El Salvador - Non è una vittoria qualunque

Ceren è diventato il terzo presidente ex guerrigliero in America Latina, dopo la brasiliana Dilma Roussef e l’uruguaiano José Mújica.

di Bz
15 / 3 / 2014

La conta dei voti è finita. In Salvador è stato proclamato vincitore delle elezioni nazionali l’esponente della sinistra Sanchez Ceren, candidato dell’ex movimento di guerriglia Fronte Farabundo Martì per la liberazione nazionale (Fmlm) e, oggi, dopo tre giorni assume la carica. Il neopresidente, che è stato un guerrigliero, ha superato l’avversario Norman Quijano, candidato del partito nazionalista Arena (Alleanza repubblicana nazionalista), al ballottaggio. Lo ha comunicato il tribunale elettorale che ha sottoposto a verifica i voti della tornata  elettorale dopo le accuse da parte dello sconfitto di brogli. Lo scarto, infatti, è stato di poco, poche migliaia di voti.

La vittoria nelle elezioni presidenziali del Salvador da parte di Maurico Funes e del Fronte Farabundo Marti, non è una vittoria qualunque, già, perché il Frente, si è presentato alla tornata elettorale con un proprio esponente diretto e non per interposta persona come lo è stato nel 2009 Mauricio Fuenes, giornalista corrispondente della CNN, personaggio accettato anche negli ambienti neoliberisti legati agli interessi economici statunitensi. Così Ceren è diventato il terzo presidente ex guerrigliero in America Latina, dopo la brasiliana Dilma Roussef e l’uruguaiano José Mújica.

El Salvador, con il Nicaragua sandinista, negli anni 80 ha rappresentato il paradigma della sistematica ingerenza statunitense in America Latina, nel proprio cortile di casa, così come è definito dalla dottrina Monroe; nell’immaginario collettivo ha rappresentato, per una nuova leva politica, Davide contro Golia, negli anni in cui, in Europa, veniva meno, veniva disarticolata la spinta al cambiamento delle generazioni politiche precedenti;  è il paese di monsignor Romero massacrato perché troppo vicino ai movimenti di liberazione, perché denunciava nella cattedrale i responsabili di centinaia e centinaia di omicidi, perché era una spina nel fianco del partito Arena, degli squadroni della morte, responsabili della violazione dei diritti umani. Sono i 2 paesi centroamericani dove la guerriglia comunista ha saputo coniugarsi con la teologia della liberazione, propria del cattolicesimo militante latino americano, dando vita alla politica dei Frente, in cui durante la fase della guerra guerreggiata convivevano anime politiche diverse, che, poi, terminato il ciclo di lotta legato al rovesciamento delle oligarchie al potere, si è frantumata, riconsegnando il paese ai vecchi padroni. Sono paesi, El Salvador e il Nicaragua dove il Partito Comunista è stato animato da soggetti internazionalisti, come Shafik Handal, il leader salvadoregno era palestinese, figli e nipoti delle grandi migrazioni delle prime decadi del novecento.

La fine del conflitto armato (con quasi 80.000 morti) l’ingerenza statunitense non è certo finita. La sua presenza è continuata, con un peso asfissiante nel tessuto socio-economico. La misura più emblematica è la scomparsa della moneta nazionale, sostituita dal dollaro.
Per tutte questa ragioni, non è una vittoria qualunque. E’ la conferma dell’onda lunga della primavera latino americana, della possibilità di uscire dalla miseria non soltanto attraverso la criminalità organizzata delle ‘pandillas’ ma attraverso una rete societaria che rilanci i criteri di solidarietà, cooperazione e mutualismo presenti nel dna dei popoli nativi latinoamericani.