Gaza Strip - La vita all’inferno

I soldi di Doha, la Jihad che torna ad organizzarsi e le vittime civili dopo un raid aereo notturno.

3 / 11 / 2019

Per uno strano scherzo beffardo del destino, l’oggetto della mailing list odierna di un quotidiano mediorientale nella mia casella di posta è:  “Venere è l’inferno. Ma la vita lì potrebbe esistere.” 

Aprendo il messaggio di posta elettronica, apprendo che la notte precedente sono avvenuti dei bombardamenti dell’IOF sulla la Striscia di Gaza, che hanno provocato la morte di un ragazzo di 27 anni, Ahmed al-Shahri, ed il ferimento di 3 persone a Khan Younis. Tutti civili.

Mi soffermo a lungo proprio sull’oggetto dell’e-mail.

Per quanto sia un inferno, su Venere potrebbe esserci vita. Mi viene da sorridere se penso che per Gaza, invece, si avvicina sempre più la deadline dell’invivibilità.

Le condizioni igienico-sanitarie, la crisi idroelettrica, il collasso del sistema sanitario ed i vari tipi di inquinamento, infatti, renderanno quello che è già un inferno in terra, un posto invivibile a partire dal 2020, almeno per gli esseri umani. Peccato che di esseri umani, nella Striscia di Gaza, ne vivano ben due milioni! Due milioni di persone chiuse in un’enorme trappola per topi dalla quale è impossibile fuggire. Due milioni di civili condannati a vivere come detenuti, soltanto per essere nati dalla parte sbagliata del muro; nella parte sbagliata del mondo.

Al 2020 mancano ormai meno di 60 giorni. È rimasto davvero poco tempo per scongiurare un dramma umanitario irreversibile. A Gaza si registrano già da diversi anni innumerevoli record negativi sulle condizioni di salute degli abitanti: il più spaventoso è sicuramente il tasso d’incidenza di tumori infantili. Per quanto molti, nel mondo, possano voltare lo sguardo persino di fronte alla catastrofe di una generazione di teen-agers per lo più mutilata a causa dei proiettili ad espansione (vietati dal diritto internazionale) utilizzati dai cecchini israeliani alle manifestazioni del venerdì, i bambini che muoiono di tumore non possono lasciare di certo indifferenti le coscienze.

Eppure è un dato di fatto il silenzio assordante del mondo di fronte agli oltre 300 morti e alle migliaia di feriti provocati da un anno di Grande Marcia del Ritorno. Gaza continua a rimanere sotto assedio. Un lunghissimo assedio che prosegue da 12 anni.

I palestinesi di Gaza guardano con interesse il mondo che scende in piazza, soprattutto le mobilitazioni popolari in Iraq e nel vicino Libano. Ma fintanto che continueranno a fluire nelle casse dell’ANP e di Hamas (con la compiacenza di Israele e la mediazione dell’Egitto) i milioni di dollari che Doha sta investendo per erodere terreno a Ryhad in politica estera, qualsiasi moto di rivolta che vada oltre l’ormai inefficace, poco attrattiva e fin troppo controllabile “Grande Marcia del Ritorno”, viene immediatamente represso.

La resistenza del popolo palestinese, a Gaza, purtroppo non riesce attualmente a trovare forme organizzative alternative ad Hamas o alla Jihad Islamica di Baha Abu al-Ata, non perché queste generino ancora attrazione ed adesioni di massa, ma al contrario perché riescono ancora a controllare capillarmente il territorio e, soprattutto Hamas, ha un sistema repressivo estremamente efficace.

Così, ciclicamente, se qualcuno in Israele cerca consenso elettorale o vuole ridefinire i confini degli accordi di cessate il fuoco, gli basterà creare un ritardo nel passaggio dei dollari del Qatar o, al contrario, pubblicizzarne la pronta distribuzione. Dalla Striscia qualcuno coglierà la provocazione e sarà già pronto al lancio di razzi. Successivamente dal cielo pioveranno bombe.

Questo, molto verosimilmente, stando alle mie fonti a Gaza, è il canovaccio che si è ripetuto il 1° di Novembre, dopo quasi due mesi di calma piatta. Un copione trito e ritrito, che pone la popolazione civile in una situazione di stallo ed immobilismo, senza alcuna prospettiva per il futuro, mentre si contano i danni e le vittime. Stavolta, nello specifico, sembra che la responsabilità del lancio di razzi sia della Jihad di Baha Abu al-Ata, contrario alla tregua tra Hamas ed Israele e che sta provando ad emergere come “vera resistenza”.

Mentre ci si interroga se su Venere potrebbero esserci o meno le condizioni per lo sviluppo della vita come la conosciamo, il countdown per l’estinzione del genere umano a Gaza prosegue. Stanotte i bambini di Gaza avranno ancora paura.

Immagine di copertina: foto AFP