Il saluto di Eduardo Galeano al Vertice dei popoli sui cambiamenti climatici e per i diritti della Madre Terra che si apre domani 20 aprile a Cochabamba, Bolivia.

Due nomi della stessa dignità

19 / 4 / 2010

Purtroppo, non potrò essere con voi.

Un imprevisto bastone nelle ruote mi impedisce di viaggiare.

Ma in qualche modo voglio seguire il vostro incontro, l’incontro dei miei fratelli , dato che non ho altra scelta che fare il poco che posso e non il molto che voglio.

E per stare senza starci, almeno vi mando queste parole.

Voglio dirvi che mi auguro si possa fare tutto il possibile e anche l’impossibile, per far si che il vertice della Madre Terra diventi la prima tappa verso l’espressione collettiva dei popoli che non dirigono la politica mondiale, ma la subiscono.

Mi auguro che saremo in grado di portare avanti queste due iniziative del compagno Evo, la Corte di Giustizia Climatica e il Referendum Mondiale contro un sistema di potere fondato sulla guerra e il consumo, che disprezza la vita umana e mette all’asta i bene comuni.

Magari fossimo capaci di parlare poco e fare molto. Gravi danni ci ha provocato e continua a provocare l’inflazione dello sproloquio, che in America Latina è più nociva dell’inflazione monetaria. E soprattutto, siamo stanchi dell’ipocrisia dei paesi ricchi, che ci sta lasciando senza pianeta mentre vengono pronunciati pomposi discorsi per nascondere il sequestro.

Alcuni sostengono che l’ipocrisia è la tassa che il vizio paga alla virtù. Altri dicono che l’ipocrisia è l’unica prova dell’esistenza dell’infinito. Le ciance della cosiddetta «comunità internazionale», il club di banchieri e guerrieri, prova che le due definizioni sono corrette.

Io voglio celebrare invece la forza della verità che irradiano le parole e i silenzi nati dalla comunione dell’uomo con la natura. Non è un caso che il vertice della Madre Terra si svolga in Bolivia, una nazione di nazioni che sta riscoprendo se stessa dopo due secoli di vita usurpata.

La Bolivia ha da poco celebrato i dieci anni della vittoria popolare nella guerra dell’ acqua, quando il popolo di Cochabamba riuscì a sconfiggere una potente compagnia Californiana, proprietaria dell’acqua per opera di un governo che sosteneva di essere boliviano ed era molto generoso con lo straniero.

La guerra dell’acqua è stata una delle battaglie che questa terra continua a sostenere in difesa delle risorse naturali, vale a dire: in difesa della sua relazione con la natura.

Ci sono voci del passato che parlano al futuro.

La Bolivia è una delle nazioni americane dove culture indigene sono riuscite a sopravvivere, e queste voci ora risuonano con più forza che mai, nonostante il lungo periodo di persecuzione e disprezzo.

Il mondo intero, vagando come un cieco in una sparatoria, è cosi disorientato che dovrebbe ascoltare quelle voci. Essi ci insegnano che noi, piccoli umani, siamo parte della natura, parenti di tutti quelli che hanno gambe, zampe, ali o radici. La conquista europea ha condannato per idolatria gli indiani che vivevano questa comunione e per aver creduto in essa sono stati frustati, decapitati o bruciati vivi.

Dai tempi del Rinascimento europeo, la natura è diventata una merce o un ostacolo al progresso umano. E fino ad oggi, il divorzio tra noi e lei ha persistito, al punto che ci sono ancora tante persone di buona volontà che si commuovono per la povera natura, così maltrattata, così ferita, ma continuano a vederla da fuori.

Le culture indigene la vedono dall’interno. Vedendola, mi vedo. Quello che faccio contro essa, è fatto contro di me. In lei mi incontro, le mie gambe sono anche il cammino che le cammina.

Celebriamo, quindi, questo vertice della Madre Terra. E magari che i sordi ascoltino: i diritti umani e dei diritti della natura sono due nomi con la stessa dignità.

Volano gli abbracci, da Montevideo.

Eduardo Galeano