Egitto - Crescono ancora le proteste contro il Governo

Intervista a Giuseppe Acconcia

6 / 5 / 2016

In Egitto si assiste a una progressiva perdita di democrazia, resa evidente dalla dura repressione che la stampa sta subendo. Nel 2014 l’Egitto ha vietato ogni manifestazione pubblica che non fosse approvata dallo stato, incarcerando sistematicamente gli attivisti della società civile e chiudendone gli uffici. Il governo del Cairo ha impedito ai sindacati di organizzare manifestazioni per il 1 maggio: solo una delle ultime mosse di un governo arabo che vuole stabilire a quale tipo di informazione abbiano diritto i suoi cittadini.Oggi, al controllo dei mezzi d’informazione si aggiunge la censura sui social media e la repressione delle attività della società civile. Pubblichiamo un'intervista a Giuseppe Acconcia, esperto di Medio Oriente e ricercatore all'Università di Londra e giornalista.

Si parla sempre più di un Egitto autoritario, infatti la continua repressione delle autorità egiziane contro i giovani attivisti rappresenta il chiaro tentativo di schiacciare le menti più coraggiose e brillanti del paese ed eliminare qualunque minaccia al potere: migliaia di giovani arrestati in modo arbitrario, detenuti e incarcerati in Egitto negli ultimi due anni in relazione alle proteste partite nel 2011. Il paese è di fatto tornato completamente a essere uno stato di polizia, dopo l'estromissione del presidente Mohamed Morsi, alle proteste di massa sono subentrati arresti di massa. Dopo la rivolta del 2011, i giovani egiziani erano stati acclamati come simbolo di speranza dai leader militari del paese e dai partner internazionali. Il loro idealismo e l'impegno a favore di 'pane, libertà e giustizia sociale' si erano rivelati forze trainanti per il cambiamento. Ma oggi molti di questi giovani attivisti stanno languendo dietro le sbarre, a conferma del fatto che l'Egitto sia regredito a uno stato che ricorre appieno alla repressione.
Secondo gli ultimi dati diffusi dagli attivisti egiziani per i diritti umani, il giro di vite ha visto più di 41.000 persone arrestate, accusate di reati penali e processate in modo irregolare. A questo va aggiunta la Legge sulle proteste, entrata in vigore nel novembre 2013, che autorizza le autorità a arrestare e processare dimostranti pacifici a loro piacimento e criminalizza la mera azione di scendere in strada senza previa autorizzazione.Tra il 25 e il 26 aprile una nuova ondata di arresti ha scosso il Paese, dopo la manifestazione promossa dal Sindacato dei giornalisti - che ha però visto la partecipazione di altre realtà - per protestare contro le politiche del governo di Al Sisi.  Partendo da quest'ultimo avvenimento puoi spiegarci com'è l'attuale situazione in Egitto e come Al Sisi sta portando avanti la sua politica repressiva?

L'Egitto di Abdel Fattah al-Sisi non è più un regime autoritario come ai tempi di Mubarak ma un regime militare. Con la conclusione della roadmap e l'insediamento del nuovo parlamento l'11 gennaio scorso il colpo di stato militare del 3 luglio 2013 ha raggiunto i suoi massimi effetti. Ormai elite politica e militare sono completamente sovrapposte. Il nuovo parlamento ha una maggioranza vicina al 100% che sostiene al-Sisi. I Servizi segreti militari e civili hanno infiltrato il parlamento, come rivela Hossam Bahgat in una sua recente inchiesta. La società civile egiziana subisce una repressione continua. In particolare con il caso 173 sono sotto l'occhio del ciclone tutte le ong che si occupano di diritti umani, incluso il centro Nazra che si occupa di diritti delle donne e Lgbt e il centro Nadeem che si occupa di vittime di tortura. Le leggi anti-proteste, anti-terrorismo, le leggi speciali, le condanne a morte sommarie, i prigionieri politici hanno azzerato lo spazio del dissenso che in questa fase resta confinato intorno al Sindacato dei giornalisti in particolare per la durissima repressione che la stampa indipendente sta subendo in Egitto.

In una mossa senza precedenti, decine di agenti hanno fatto irruzione il 1 maggio nella sede dell’associazione dei giornalisti al Cairo per arrestare Amr Badr e Mahmoud el Sakka dopo che il sito per cui lavorano aveva pubblicato un articolo sulle isole cedute all’Arabia Saudita. Un precedente già visto in Turchia, quando Erdogan ha fatto arrestare  caporedattore e direttore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet per aver pubblicato le prove sul trasporto di armi dalla Turchia alla Siria, aldilà della dura repressione che la stampa sta subendo in Egitto, è però altrimenti chiaro che manca una denuncia rispetto alle politiche interne ed estere portate avanti da Al Sisi. Partendo dalla cessione delle due isole di Tiran e Sanafir, nel Golfo di Aqaba, all'Arabia Saudita, che ne avrebbe ottenuto la restituzione dopo 66 anni da quando, nel 1950 aveva chiesto all'Egitto di proteggerle da possibili assalti di Israele, puoi spiegarci come si posiziona l'Egitto rispetto gli assetti internazionali e rispetto alle potenze mondiali?

Il golpe è stato possibile grazie al sostegno che al-Sisi ha subito avuto da alcuni paesi europei primo fra tutti Italia e Francia. Il Cairo ha poi goduto di miliardi di linee di credito da Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti. Gli Stati Uniti che inizialmente sembravano aver dato il loro via libera al governo dei Fratelli musulmani, hanno abbandonato a loro stessi gli islamisti dopo il golpe mentre la Russia di Putin ha costruito un asse di ferro con al-Sisi. Inoltre l'Egitto ha assunto un ruolo aggressivo in politica estera, appiattito sulle posizione di Israele nel conflitto israelo-palestinese e nell'operazione Protective Edge, ha sostenuto il tentato golpe di Khalifa Haftar che ha spaccato la Libia e attaccato lo Yemen come richiesto dai sauditi.

Giuseppe Acconcia, ricercatore Università di Londra e giornalista