Ecuador, tra correismo e anticorreismo soffia forte il vento di ottobre

11 / 2 / 2021

Domenica scorsa il popolo ecuadoriano è tornato alle urne per scegliere il successore di Lenín Moreno. A vincere le elezioni il candidato del partito correista Arauz che però si è dovuto accontentare del 32,5% nonostante i sondaggi lo dessero vittorioso con oltre il 40% già al primo turno. Per conoscere lo sfidante sono stati necessari invece tre giorni di passione, con una battaglia voto su voto che alla fine ha visto spuntarla il rappresentante delle destre neoliberiste Guillermo Lasso, per un pugno di voti, su Yaku Perez, uno dei leader del movimento indigeno e candidato per l’ala politica dello stesso movimento, il partito Pachakutik.

L’incertezza dei risultati ha dato il via a prese di posizioni forti: fin dall’inizio dello spoglio Yaku Perez ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori invitandoli a presidiare la sede del Concejo Nacional Electoral a Quito per difendere il voto popolare da possibili brogli. Da parte sua Guillermo Lasso ha commentato laconicamente i risultati limitandosi a dire che avrebbe aspettato l’ufficialità prima di rilasciare dichiarazioni. Chi invece è partito all’attacco dimostrando tutto il suo disappunto per la situazione creatasi e la paura per un eventuale ballottaggio con Perez, è stato Correa che ha messo carne sul fuoco dichiarando che il 13% dei voti contestati favorirebbe Lasso, di fatto appoggiando eventuali brogli delle destre e alludendo a possibili violenze dei sostenitori di Yaku in caso fosse confermata questa sua previsione. 

Della posizione di Correa, pro-destra, non c’è da stupirsi: Pachakutik, rappresenta il vero avversario del suo progetto politico “progressista” di paese, un avversario difficilmente battibile perché rappresenta un’alternativa concreta di sinistra, che tra le altre cose avrebbe potuto far convergere anche settori di destra dichiaratamente anticorreisti nella scelta del nuovo presidente. Al contrario, favorendo o appoggiando il partito di Lasso in questo testa a testa, Correa si è messo nella posizione quasi inattaccabile di costruire la narrativa del ballottaggio sullo scontro classico polarizzato, destra contro sinistra, “obbligando” gli elettori di sinistra a schierarsi con lui per non far cadere il paese in mano alla destra neoliberista. Perché, se c’è una cosa che ha messo in chiaro questa tornata elettorale è che il paese ha scelto la “sinistra” per il proprio futuro, relegando al solo 20% la forza elettorale conservatrice. Peraltro questa visione è lontana dalla realtà messa in mostra dalle elezioni che hanno evidenziato la crescita fortissima di due nuovi corpi politici a sinistra, Pachakutik e Izquierda Democratica, che di fatto hanno messo la parola fine al bipolarismo classico destra/sinistra.

Il sorpasso all’ultima curva di Lasso ha, naturalmente, scatenato la protesta sociale e le accuse di brogli da parte di Lasso. Fin dal primo momento infatti, Yaku, Iza, la Conaie e Pachakutik avevano lanciato un appello alla mobilitazione per difendere il voto popolare. Un appello che non è caduto nel vuoto ma che, purtroppo, per il momento non è servito a confermare Yaku Perez al secondo posto. Tuttavia, nei prossimi giorni sono previste ulteriori mobilitazioni per difendere il voto popolare. Da Pachakutik inoltre assicurano che chiederanno il riconteggio voto su voto, un’analisi forense dell’intero proceso elettorale e infine che denunceranno agli osservatori internazionali quanto sta accadendo. Se i dati ufficiali mettono fine alla contesa, di certo non scalfiscono il successo di un movimento che comunque ha sorpreso tutto e tutti, arrivando a contendere alle destre neoliberiste la possibilità di giocarsi la presidenza del paese.

I risultati di domenica infatti sono stati in parte sorprendenti. Se da un lato ci si aspettava la conferma di uno zoccolo duro correista che ha riposto le proprie speranze in Arauz, dall’altro lato sono tanti i risultati inattesi che questa tornata elettorale ha riservato, a cominciare dall’incredibile pieno di voti di Yaku Perez che è riuscito nell’impresa di sfiorare il ballottaggio. Il 19,5% di preferenze ottenuto è il miglior risultato nella storia di Pachakutik, il partito espressione politica dei movimenti indigeni. Un risultato avvalorato anche da quello del partito che col 18,01% ottenuto è il secondo partito dietro a Unes e dovrebbe ottenere un numero consistente di deputati.

Se i risultati di Yaku Perez e Pachakutik hanno superato le aspettative, chi ha proprio sorpreso è stato il partito Izquierda Democratica di Xavier Heras, dato all’1% nei sondaggi, che è arrivato addirittura a sfiorare il 16%. Il partito socialdemocratico ha sfruttato l’immagine nuova per la politica e giovane del suo candidato che ha impostato la campagna elettorale sulla lotta alla corruzione e sulla sua figura di imprenditore di successo. Il 15,7% che portano in dote al ballottaggio sarà determinante per eleggere il nuovo presidente.

Altra sorpresa è stata la débâcle della destra guidata ancora una volta da Guillermo Lasso, alla terza candidatura alla presidenza. A pesare sicuramente è l’appoggio dato al governo di Lenín Moreno, in chiave anticorreista. La coalizione Creo è andata dunque ben al di sotto delle aspettative tanto da rischiare di uscire incredibilmente dal ballottaggio, dato quasi certo dai sondaggi, ottenuto solo grazie al riconteggio delle schede contestate. Altra sorpresa in negativo, ma questa c’era da aspettarselo, la candidata Ximena Peña di Alianza País (l’ex partito di Correa che aveva portato alla vittoria di Moreno quattro anni fa), che ha raccolto i frutti di questi quattro anni di governo, appena l’1,54% dei consensi. La triste fine di Moreno sta tutta in quella percentuale e nel ricordo pessimo che lascia: sono molti i candidati presidenti che una volta eletti hanno disatteso le promesse elettorali, ma Moreno è andato oltre, tradendo addirittura i suoi principi e il suo stesso partito.

Terminato questo primo round ora si dovrà attendere il ballottaggio di domenica 11 aprile per conoscere il nuovo presidente. E i risultati, ancora una volta appaiono molto incerti. Sullo sfondo delle ipotetiche alleanze pesa innanzitutto la contrapposizione formatasi con gli ultimi quattro anni di governo tra correismo e anticorreismo. Ma siamo comunque nel campo delle ipotesi: questa tornata elettorale ha evidenziato infatti come, oltre a questa contrapposizione, stia crescendo nel paese un terzo polo che chiede di voltare pagina rispetto agli ultimi 14 anni. Un polo formatosi sulla grande lotta dell’ottobre 2019 che ha visto una parte importante della popolazione insorgere contro il paquetazo economico “suggerito” dal FMI e messo in pratica da Moreno. Leonidas Iza, presidente del MICC (Movimiento Indígena y Campesino de Cotopaxi) e uno dei leader di quella rivolta, ha infatti commentato così su twitter questi risultati: «la forza di Ottobre 2019 si è imposta nelle urne rifiutando il progressismo conservatore e la destra recalcitrante; si è imposto il progetto politico del movimento indigeno e del settore popolare, combatteremo la destra venga da dove venga». 

Una forza che si è fatta largo prima nelle strade della rivolta e che oggi presenta il conto alle urne, “depolarizzando”, come suggerisce Maristella Svampa, la politica interna invischiata nella lotta tra correismo e anticorreismo: «quella che alcuni considerano una pericolosa “frammentazione” o frutto del puro “anticorreismo”, in realtà deve essere letto come un incipiente processo di depolarizzazione politica, che mette in rilievo l’esistenza di queste sinistre invisibili, intrappolate e/o fagocitate dalla virulenza delle politiche manichee degli ultimi anni».

A farsi strada è dunque una nuova idea di sinistra che presenta dei pilastri “inamovibili”, primo tra tutti la lotta all’estrattivismo. Perché, come sottolineano Alberto Acosta e altri pensatori ecuadoriani «quando la sinistra è conservatrice, smette di essere mobilitazione e desiderio sociale e si converte in un partito (Alianza País), in una formula ideologica (Revolución Ciudadana) in un caudillo (Rafael Correa) che contiene e distrugge la resistenza e la mobilitazione sociale e blocca la storia nella sua reinvenzione di mondi più umani». Sempre Iza, in una lunga intervista, rimarcando il successo elettorale come il frutto della lotta popolare di ottobre, avverte che a vincere è il progetto politico indigeno riassunto nel programma Minga por la vida sul quale converge il candidato Yaku Perez. E l’avvertimento non è solo alla “sinistra” correista, non è solo per ipotetiche alleanze, ma anche allo stesso Yaku Perez ribadendo l’assoluta orizzontalità del progetto politico alla quale lo stesso leader deve attenersi. Su Perez infatti aleggiano anche “pesanti” critiche come quella di aver sostenuto Lasso nel 2017 quando ha dichiarato «è preferibile un banchiere a una dittatura». Ancora Iza, in questa intervista a pochi giorni dalle elezioni ha sottolineato come «non esiste una sola rappresentazione della sinistra anticapitalista nella campagna elettorale. Così si spiega l’assenza del racconto di Ottobre nel dibattito: nessun candidato rappresenta i desideri del campo popolare».

Queste elezioni hanno dunque mostrato la nascita di una nuova sinistra dal basso nata dalla lotta popolare. Una nuova sinistra desde abajo ambientalista e anticapitalista che fa della lotta all’estrattivismo un nodo centrale del suo agire politico e che si contrappone a quella vecchia e usurata della stagione precedente, travolta da scandali, corruzione e malaffare e che ha svenduto i territori e i diritti in nome del potere. Una sinistra che affronta con coraggio il sempre difficile e scivoloso campo elettorale ma che ha i piedi ben piantati per terra, consapevole che la propria forza risiede ancora nella capacità di mobilitazione dal basso. Come testimonia la contemporanea consulta popolare di Cuenca dove la popolazione, con oltre l’80% dei voti ha respinto i progetti minerari e difeso il bene primario più importante, l’acqua. Una vittoria che, come sottolinea Paola Ortiz del movimento Yasunidos di Cuenca, «non è una notizia locale, è nazionale e internazionale, è un colpo per il capitale che pretende investire nelle miniere in Ecuador, molti progetti cadranno perché sono situati presso le fonti di acqua».

L’esistenza di questa base sociale forte e determinata ha prodotto i recenti risultati elettorali (e non solo). La speranza è che queste premesse siano mantenute e che finalmente, inizi un nuovo ciclo dove siano le decisioni prese dalle collettività a determinare le azioni dei rappresentanti.