazionale alla solidarietà per gli arrestati dell’Hirak, che invita a mandare foto dall’estero per la liberazione dei prigionieri politici (5). Tali arresti sono stati condannati, tra gli altri, anche da Amnesty International: “Ad alcuni detenuti è stato impedito di vedere il proprio avvocato a tempo debito. In alcuni casi, gli avvocati che hanno potuto vedere i propri clienti al tribunale di Al Hoceima hanno riportato che i loro assistiti avevano evidenti contusioni e dichiaravano di essere stati picchiati in seguito all’arresto. Sospettiamo anche che tra gli accusati di crimini contro la sicurezza dello stato ci siano anche manifestanti pacifici e blogger che diffondevano notizie sulle proteste via social media” (6).

Le proteste degli ultimi mesi e l’ampia risonanza che hanno avuto in tutto il paese dimostrano una volta di più che una parte della popolazione marocchina non è tanto soddisfatta dello status quo quanto viene fatto credere dalla stampa occidentale. La lotta di chi, alle porte dell’Europa, non si rassegna a sopportare le peggiori forme di precarietà e di disprezzo non può essere soppressa nel silenzio.

(1) http://www.globalproject.info/it/mondi/la-morte-di-un-giovane-precario-infiamma-il-marocco/20434

(2) http://www.globalproject.info/it/mondi/marocco-il-rif-in-rivolta/20850

(3) http://telquel.ma/2017/05/28/revendiquent-les-militants-du-hirak-dal-hoceima_1548373

(4) http://telquel.ma/2017/06/12/hirak-quen-disent-chercheurs-en-sciences-humaines-sociales_1550319

(5) https://www.facebook.com/SolidarityHirak/

(6) https://www.amnesty.org/en/latest/news/2017/06/morocco-rif-protesters-punished-with-wave-of-mass-arrests/