Gaza - La strage di Deir al-Balah e la fragile tregua violata

Giorni drammatici sulla Striscia.

16 / 11 / 2019

Nell’intervista a Michele Giorgio del 12 Novembre scorso avevo raccontato di una imminente operazione militare massiva nella Striscia di Gaza a seguito dell’esecuzione extragiudiziale del leader della Jihad Islamica Bahaa Abu al-At insieme alla moglie e la conseguente risposta dei jihadisti con un fitto lancio di centinaia di razzi verso Israele, di cui circa il 90% intercettati dall’Iron Dome, che sono stati la causa di molta paura e lievi ferite ai cittadini israeliani. Ferite, però, legate per lo più alle cadute accidentali durante la corsa per raggiungere i rifugi.

Nelle quarantotto ore successive cento raid aerei israeliani hanno portato ancora una volta il terrore nel territorio di 360 km2 circondato dal mare (con un blocco navale perenne) a ovest e da muri impenetrabili e barriere militarizzate dagli altri lati, al cui interno vivono due milioni di palestinesi (oltre la metà dei quali sono bambini) che non hanno rifugi antiaerei o zone considerate “sicure” durante i bombardamenti. 

Due giorni di bombardamenti che hanno interrotto le normali attività quotidiane ed hanno privato del sonno le persone, infliggendo ferite psicologiche che mai si rimargineranno.

I raid hanno distrutto cinque case e danneggiato centonovanta edifici residenziali, quindici scuole, quattro tralicci elettrici, generato un centinaio di sfollati, ferito centodiceci persone (di cui ventisei bambini) ed ucciso ventiquattro uomini, tre donne e otto bambini.

Dietro a questi freddi numeri ci sono le storie che abbiamo ascoltato la scorsa estate durante la nostra carovana a Gaza. Dietro a questi numeri riesco a vedere gli occhi di Adam e di Sarah, il timido sorriso di Mohammed che si nasconde quando lo guardi; vedo Ayman e Tom che sanno già che nei prossimi mesi non dormiranno più di un’ora a notte.

Dopo quarantotto ore era arrivata la tregua, come sempre grazie alla mediazione dell’Egitto. Ma che si trattasse di una tregua fin troppo fragile lo si era capito già dal primo momento. Nel frattempo Netanyahu stava già contando i punti percentuali di consenso politico che aveva guadagnato, ed Hamas, rifiutando di prendere parte agli attacchi insieme alla Jihad, probabilmente iniziava a costruire una strategia a lungo termine di negoziazione (anche se indiretta e mediata da interlocutori terzi) con Israele.

Il cessate il fuoco era arrivato poco dopo quello che l’IOF ha definito “un errore”, come scrive Yaniv Kubovich su Haaretz, ovvero la “Strage di Deir al-Balah”.

Gli al-Sawarka erano una povera famiglia di pastori che mercoledì notte si trovavano nella loro casa senza elettricità ed acqua corrente (come molte delle abitazioni dei rifugiati a Gaza), quando sono stati colpiti da una bomba che in un istante ha spazzato via le vite di Rasmi Abu Malhous, 45 anni; Mohand, 12 anni;  Miriam, 45 anni; Moad Mohamed, 7anni; Sim Mohamed, 13 anni; Yoseri, 39 anni ed altri due bambini non ancora identificati. 

Stando alle dichiarazioni dei generali dell’IOF -si legge ancora su Haaretz- l’obiettivo sarebbe stato proprio Rasmi Abu Malhous, ma non era stata considerara la presenza di altri membri della famiglia all’interno dell’edificio. A quanto pare, però, si tratterebbe di un ennesimo errore: secondo le dichiarazioni di parenti ed amici delle vittime, e dal confronto con la foto segnaletica dell’IOF, Rasmi Abu Malhous non sarebbe l’uomo che l’esercito israeliano stava cercando, bensì un semplice pastore. 

Una strage che passerà come “danno collaterale”. Probabilmente nessuno chiederà scusa né verrà condannato da un Tribunale.

Ventidue ore dopo la dichiarazione di “cessate il fuoco” i bombardamenti sono ripresi e tuttora non è ben chiaro per quanto tempo le operazioni militari andranno avanti e se si intensificheranno. Nella scorsa notte ci sono stati nuovi lanci di razzi della jihad e bombardamenti mirati dell’IOF, per fortuna senza conseguenze gravi per la popolazione civile. Stamattina è stata diramata la notizia che i leader di Hamas ed i jihadisti, dopo un acceso confronto, hanno trovato un accordo di cooperazione sul piano militare e che, infatti, uno degli obiettivi dei bombardamenti della notte scorsa è stata una postazione di Hamas; la prima dall’inizio di questa offensiva.

Il Ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, ha recentemente dichiarato il suo sostegno ad Israele, che “ha il diritto di difendersi”, non facendo alcuna menzione al blocco illegale della Striscia di Gaza che dura da oltre dodici anni.

Il collettivo “Gaza is Alive” è profondamente scosso da questa strage, avvenuta proprio nel villaggio che è stato lo scenario dei laboratori dello scorso agosto. Mohand, Moad Mohamed, Sim Mohamed e gli altri due di cui non si conosce ancora il nome, potrebbero essere stati alcuni dei bambini con i quali abbiamo giocato, cantato, ballato e condiviso le nostre emozioni. Potrebbero essere stati 5 dei tanti bambini con i quali ci siamo seduti in cerchio alla sera a mettere in rima paure, sogni, ambizioni; ed ogni volta siamo partiti dalla stessa domanda: “Come stai? - kayf halik?”

Di seguito il comunicato del collettivo Gaza is Alive:

La parola che più usavamo nei nostri giorni a Gaza era “kayfhalik?”, ovvero “come stai?”. E proprio in questi giorni, in cui Gaza é nuovamente sotto attacco, ci chiediamo come stiano le persone, i bambini, i lavoratori e le famiglie che abbiamo incontrato lì, in quella striscia di terra soffocata.

Ci chiediamo come stiano quelle persone che ci donavano milioni di sorrisi.

Ed è per quei sorrisi, quei lunghi abbracci, per le interminabili ore passate a raccontarci l'uno agli altri, che riteniamo giusto che si sappia della forza di un popolo che non si piega di fronte a nulla, né al dolore, né alla disperazione. A Gaza la vita continua nonostante l'oppressione ed i continui soprusi e non vogliamo smettere di raccontare che quei momenti condivisi con i gazawi devono essere l'energia che spinge ognuno di noi a non arrendersi mai.

Qualcuno parla di "attacco", qualcuno parla di "difesa". Chi parla di sofferenza? A dar voce alla sofferenza ci sono le lacrime, quelle che versiamo noi da lontano e quelle che in questo momento stanno versando famiglie gazawe con i loro figli morti tra le braccia. La popolazione civile di Gaza è stretta in una morsa, nel silenzio assordante del mondo che assiste indifferente ad un lento genocidio. Noi sappiamo che tutto questo non finirà ora e che, anzi, siamo appena di fronte all'inizio a quello che già si prospetta un 2020 invivibile per Gaza. 

Vi abbiamo spesso raccontato di persone straordinarie e non vogliamo smettere di farlo, perché oltre all'amarezza di convivere ogni giorno con la paura, c'è una comunità ostinata che continua a costruire dalle macerie.

Proveremo ancora, ogni giorno con il nostro impegno, a parlarvi di vita. Vi parleremo ancora della vita a Gaza, della vita di Gaza, nonostante tutto; nonostante Gaza! Perchè non ci stancheremo mai di ripeterlo, la gente di Gaza vuole vivere. Gaza è viva. Gaza is Alive!