Giorni instabili. Scenari dalla Germania post-elettorale

Le negoziazioni per il nuovo Governo tedesco tra (in)stabilità e clima repressivo

25 / 1 / 2018

Il principio della stabilità costituisce uno degli essenziali del Grundgesetz, la legge fondamentale tedesca approvata nel 1949 come testo costituzionale provvisorio della Germania federale. Fu estesa ai nuovi Länder dell’Est dopo la riunificazione nel 1990, senza alcuna forma di ratifica popolare, diretta o indiretta. Una “sorta di costituzione”, quindi, scritta subito dopo gli orrori del nazismo e studiata, in teoria, per evitare il ripetersi della più grande catastrofe politica del Novecento. Una carta che individuava proprio nell’instabilità politica del periodo della Repubblica di Weimar uno degli elementi che aveva reso possibile l’ascesa della NSDAP hitleriana. E che cercava, “in negativo”, di correggere quell’elemento. Stabilità, quindi, stabilità come un mantra, stabilità ad ogni costo. Anche al costo di diminuire il potere del Bundestag, la camera bassa, dove è possibile presentare una mozione di sfiducia verso il governo in carica soltanto se, contestualmente, si concede la fiducia a un altro esecutivo. Anche al costo di limitare enormemente l’utilizzo del referendum popolare, che sono vincolanti soltanto in casi limite. E anche al costo di mettere fuorilegge il partito comunista tedesco nel 1956.

È un mantra, quello della stabilità istituzionale, che in Germania per quasi settant’anni ha funzionato piuttosto bene. La politica tedesca è rimasta imperniata sui due grandi Volksparteien, i partiti popolari, i Cristiano-democratici della CDU-CSU (il partito gemello e alleato che si presenta solo in Baviera) e i socialdemocratici della SPD. In quasi settant’anni, i cancellieri della Germania federale sono stati soltanto sette. In media poco meno di dieci anni, con soltanto un breve periodo di relativa instabilità fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli Settanta, gli anni di Willy Brandt e della Ostpolitik per intendersi. Tutto il contrario della nostra Prima Repubblica. Raro il ricorso alle elezioni anticipate. Poche le forze politiche rappresentate in Parlamento grazie allo sbarramento del 5% previsto dalla legge elettorale (anch’essa ancorata alla legge fondamentale) e alla capacità dei grandi partiti popolari di raccogliere fino al 90% dei consensi elettorali. Basti pensare che fino agli anni Ottanta inoltrati erano stati soltanto 3, SPD, CDU e liberali. A cui si aggiunsero i verdi nel 1983 e dopo la riunificazione la sinistra radicale. I voti di sfiducia costruttiva, in settant’anni, sono stati soltanto due, di cui uno non andato in porto.

Stabilità. Fino ad oggi. O meglio, fino allo scorso settembre, quando si sono tenute le elezioni federali per il rinnovo del Bundestag, che hanno restituito il Parlamento più instabile della storia della Germania. La SPD e la CDU hanno portato a casa entrambe il loro peggior risultato di sempre e insieme superano appena la metà dei voti validi. In Parlamento sono presenti ben sette partiti. Oltre ai socialdemocratici, i cristiano-democratici e il loro partito gemello bavarese, i cristiano-sociali, hanno superato il 5% Die Linke, i liberali, i Verdi e Alternative für Deutschland. Un partito, questo, nato come un partito di professori conservatori e euroscettici e tramutatosi nel giro di qualche anno in una forza politica xenofoba e reazionaria, intrisa di sessismo e razzismo. Nel Bundestag alcuni dei suoi rappresentanti negano apertamente l’Olocausto ed elogiano l’operato dell’esercito tedesco durante le due guerre mondiali.

Così, la formazione di un governo in Germania non è mai stata così difficile. Il Paese è senza esecutivo da più di tre mesi, un vero record. Angela Merkel, leader del partito di maggioranza relativa, ha tentato di formare una coalizione traballante con i liberali e i verdi, la cosiddetta coalizione Giamaica (i colori dei tre partiti sono gli stessi della bandiera del paese caraibico: nero giallo e verde). La cancelliera ha persino sacrificato Schäuble, il totemico super-ministro delle Finanze che da oltre un decennio è l’ispiratore delle politiche di austerità che hanno messo in ginocchio l’Europa. Tutto inutile. I colloqui si sono ben presto arenati e i liberali hanno abbandonato il progetto. Così non resta che un’alternativa: la buona vecchia Große Koalition, la collaborazione con la SPD, con la quale Merkel ha governato negli ultimi quattro anni e, ancor prima, fra il 2005 e il 2009. Il tutto per scongiurare quello che è per la cancelliera, ma anche per la SPD, un vero e proprio incubo, vale a dire il ritorno alle urne nel giro di qualche mese, con il rischio di vedere ulteriormente ridotto il proprio consenso e con la  certezza di certificare irrimediabilmente la fine della gloriosa stabilità teutonica.

Certo a Merkel una nuova Große Koalition conviene. I socialdemocratici si sono dimostrati in questi anni altamente compatibili con il progetto politico merkeliano, ben più dei liberali, soprattutto per quanto riguarda le politiche sociali. Dopotutto il sistema di workfare Hartz IV, basato su sussidi erogati sotto il ricatto costante del lavoro che hanno favorito l’estendersi del bacino dei working poor, è stato ideato proprio da Schröder nel 2003, l’ultimo cancelliere socialdemocratico.

Ma è un’opzione molto più difficile da praticare che in passato. Anzitutto è stata sonoramente bocciata dagli elettori (con affluenza in crescita peraltro): SPD e CDU/CSU hanno perso insieme il 14% dei consensi. Sarebbe dunque un governo con una legittimazione ben più debole, la riproduzione stanca e spompata di una formula che ormai convince sempre meno. Inoltre, era stato lo stesso Martin Schulz, candidato della SPD, ad escludere categoricamente una riedizione della grande coalizione poche ore dopo la chiusura delle urne. I socialdemocratici, aveva detto, andranno all’opposizione, anche e soprattutto per cercare di recuperare i consensi perduti dopo un logorante appiattimento sulle politiche ordoliberali di Merkel (il partito ha raggranellato appena il 20%, il peggior risultato dal 1932). Ciononostante, Schulz ha fatto nelle ultime settimane, dopo il fallimento dell’opzione Giamaica, un’imbarazzante dietrofront e i vertici del partito hanno deciso di iniziare dei colloqui esplorativi per valutare la possibile entrata in un nuovo esecutivo a guida Merkel. Una mossa che dimostra una volta di più l’inconsistenza politica dei socialdemocratici, oramai incapaci di articolare una propria posizione che sia autonoma da quella dei cristiano-democratici. In più, la partecipazione della SPD ad un eventuale governo lascerebbe campo libero in Parlamento alla AfD, che diventerebbe la prima forza di opposizione in virtù del 13% dei voti guadagnati alle elezioni di settembre. Uno scenario certamente inquietante che aprirebbe la strada a un rafforzamento del partito xenofobo. Senza contare che la CSU in Baviera ha ottenuto il peggior risultato della sua storia proprio a causa della crescita della AfD e da Monaco si chiede a gran voce una svolta a destra.

È in questo clima di grande instabilità che sono cominciati i colloqui esplorativi. Per alcune settimane una commissione mista formata da esponenti di CDU-CSU e SPD si è confrontata in maniera serrata, per cercare di arrivare a un accordo preliminare di governo. E alla fine lo hanno trovato. Un documento di trenta pagine che non dice nulla e, al contempo, dice molto. Non dice nulla o quasi sulle richieste originali dei socialdemocratici, che hanno tentato in extremis una confusa quanto inefficace e superficiale svolta a sinistra. Nessun aumento dell’aliquota fiscale sui redditi più alti. Nessuna Bürgerversicherung, una sorta di assicurazione sanitaria di cittadinanza che avrebbe dovuto superare l’attuale sistema assicurativo semi-privato (e costoso per i lavoratori). Briciole elargite allo stato sociale per pensioni e sussidi. Dal punto di vista sociale, un vero e proprio  «Weiter-so», avanti così, nella stessa maniera, senza cambiare nulla. Dice molto, invece, sui migranti. Viene posto un limite di 180.000-220.000 ingressi annui, per quanto informale, mentre i ricongiungimenti familiari non potranno superare i 1000 al mese (una clausola che metterà ulteriore pressione su Grecia e Italia). Niente riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2020 (l’obiettivo originario doveva essere la riduzione del 40% rispetto ai livelli del 1990). Si tiene il punto sul pareggio di bilancio e si continua la melensa dichiarazione di intenti sul valore dell’Europa che ormai non convince più nessuno. E infine, forse l’unica novità di rilievo, si firma un Patto per lo Stato di diritto, che prevede l’assunzione di 15000 (quindicimila!!) agenti di pubblica sicurezza in più e l’ingresso di 2000 nuovi impiegati del sistema giudiziario.

Così, come in un ultimo sussulto di un animale morente, domenica 21 Gennaio, a Bonn, ritornata per un giorno agli antichi fasti pre-1989, si è riunito il congresso straordinario della SPD, con il compito di discutere e approvare il documento preliminare. Martin Schulz, il condottiero eletto a furor di popolo come il leader della svolta verso (centro)sinistra, ha tenuto un discorso di un’ora, promettendo miglioramenti dell’accordo di governo nelle trattative ufficiali, ma senza riuscire ad coinvolgere più di tanto la platea. A Schulz si è contrapposto Kühner, segretario della federazione giovanile del partito, la Jusos, fervido oppositore della Grande coalizione e sostenuto dai delegati di alcuni Länder come Berlino, la Turingia e la Sassonia-Anhalt.  Alla fine, il Congresso ha approvato il documento provvisorio con il 56% dei voti dei delegati. Un soffio, se si pensa che Schulz era stato eletto alla guida del partito dal 100% dei votanti al congresso dell’estate scorsa.

La Merkel e l’establishment hanno tirato un sospiro di sollievo, sebbene a metà. Adesso si procederà con le trattative ufficiali per formulare un programma di governo (che in Germania è assai vincolante) e su cui dovrà esprimersi fra qualche mese la base della SPD, i 450.000 iscritti, in una consultazione tutt’altro che scontata. È chiaro quindi che ormai la corsa alla stabilità sta esaurendo la sua spinta propulsiva. I socialdemocratici non sono mai stati così divisi. I sondaggi dicono che il consenso del partito è ulteriormente calato in questi mesi ed è assai probabile che alle prossime elezioni CDU e SPD non raggiungano la maggioranza dei seggi in Parlamento. E il futuro governo sarà in ogni caso traballante, dato che Schulz ha dovuto concedere un ulteriore congresso straordinario da celebrarsi verso la metà della legislatura per verificare i risultati ottenuti dall’esecutivo.

Una crisi rimandata, quindi, e una stabilità traballante. Mentre nel “Paese reale”, sempre più lontano dalle acrobazie di palazzo, il clima è molto diverso. Già, perché dopo le proteste di Amburgo contro il summit del G20 in Luglio, la Germania ha preso una china autoritaria e antidemocratica. La repressione dei movimenti autonomi, ma più in generale la criminalizzazione della sinistra radicale, si è andata intensificando, generando un clima di caccia alle streghe. Si sono susseguite perquisizioni in abitazioni private e in centri sociali, supportate da teorie degli opposti estremismi, che mettono sullo stesso livello eversione neofascista, gruppi jihadisti e collettivi autonomi. Fabio Vettorel, diciannovenne italiano, andrà a processo senza uno straccio di una prova e con accuse pesantissime. E da ultimo la polizia di Amburgo e la commissione straordinaria che indaga sui fatti del No-G20 hanno pubblicato le foto di centinaia di presunti “black bloc”, avviando una caccia all’uomo in stile far-west che poco ha a che fare con le garanzie dello stato di diritto. Il tutto in un vuoto di legittimazione e di controllo democratico, favorito dal vecchio esecutivo, che rimane in carica per gli affari correnti e non è chiaro a chi debba rispondere per il suo operato.

Quindi, in conclusione, questo sembra essere il rischio, che si intravede in questi giorni instabili. Che per reagire alla stabilità perduta, vissuta come vero e proprio stato di emergenza, lo Stato tedesco intensifichi il ricorso a strategie di governo schmittiane, basate su torsioni autoritarie e repressive e sul concetto fondamentale che in una situazione di disordine «sovrano è chi decide e chi ha la forza di far rispettare le decisioni» [1]. D’altronde, già Goethe alla fine del Settecento osservava che «il tedesco, posto di fronte alla scelta fra disordine e ingiustizia, sceglie sempre l’ingiustizia» [2]. E la parola ingiustizia in tedesco (Unrecht) è esattamente il contrario della parola diritto (Recht). Le vie della stabilità sono infinite.

[1] C. Schmitt, Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità in Id., Le categorie del Politico, Il Mulino, 2007;

[2] Cfr. Bernard-Henri Lévy – Michel Houellebecq, Ennemis publics, Flammarion Grasset, Parigi, 2008

* Giorgio Del Vecchio è un attivista del collettivo Berlin Migrant Strikers, composto da migranti italiani che vivono e lavorano a Berlino. Abita nella capitale tedesca da quattro anni ed è dottorando di storia contemporanea presso l'università di Treviri.