Dieci tesi per comprendere gli avvenimenti in Cile

23 / 7 / 2020

Un testo del Movimiento Revolucionario 18 de Octubre che a partire dalla ribellione cittadina e popolare scattata proprio il 18 ottobre scorso in Cile che inquadra quello che sta attraversando il paese dal punto di vista sociale e politico e qual è il ruolo dei movimenti. Traduzione nella versione italiana di Emma Purgato e Ilaria Ruggiero.

Periodo: La ribellione cittadina e popolare

1. L’idea di “estallido social” è un pessimo concetto per caratterizzare gli avvenimenti in Cile a partire dal 18 ottobre 2019. È più adeguato il concetto di ribellione antineoliberale (per il suo carattere economico), o ribellione cittadina e popolare (per il suo carattere sociale). Questo esprime meglio le richieste e le parole d’ordine per cui il popolo e i cittadini sono scesi in piazza a partire dal 18 ottobre 2019; inoltre, ci permette di comprendere meglio che ciò che si è dispiegato in Cile è l’apertura di un processo prerivoluzionario. Dato che di teorie sulla rivoluzione non si parla da molti anni, e quelli che le studiano sono pochi, spiegare cosa sta succedendo diventa straordinariamente difficile. Ovviamente è al lavoro anche la censura da parte dei trasformismi (originati nell’eurocomunismo e il rinnovamento socialista) che dal 1989 formano ciò che oggi si chiama “progressismo” e che guardano con aria di superiorità e ironia chiunque si azzardi a parlare in termini marxisti o semplicemente di teorie sulla rivoluzione.

2. Ciò si esplicita nell’espressione, da parte delle organizzazioni di sinistra in generale - sociali e politiche-, di un atteggiamento “conservatore”, che si manifesta nell’incapacità di comprendere il processo, una lenta capacità di reagire e di prendere decisioni audaci, forme di relazioni interne burocratizzate e altre cattive abitudini. Questo è naturale, data la storia degli ultimi quarant'anni. Ciò gioca a sfavore dell’unità nell’agire, quando si tenta di prendere decisioni d’insieme di fronte a definizioni trascendentali come l’”Accordo per la Pace” o la possibilità di proporre un nuovo scenario. Noi ipotizziamo che queste organizzazioni attraverseranno svariate crisi interne prima di ottobre, quando si realizzerà il Plebiscito. Ancora nessuno spiega che non è questo il problema, quanto i dispositivi di repressione e scoraggiamento della partecipazione realmente popolare che saranno impiegati dai partiti che firmarono l’Accordo per la Pace, per fare dell’elezione dei costituenti un processo controllato da loro, nella ricerca disperata di ri-legittimazione di fronte alla società

Fino ad allora, la crisi interna delle organizzazioni di sinistra continuerà. Dalla capacità di reazione e di riorganizzazione di fronte all’emergenza che dimostreranno, dipenderà non solo la loro esistenza, ma anche la sopravvivenza di questa congiunzione pre-rivoluzionaria. Se i partiti firmatari dell’Accordo riusciranno ad imporre i propri termini, la probabilità che si inauguri una nuova “transizione” di taglio conservatore, avvallata questa volta da una Costituzione “democratica e legittima”, è sempre maggiore.

3. Questa ribellione anti-neoliberale sorprese ricercatori ed analisti per la sua mancanza di teoria: la sociologia e la scienza politica, seguendo i dettami postmoderni, sono specializzate nell’analizzare piccolezze (“microfisiche”, “identità”, “soggettività”, etc.). In questo momento è necessario tornare ad analizzare processi politici e sociali maggiori o globali, e per fare ciò serve usare di nuovo concetti come “classe”, “correlazione di forze”, “potere”, “alleanza di classi”, etc.

4. Ciò che esplose il terzo giorno di manifestazioni di studenti che evadevano in massa il pagamento del biglietto nelle stazioni della metropolitana, è una doppia ribellione sociale: cittadina e popolare. Capire questo è cruciale. I protagonisti della ribellione cittadina sono studenti, professionisti, organizzazioni femministe, commercianti, più integrati nella società e nel sistema messi in discussione. La ribellione popolare ha come componenti ultras, studenti, giovani emarginati, operai, l’enorme quantità di precari e casalinghe. 

Entrambe si esprimono con forme di protesta distinte: mentre la ribellione “cittadina” si manifesta in modo festivo, non violento e “civilizzato”, la ribellione “popolare” preferisce, anche se non esclusivamente, lo scontro con le forze repressive, la difesa della mobilitazione e le manifestazioni pacifiche. Tuttavia, l’una e l’altra sono figlie dello stesso, sono nate insieme e la sorte di una è unita all’esistenza dell’altra, come per due fratelli siamesi con un solo cuore.

Il Processo Costituente

5. Come sostiene l’avvocato Hernàn Montealegre, da un punto di vista giuridico, il popolo cileno si autoconvocò in un plebiscito (“riunione massiva e pacifica di un popolo che rappresenta la maggioranza e prende decisioni vincolanti per i poteri pubblici”) già tenutosi, e che obbligò il governo e i poteri dello Stato ad effettuare diverse riforme per entrare nel “Processo Costituente” che il popolo aveva già iniziato.

Però dal punto di vista storico, il processo costituente è un processo più lungo, che iniziò nel novembre del 2005, quando in un Congresso dell’ACES (Associazione di Studenti Medi), dove si posero le basi della ribellione dell’anno seguente, giunsero alla conclusione che nessuno dei punti su cui si erano accordati si sarebbe potuto realizzare senza un’Assemblea Costituente.

È evidente che su un tema importante come l’educazione il corpo studentesco non possa prendere decisioni da solo. È altrettanto ovvio che non possa farlo neanche una dirigenza, ma che sia necessario aprire spazi in cui prendere decisioni che raccolgano la visione e la posizione di tutti gli attori coinvolti. Per questo, proponiamo la realizzazione di un’Assemblea Costituente, con l’obbiettivo specifico di ristrutturare la LOCE[1].

Negli anni seguenti altri movimenti ed organizzazioni sociali giunsero alla stessa conclusione dell’ACES nel 2005. Inoltre, si piegarono alcune organizzazioni, storici, avvocati e alcuni candidati presidenziali. Ciò che avvenne venerdì 18 ottobre in Plaza Italia, e nei principali spazi pubblici del paese, fu il plebiscito costituzionale. Ciò che fecero la classe politica e il Congresso non è rilevante, non fanno parte dell’origine né storica né giuridica del processo.

Quindi, storicamente, la società cilena è nel processo costituente da quel novembre del 2005, e ciò che abbiamo visto da allora (nonostante sia stato poco evidente in alcuni momenti) è lo sviluppo con avanzamenti, passi indietro, frenate ed accelerazioni, di un processo che nacque dalla società cilena. Venire raccolto oggi dalla “classe politica” e dal Congresso è parte di questo processo, non il suo inizio, né il suo culmine. Per questo, e per ciò che dice Montealegre, è necessario mantenere la calma, comprendere che l‘”Accordo per la pace…” non è definitivo, né culminante, ed è solo un capitolo della lunga opera costituente che il popolo sovrano del Cile sta costruendo da quasi quindici anni. Ad ogni modo, la consumazione di questo processo è vicina, però dato che è un processo “aperto”, può essere che abbia una svolta conservatrice, come le proteste popolari che iniziarono nel 1982 e terminarono nella Transizione alla Democrazia dal 1990, una volta che i partiti cooptarono la ribellione promettendo la vittoria contro la dittatura “con una matita”. Oggi, come ieri, c’è questa possibilità e corriamo il rischio che il processo abbia di nuovo una conclusione conservatrice.

I Cabildos cittadini e popolari autoconvocati

6. Il 25 novembre i Cabildos autoconvocati che si erano formati erano circa 2000[2]. Serve ricordare che i Cabildos sono la forma storica in cui il popolo cileno si è organizzato, a livello locale, dalla metà del XVIII secolo, di fronte alla crisi di conduzione politica dell’élite. Nacquero quando Napoleone Bonaparte imprigionò Re Carlo IV e il suo erede Re Ferdinando VII, provocando la crisi dell’Impero spagnolo e l’inizio dell’Indipendenza delle nazioni ispano-americane, negli anni tra il 1808 e il 1814, i cabildos locali e regionali si autoconvocarono per dibattere della strada che i popoli dell’allora Regno del Cile avrebbero dovuto intraprendere. Quindi non è casuale che, di fronte ad una nuova crisi di conduzione politica, sociale ed economica, risorgano con forza in pieno XXI secolo. Queste riunioni, con composizione e proposito distinti, marcano una necessità del mondo popolare di partecipare al disegno dello Stato e del governo che vogliono, che è la parte più basica e popolare del movimento costituente che iniziò il 18 ottobre.

Dov’è il potere?

7. Dal 18 ottobre, quando Piñera dichiarò lo Stato di Emergenza e mandò l’esercito nelle strade, perse il potere, perché lo delegò ai militari, e poi perse una sua parte importante perché aprì alla delegittimazione della democrazia precisamente per l’uso della forza militare. Da allora e fino all’inizio della pandemia, lo Stato si ritrova decapitato e non c’è un capo del governo. Se i saggi “analisti” che, per mancanza di teoria, non sono neanche stati in grado di fare un’analisi precisa, non se ne sono resi conto, è perché semplicemente non esiste una teoria sociale né politica per interpretare il presente.

L’Accordo per la Pace

8. A partire dal 4 novembre 2019, il governo e la destra dimostrano di temere l’avanzamento della parola d’ordine “Assemblea costituente” emersa nei cabildos cittadini autoconvocati. Per disarmarla hanno sviluppato una forte strategia comunicativa che ricorre alla minaccia di Colpo di Stato e che accelerò la firma dell’Accordo da parte della sinistra frenteamplista, che reagì ingenuamente e paurosamente all’immaginaria minaccia militare. Senza di loro non ci sarebbe stato l’Accordo, ma fecero il passo e spinsero alla divisione della ribellione.

A partire dalla firma dell’Accordo per la Pace, tra il Governo e i partiti con rappresentanza in parlamento, le proteste cittadina e popolare tesero a separarsi e, dalle prime settimane di gennaio, svuotarono gradualmente spazi come Plaza de la Dignidad, e i suoi corrispettivi a livello regionale, e si spostarono verso i territori e le comunità, gli spazi naturali del mondo popolare. Solo un nuovo appello che rappresenti entrambe le sfere della protesta anti-neoliberale, potrà riunirle.

Parte del potere politico tornò al Congresso dopo la firma dell’Accordo, però con il passare dei mesi, e soprattutto dopo l’inizio della quarantena, quest’organo dello Stato si è trasformato in un mero ufficio circondariale dell’Esecutivo. Lo sgretolamento dell’unità dei partiti del Governo si deve a questo ruolo servile assunto dal Congresso nei primi mesi del 2020. Ciò non significa che, a partire dal 9 luglio, quando le Camere hanno ripreso parte del potere e dell’iniziativa politica, questa situazione di subordinazione al Potere Esecutivo non si ripeterà. Un nuovo focolaio della ribellione può spingere la maggioranza dei partiti lì rappresentati a rifugiarsi nell’autoritarismo dell’Esecutivo.

Però al centro di questa tappa dei primi mesi del 2020 c’è il potere in disputa tra la capacità della protesta sociale di generare ingovernabilità, il sistema di partiti esistenti di canalizzare questa protesta, il governo e i “poteri forti” (Esercito, Polizia, chiesa, etc.) che vogliono mantenerlo.

Ma cos’è la politica?

9. La politica si sviluppa su vari piani, che agiscono in modo combinato e complesso:

1. Lotta di idee,

2. Lotta di potere,

3. Violenza,

4. Negoziazione.

Chi crede che la politica sia mera lotta di idee, è uno pseudointellettuale, un lettore senza analisi, rinchiuso in una torre d’avorio. Chi concepisce la politica solo come la seconda: mera lotta di potere, è un Macchiavelli senza anima, amorale. Chi crede solo nell’esercizio della violenza come strumento di potere, è un terrorista. Chi crede che la politica sia solo negoziazione è un semplice voltagabbana. Comprendere come questi piani si combinano e sviluppano è vitale per capire la politica e non perdersi negli obbiettivi finali: trasformare la società per il bene comune e per la felicità degli esseri umani.

Intanto il Governo, la destra e la stampa “progressista”, hanno sollevato il discorso di condanna alla “violenza”. Parlano della “violenza” come se fosse un ente astratto ed immanente, con una leggerezza che sfugge alla riflessione e alla costruzione della teoria sociale necessaria ad affrontare il momento attuale. Sventolare il fantasma della “violenza” come un pericolo imminente è, come minimo, irresponsabile. La società cilena ha basi molto più solide di paesi come la Colombia, il Perù, il Messico e addirittura l’Argentina, per non cadere in una spirale di violenza come in Colombia a partire dal 1948 o in Perù negli anni ‘80[3].

Il soggetto sociale (rivoluzionario e non)

10. Al contrario di altri paesi latinoamericani, la società cilena ha un’abbondanza di organizzazioni sociali di base, che a loro volta comprendono una grande quantità di organizzazioni sociali di rappresentanza sindacale con una certa indipendenza politica da non disprezzare. 

Fare una divisione tra le manifestazioni pacifiche e quelle violente è fare il gioco del Governo e della destra. Entrambe le manifestazioni, la “pacifica” e la “violenta”, coesistono da più di 10 anni all’interno del movimento sociale, a partire dai “pinguini” nel 2006. Entrambi i tipi di manifestazione si svolgono insieme e a volte in spazi molto ridotti. Tra i “pacifici” e i “violenti” c’è un’enorme gamma di manifestazioni di diverso tipo che cambiano forma a seconda delle circostanze. Più che preoccuparsi del grado di violenza, discussione da lasciare ai discorsi politici semplicistici e divisori con cui il governo nasconde la violenza statale, bisogna comprendere che molte delle manifestazioni “pacifiche” non si sarebbero potute attuare senza i ragazzi della Prima Linea (e della Seconda e la Terza), che dall’essere gli odiati “incappucciati” fecero un salto di qualità fino ad essere parte integrante delle marce, e a “proteggerle” (con i propri “metodi”) e non solo in Plaza Italia, anche nelle regioni. Accadde lo stesso con gli odiati ultras: fecero un salto di qualità, (e non torneranno ad essere come prima), in molte manifestazioni gli ultras uniti, organizzano, accompagnano, generano e difendono la protesta sociale. Etichettare come dei Frankenstein i manifestanti violenti significa spalancare la porta ad un loro attacco separato alla repressione, mentre i manifestanti “pacifici” votano al plebiscito ed aspettano, illusi, che i partiti del sistema li includano nelle loro liste per essere eletti tra i costituenti. Entrambi gli estremi della protesta nacquero insieme e si autoalimentano, e credere che non sia così significa non capire il problema o analizzarlo non come un processo sociale o storico, ma a partire da una morale falsamente pacifista.  Per questo gli “analisti” senza teoria temono una “rottura improvvisa” (come se non ci fossero 40 anni di accumulazione finora) seguita da un’ingovernabile ed incomprensibile malattia cronica (come se la medicina c’entrasse qualcosa con un problema di origine sociale e politica).

A partire da marzo, quando la pandemia arrivò in America Latina, il processo rivoluzionario sta stagnando, non si è cancellato. La ribellione, traslata nei territori e nelle comunità già dalla fine di dicembre, ha continuato con nuove forme politiche (nuove organizzazioni, movimenti e “partiti”) o prepolitiche (mense popolari autogestite, reti di approvvigionamento, resistenze puntiformi alle misure del governo, etc.). La sorte della ribellione si sta definendo, il processo prerivoluzionario è tornato ad aprirsi, il suo successo o la rifondazione conservatrice del sistema politico ed economico dipenderanno dalla capacità che avranno le forze politiche, tanto fuori dal sistema come quelle più nuove, di guidare questa situazione inedita nella storia del Cile.

MOVIMIENTO REVOLUCIONARIO 18 DE OCTUBRE

[1] ACES, “Propuesta de trabajo de estudiantes de la Región Metropolitana”, Santiago de Chile, novembre 2005

[2] Cifra presentata dal giornalista e militante comunista Juan Andrés Lagos in “El primer café”, di Radio Cooperativa, il 25 novembre 2019

[3] Il rapporto di verità peruviano calcolò 80000 morti negli anni di Sendero e Fujimorismo, in Cile ci furono tra i 3000 e i 4000 morti in 17 anni di dittatura. Commissione della Verità e Riconciliazione (2004) Hatun Willakuy: Versión abreviada del Informe Final de la Comisión de la Verdad y Reconciliación.