La crisi economica e le proteste contro le politiche di austerity sbriciolano i governi come noccioline.

Europa in crisi politica. Panorama.

di Bz
3 / 3 / 2013

Venerdì, in Germania il cosiddetto Senato delle regioni che rappresenta i lander, ha dato un colpo di grazia alla linea della cancelliera Merkel, bocciando il fiscal compact. Approvato dalla Camera alta, il fiscal compact era allora passato molto tardi, a causa della sentenza della Corte Costituzionale che aveva fissato un limite al tetto di fondi che la Germania avrebbe dovuto versare. Che succede ora politicamente? Fino alle prossime elezioni, la Germania non entra nel gruppo dei paesi europei che hanno adottato il fiscal compact, quale vincolo di indirizzo per la spesa pubblica, con buona pace di Monti, che ha imposto di votare il provvedimento capestro che ci vincola a pagare 20 miliardi di euro l'anno per altrettanti anni per uscire, si fa per dire, dal debito ed essere ben accetti nell’Europa delle banche.
Noi – il Parlamento - l'abbiamo votato, la Germania no! Ci sarebbe di che ridere se per farlo non fosse stata modificata la stessa Costituzione.

Sabato in Portogallo oltre un milione di manifestanti ha chiesto la fine dell’austerità imposta dai creditori internazionali e le dimissioni del governo di centro-destra.  “Se il governo  non se ne va, tutto questo continuerà” è stato lo slogan a lungo scandito da Lisbona ad Oporto, il Portogallo è al terzo anno consecutivo di recessione, con un tasso di disoccupazione medio vicino al 18 percento. I nuovi tagli – che colpiranno in particolare il servizio sanitario, l’istruzione e il sistema pensionistico – puntano a risparmiare circa 4 miliardi di euro nei prossimi due anni.
Dopo l'esplosione della bolla sui mutui subprime, nell'estate del 2008, e dopo la successiva e conseguente crisi dell'euro, arrivata al culmine nel novembre 2011, il bilancio dei governi dell'Unione europea è impietoso.
In poco più di due anni, 11 Paesi hanno visto premier e rispettivi esecutivi cadere sotto la mannaia dei tagli al welfare e alla spesa pubblica. Mandati a casa mentre, nelle piazze, il popolo di precari, disoccupati e giovani senza futuro manifestava e invocava le dimissioni.
L'ultimo presidente del Consiglio defenestrato è stato lo sloveno Janez Jansa, dal settembre 2011 alla guida dell'ex Paese più florido della vecchia Jugoslavia, sul baratro del salvataggio per crac bancari e scandali di corruzione a catena.

Il primo, nel gennaio 2011, fu invece l'irlandese Brian Cowen, repubblicano liberale del Fianna Fáil. Partito che, prima della crisi vantava il record della più lunga permanenza al governo in Europa, dopo i socialdemocratici svedesi.

Seguito a ruota dalla Grecia dove il socialista George Papandreou fu costretto a dimettersi, nel novembre del 2011, dopo aver proposto un referendum (saltato) sulla permanenza del Paese nell'euro.
Ora, dopo un bis elettorale, è il conservatore Antonis Samaras il premier della grande coalizione di larghissime intese che, ha riunito una minoranza degli ex comunisti, i socialisti del Pasok e il centrodestra di Neo Dimokratia, all'ombra del Partenone, la crisi sociale resta drammatica. Ma, contro ogni aspettativa, nonostante l’alternarsi di notizie contrastanti sulla contabilità di Stato, nonostante emergano scandali, corruzione e ruberie, i conti pubblici e il governo sembrano aver raggiunto una qualche stabilità. Chi sta male è la fascia sociale più povera, che è in situazione da emergenza umanitaria, che ha smesso di lottare contro le politiche di austerità perché troppo impegnata a risolvere i problemi legati alla sopravvivenza quotidiana, ciò è particolarmente evidente nelle grandi città e nell’area metropolitana di Atene.


Solo Olanda, Finlandia, dove pur ci sono stati dei ricambi nell’esecutivo nel 2011 e 2012, e Francia sono ancora politicamente stabili, nonostante la crisi dell'economia reale di quest’ultima, mentre la crisi ha, già, terremotato la Spagna, infatti, dopo la bolla immobiliare, gli spagnoli hanno vissuto la sconfitta politica della sinistra, sfociata nella dimissioni anticipate del luglio 2011 del premier socialista José Zapatero. Dopo di lui è stato eletto il conservatore Mariano Rajoy, vincitore delle elezioni ma finito nel mirino degli indignados, per i massicci tagli alla spesa sociale sollecitati dall'Unione europea in cambio dei prestiti (100 miliardi di euro richiesti) per salvare le banche. Ora il consenso di Rajoy è ai minimi storici e, alla prossima manovra lacrime e sangue, anche questo governo di destra, fedele esecutore delle misure indicate da Bruxelles, potrebbe implodere.
A questo punto chi voteranno, se voteranno, gli indignados spagnoli?

L'Europa dell'Est, in questa fase, si manifesta come l'area politicamente più instabile, anche se meno influente sui mercati internazionali, meno preoccupanti per l'euro stesso. In Romania, dopo pesanti scontri di piazza, la girandola di governo si è conclusa, nel dicembre 2012, con la vittoria del centrosinistra di Victor Ponta; in Bulgaria il primo ministro Boiko Borisov, è dimissionario e alla ricerca di ritrovare il consenso popolare, che la svendita del paese alle multinazionali , la crisi economica, la corruzione, gli ha sottratto
In Slovacchia, nell'autunno 2011 i socialdemocratici erano stati costretti alle dimissioni, dopo lo stop sulle riforme in parlamento. E in Slovenia, prima del conservatore Jansa, ora cacciato a furor di popolo dopo 2 mesi di manifestazioni e sostituito da Alenka Bradusek, una donna esperta di finanza internazionale, il precedente governo socialdemocratico era stato costretto alle dimissioni nel settembre 2011.
E’ evidente come questa Europa abbia il fiato corto e debba essere radicalmente trasformata.