Francia - Siria: hollande e l'economia della guerra

11 / 9 / 2013

"Questi esecutori postmoderni dovrebbero dunque calcolare vari generi di misure distruttive in maniera utilitaristica, non in relazione al male che producono ma a quello che prevengono. Questo dovrebbe essere sufficente a domandarci se "il male minore" non sostituisca la "banalità del male" come forma contemporanea di esecuzione." Eyal Weizman*

La Francia è l'unico Stato europeo ad allearsi senza condizione con gli Stati Uniti di Obama, il presidente che ha ritirato l'esercito americano dall'Afghanistan e dall'Irak. L'opzione militare contro Al-Assad in reazione all'uso di gas che lo scorso 21 agosto ha ucciso 1500 persone, tra cui 400 bambini, dopo due anni di guerra civile e almeno centomila morti viene considerata dal governo francese un "momento storico". Ma i francesi, secondo i sondaggi, non ne vogliono sapere di un intervento militare e vedono il loro presidente Hollande isolato sulla scena internazionale e nazionale.

La Francia è stato il primo paese europeo a riconoscere l'opposizione siriana ed a promettere armi in cambio della formazione di un governo di transizione. All'inizio il problema era la repressione di un'insurrezione iniziata pacificamente, poi nell'agosto del 2012 per la prima volta Hollande affronta la questione dell'intervento diretto "legittimato" in caso di utilizzo di armi chimiche.

Nella stessa occasione Hollande dichiara: "Bachar Al-Assad deve andarsene. Non c'è soluzione politica con lui. È una minaccia, continua a massacrare il suo popolo con una violenza inammissibile, distrugge le città e provoca la morte di donne e bambini, abbiamo le prove proprio in questi giorni. È intollerabile per la coscienza umana, inaccettabile per la sicurezza e la stabilità nella regione. La Corte penale internazionale dovrebbe essere interpellata affinché i responsabili di queste atrocità siano sottoposti a giudizio."

L'azione congiunta tra Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti per bloccare l'armamento chimico siriano accelera a partire da questo momento.

Già alla fine del 2012 si conosce l'uso di armi chimiche in luoghi diversi in Siria e gli 'alleati', con la cooperazione di Turchia e Giordania, passano tutte le informazioni all'ONU. Paradossalmente, i servizi e la direzione strategica della difesa militare francese pur conoscendo le riserve, i prodotti e i possibili modi per utilizzare tali armi da parte di Al-Assad dichiarano che "potrebbe essere complicato identificare l'origine dei prodotti e chi li utilizza".

Nelle stesse settimane si annuncia l'intervento della Francia in Mali e nella regione del Sahel. Il governo di Hollande è impegnato a proteggere sia gli interessi nazionali nell'Africa globalizzata che a compensare la sua debolezza politica, la disillusione per non dire la sfiducia galoppante nell'opinione pubbblica francese e tra i suoi stessi elettori.

Oggi di fronte alla prospettiva di intervento militare in Siria, il linguaggio tragicamente scontato che invoca "punizione", assume "responsabilità umanitaria" e si dichiara "morale" non è più traducibile in consenso. Persino il ministro della Difesa rimprovera l'errore di comunicazione e sostiene apertamente che l'approccio moralista non serve a far capire la posta in gioco nell'area mediorientale. Preoccupati certo dall'inazione che dopo due anni ha rinforzato il campo dijaddista in Siria, conflitto che attira da tempo milizie provenienti dall'Irak, dalla Tunisia, dall'Australia ma anche dalla Francia. Allora si prova a convincere con la minaccia: la situazione in Siria che si degrada diventa una questione di sicurezza interna. Fin'ora, e in attesa di un discorso presidenziale ai "citoyens", resta difficile motivare un'azione militare in Medioriente.

Anche la carta della tradizione politica è stata poco efficace per promuovere la guerra nonostante la Francia, con François Mitterand, abbia firmato la Convenzione internazionale per l'eliminazione delle armi chimiche del 1993, atto che succede storicamente al Protocollo del 1925 sulle armi chimiche adottato dopo i massacri del 1914, dei quali esiste traccia in ogni villaggio francese.

Ad Hollande non resta che fare i conti con l'industria bellica molto attenta alla questione Siria e nel contempo al nuovo programma militare 2014-2019 che sarà discusso in Parlamento in ottobre. Il governo non perde occasione per invitare gli industriali del settore militare ad esportare, "soprattutto vendere all'estero", dice la Direzione generale della Difesa militare francese che ogni anno investe 16 miliardi.

La Francia esporta armi in quasi tutti i paesi convolti nella guerra siriana, Qatar e Arabia saudita che sostengono le fazioni che contrastano il regime di Al-Assad.

Ma ha anche importanti impegni commerciali con la Russia che invece lo cauziona. Il mercato francese degli armamenti deve fornire, tramite Ryad, armi ai gruppi combattenti definiti "moderati", ha contratti firmati per fregate e missili ai sauditi, deve consegnare satelliti agli Emirati arabi e porta-elicotteri alla Russia, oltre a sistemi di controllo terrestri e navali. E deve anche fare concorrenza agli Stati Uniti che si mantengono al primo posto di un'economia che cresce annualmente dell'8%.

Il 10 settembre davanti ai politici, agli imprenditori bellici e ai generali, il Ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian, ha ricordato che la politica di difesa della Francia si construisce "sui tempi lunghi" ma che si sta realizzando "nel presente".

* "The Least of All Possible Evils: Humanitarian Violence from Arendt to Gaza"