Dove va la Repubblica Ceca a trent’anni dalla Rivoluzione di Velluto?

Intervista a Jan Majicek, di Socialistická Solidarita

28 / 11 / 2019

Lo scorso 16 novembre in Repubblica Ceca venivano ricordati i trent’anni dalla Rivoluzione di Velluto, il processo politico che negli ultimi mesi del 1989 condusse alla fine dell’esperienza comunista in Cecoslovacchia. Una celebrazione avvenuta in due modi differenti: a Bratislava, c’erano i vertici del potere governativo, alla testa dei quali il premier ceco Babiš; a Praga si è svolta una manifestazione di massa per chiedere le dimissioni dello stesso Babiš.

A proposito dei fatti del 1989, nel Paese alcune dinamiche sembrano non essere state differenti da quelle descritte da Naomi Klein in Shock Economy: privatizzazioni e licenziamenti di massa che hanno attaccato pesantemente il tessuto sociale di questi Paesi tradendo il principio di uguaglianza.

Ma quali sono stati i contenuti delle proteste di Praga? Abbiamo parlato del passato e del presente, della Repubblica Ceca ma non solo, con Jan Majicek, che ha studiato scienze politiche e storia contemporanea presso la Charles University di Praga, ed è membro dell’organizzazione Socialistická Solidarita.

Quali sono i motivi che hanno portato tantissime persone nelle strade di Praga lo scorso 16 novembre?

Il 16 novembre ci sono state ben 250.000 persone a Praga. È un numero importante considerando che le manifestazione di solito sono piuttosto piccole e abbiamo anche un basso livello di scioperi nel Paese. La motivazione è chiara: c’è un disaccordo con il primo ministro Andrej Babiš, multimiliardario e proprietario di una catena di aziende chiamata “Agrofert”, che produce un'ampia gamma di prodotti, dal pane alle salsicce ai pesticidi. Inoltre, possiede due quotidiani nazionali più grandi, alcune radio e alcune riviste più piccole. Questo lo pone in un grande conflitto di interessi. Come primo ministro ha accesso a tutti i database finanziari, in modo da poter fornire tutte le informazioni di cui le sue aziende hanno bisogno per avere un vantaggio sui suoi concorrenti.

Sfortunatamente, le proteste sono guidate da liberali che chiedono "decenza" in politica. Riconoscono il conflitto di interessi, ma la loro unica risposta è chiedere le dimissioni del primo ministro, nonostante il fatto che il partito di Babiš sia ancora saldamente primo nei sondaggi, con il 30%. I partiti liberali hanno dal 10 al 25% tutti insieme, ma sono divisi e il loro programma è intriso di logiche di austerità, che negli anni scorsi sono state bersaglio di grandi mobilitazioni, in particolare nel biennio 2010-2012.

Qual è la situazione sociale del paese attualmente? Ci sono claims sociali nella protesta contro Babiš? E quali sono le prospettive della protesta?

La Repubblica Ceca sta attraversando un periodo di crescita economica stabile e disoccupazione estremamente bassa, di circa il 2%. Questa eccezionale condizione dura da 3 anni e, grazie alla pressione dei sindacati, si registra anche un regolare aumento dei salari in quasi tutti i settori dell'economia, incluso l'aumento dei salari minimi.

Eppure ci sono voci critiche che discutono questioni come alloggi estremamente costosi o il problema dell’indebitamento, che riguarda oltre 840.000 cittadini. Ma le richieste di chi è sceso in piazza riguardano solo Andrej Babiš e le sue dimissioni. Sono cieche ed è impotenti.

Il ruolo della sinistra?Andrej Babiš ha un governo di minoranza in coalizione con Democrazia Sociale e il sostegno - o meglio, la tolleranza - del Partito Comunista. Ciò significa che la principale opposizione è composta da partiti liberali e di destra. Per la sinistra è una posizione molto scomoda, ma in parte sta godendo di incarichi ministeriali e di una certa "influenza" in alcuni settori. Nel frattempo la maggior parte della sinistra radicale ignora le proteste, a eccezione di Socialistická Solidarita e Skutečnálevice. L'ex organizzazione socialista rivoluzionaria, parte della “Tendenza socialista internazionale” (gruppo internazionale di organizzazioni Trotskiste, ndr), in seguito è diventata una piattaforma per la nuova alternativa elettorale di sinistra. Sebbene siano minuscoli, riescono a suscitare l'attenzione dei media con il grande striscione "Expropriate Agrofert" che porta all’interno delle proteste il problema delle proprietà di Babiš.

Potrebbe esserci una prossima protesta, ma senza un serio programma politico e attori in grado di portarlo avanti, nulla cambierà e potremmo facilmente arrivare al ciclo "infinito" di questi governi quasi di sinistra, fino a quando una nuova recessione colpirà l'economia ceca. In questo caso la vera natura neoliberista di Andrej Babiš verrà fuori.

In questi ultimo trent’anni come hai visto cambiare il volto della Repubblica Ceca?

Il fatto più importante è che la trasformazione dell'economia di Stato a quella capitalista di mercato si è basata sull'attrazione dei capitali esteri, offrendo forza lavoro a buon mercato, ma molto qualificata. Questa eredità è ancora presente. Abbiamo una produttività comparabile ai 2/3 rispetto a quella della Germania, ma i nostri salari sono un 1/3 rispetto a quelli tedeschi.

Le riforme neoliberiste durante l'intero periodo hanno creato un ampio spazio per le speculazioni che hanno portato a situazioni di crisi negli ultimi anni, con affitti che si sono alzati del 35% in tre anni. Soprattutto durante la crisi finanziaria globale del 2008, il governo della coalizione neoliberista di destra ha lanciato un attacco a ogni settore della società: agli studenti aumentando le tasse universitarie, ai pensionati limitando i soldi a loro destinati, alle persone disabili creando la carta speciale per i loro benefit, ai lavoratori proponendo la riforma del diritto del lavoro, ecc.
Quindi esiste un grande potenziale a sinistra, poiché i principali partiti “di sinistra” sono stati screditati proprio prendendo parte a questo governo di coalizione con partiti multi-miliardari, mentre quelli di destra sono in grado di offrire solo l'austerità 2.0.

Ci sono state manifestazioni contro l’austerità in questi ultimi dieci anni? Ci puoi raccontare a proposito della loro storia?

Sì, nell 2006 abbiamo avuto il primo governo di austerità condotto primo ministro Mirek Topolánek seguito dal governo di Petr Nečas, nel 2010. La prima coalizione di destra è iniziata con pochi step nelle riforme fiscali e previdenziali, per prevenire la spesa pubblica destinata a coloro che erano chiamati "non conformabili", persone ai margini dell’inclusione sociale. Riforme che contenevano un significato razzista implicito, ad esempio contro i Rom. Ma non solo contro di loro.

Funzionò per qualche tempo poiché l'intera Europa era in recessione, soprattutto dopo il 2008. Ma il problema più importante del governo di Topolanek fu la questione della base americana che avrebbe dovuto essere costruita nella Repubblica Ceca. Per due anni e mezzo hanno avuto luogo proteste di massa e alla fine il governo ha perso la sua ragion d’essere quando è stato costretto a ritirare i trattati militari ceco-statunitensi.

Il secondo governo di austerità del primo ministro Petr Nečas era ideologicamente più offensivo. Hanno proposto una serie di gravi misure, tra cui il congelamento dei pagamenti per i dipendenti statali, la riduzione dei posti nel settore pubblico, la trasformazione degli uffici del lavoro, l'introduzione di tasse universitarie, l'introduzione di una carta bancaria privata per i beneficiari delle prestazioni sociali, la demolizione della legge sul lavoro. È stato un vero e proprio assalto frontale alla società e fu resistito al mittente.

Pochi giorni dopo la pubblicazione della dichiarazione del governo è stata istituita l'iniziativa ProAlt. Era una piattaforma anti-austerità di attivisti e intellettuali di sinistra che ha dichiarato come propria affermazione fondamentale che «la società non può essere tagliata». Questa piattaforma è diventata la principale organizzatrice di proteste. Nel corso di due anni è riuscita a organizzare decine di mobilitazioni, riuscendo a scatenare discussioni pubbliche in tutto il paese. In media, ci sono state 2-3 azioni ogni mese. E’ stata un attività assolutamente di massa.

Inoltre, ProAlt fin dall'inizio si è avvicinata ai sindacati ed è riuscita a farli entrare nei propri piani organizzativi. Complessivamente, la coalizione anti-austerità ha organizzato manifestazioni di centinaia di migliaia di persone in piazza Venceslao a Praga, le proteste di fronte ai ministeri e la grande protesta del 17 novembre 2012 con lo slogan «non è così che funziona la democrazia». Sotto questa pressione e grazie anche a uno scandalo che ha coinvolto Nečas, nel giugno 2013 il governo sentì di fare il posto al cosiddetto “governo degli esperti”.

Le elezioni successive, tenutesi il 25 ottobre 2013, hanno portato al potere i socialdemocratici di ČSSD, con il partito ANO di Andrej Babiš come partner junior. Ma ČSSD non ha soddisfatto le aspettative e Andrej Babiš ha vinto le elezioni nel 2017 con il 29%, facendoli diventare partner minore nell'attuale governo con il solo 7% dei voti.

Quali sono le tue riflessioni, dopo trent’anni, a proposito della Rivoluzione di Velluto?

Bene, una delle promesse della Rivoluzione di Velluto era che la democrazia avrebbe portato prosperità e benessere materiale. Ma la massiccia privatizzazione delle società statali ha portato a un aumento smisurato della disoccupazione, al collasso strutturale di alcune regioni, alla fuga di cervelli da quelle regioni, in particolare a Praga, e all'emergere di ghetti di persone socialmente escluse. Inoltre, le riforme sono state guidate dall'obiettivo di vendere tutto ai proprietari esteri, in quanto il capitale occidentale era visto come garante del progresso tecnologico e della modernizzazione. Che errore! La maggior parte delle acquisizioni mirava a liquidare i concorrenti e conquistare i suoi mercati. Le società più grandi sono state vendute separatamente o sono diventate parte di società multinazionali, come Škoda che è diventata parte della Volkswagen.

Un'altra strategia economica si basava sull'idea di attirare capitali esteri fornendo agevolazioni fiscali e manodopera a basso costo, ma qualificata, come già dicevo. Di pari passo con questo, è aumentata la corruzione politica delle nuove élite. Non solo hanno tagliato e privatizzato il settore pubblico, ma sono anche riusciti a farlo così male che è stato apprezzato chiunque lo facesse correttamente. Ciò ha dato origine ad Andrej Babiš, visto come un grande imprenditore che "sa qual è il duro lavoro".

A livello sociale, dobbiamo ancora affrontare la ghettizzazione sociale delle persone più povere. Secondo un ampio e serio studio di ricerca sociologica commissionato dalla Radio ceca, abbiamo il 14% dei cittadini nella cosiddetta "classe affamata": persone escluse, povere, disoccupate o con lavori precari o pagati senza alcuna prospettiva per migliorare la loro situazione . Accanto ad essa c'è la "classe in via di estinzione" composta dal 22% della popolazione. Stanno un po’ meglio della "classe affamata", ma il loro crollo economico e sociale può essere dovuto a una banale spesa inaspettata, ad esempio un nuovo frigorifero o una lavatrice.

Ciò che sperimentiamo permanentemente è il capro espiatorio: i politici che cercano di distogliere l'attenzione sulle minoranze. Il più delle volte si è trattato dei Rom. Dopo il 2015 si è trattato dei rifugiati. Adesso abbiamo un numero molto basso di siriani, ma c'è stata un'enorme manifestazione contro i rifugiati nella Repubblica Ceca. Quindi anche il razzismo aperto o nascosto è un problema.
Tutto ciò può dare la possibilità alla vera sinistra di prendere un'offensiva e fornire una vera alternativa al capitalismo. Ora vediamo l'inizio del processo di costruzione di tale alternativa. Le possibilità sono grandi, quindi vedremo!