Di cosa ha paura la polizia di Liegi? Della solidarietà?

7 / 5 / 2020

Proponiamo la traduzione a cura di Jessica Borotto del comunicato della Cafétéria collective Kali in seguito ai gravi fatti avvenuti ad Anderlecht, quartiere di Bruxelles e a Liegi nei pressi della Cafétéria sopra citata. Questo testo mette in luce come in Belgio ci sia un trattamento differente - a fronte anche del gravissimo picco dei contagi nel Paese - durante la pandemia a seconda che si viva in quartieri altolocati o periferici.

10 aprile, Bruxelles. Numerose pattuglie si presentano ad Anderlecht, quartiere operaio la cui popolazione è di origine mista e in gran parte già esposta ad un razzismo strutturale. Se la polizia finora si è limitata a dare spettacolo nei quartieri ricchi della città, ballando con la cittadinanza bianca e benestante, facendosi beffa delle norme di distanziamento sociale, tutt’altro trattamento è previsto in questa data per la gente di Anderlecht. Qui non si balla, la popolazione è avvertita: chiunque si aggiri per le strade viene identificato e riceve un’ammenda penale. 

Adil, ragazzo di 19 anni, la sera del 10 aprile, è in compagnia di un amico. I due sono in sella ai loro scooter quando, forse per non piegarsi alle logiche della repressione razziale, decidono di rifiutare un controllo. Inizia un inseguimento che terminerà con l’uccisione di Adil, provocata dallo scontro frontale con un’auto della polizia entrata a tutta velocità e in contro mano in una strada a senso unico. 

Il giorno dopo la presenza delle pattuglie si intensifica nel quartiere. La reazione degli abitanti è immediata: scendono nelle strade che diventano il terreno di rivolte spontanee e scontri con la polizia. La risposta militare è quella di sempre: getti d’acqua, pestaggi, un centinaio di arresti.

I muri e i balconi delle case di Anderlecht gridano ancora Justice pour Adil!

12 aprile, Liegi. Nello stesso giorno in cui il sindaco socialista della città di Liegi, Willy Demeyer, esprime pubblicamente la sua solidarietà alla polizia, alcuni poliziotti effettuano controlli in centro città e si fermano davanti alla Cafétéria collective Kali. Qui si svolge il “Food not bombs”, un progetto di raccolta e di distribuzione gratuita di prodotti alimentari destinati a chi vive in strada, a chi non ha più reddito, a chiunque ne abbia bisogno. Un gruppo di persone, disposte in fila, aspetta il proprio turno all’esterno della Cafétéria. I poliziotti si avvicinano e identificano in modo arbitrario e con atteggiamenti violenti, alcune di queste persone. Nessuno degli uomini in divisa dispone di maschere di protezione. D’istinto un ragazzo, studente di filosofia all’Università di Liegi, cerca di aiutare un signore anziano, il quale, strattonato violentemente da un agente, chiede con aria confusa le ragioni di questo trattamento. In risposta due uomini in divisa, poi altri quattro, si gettano contro il giovane: due pugni allo stomaco, un placcaggio al suolo, sei uomini sopra di lui. Ogni tentativo di primo soccorso sarà impedito dagli agenti, che brandiscono le armi e chiamano rinforzi. Botte e umiliazioni verbali, accompagnati da inneggi al nazi-fascismo, continueranno nella caserma in via Natalis, in cui il ragazzo rimarrà fino alla mezzanotte dello stesso giorno. Quando ne uscirà, trascinandosi dietro un corpo straziato dai colpi subiti, denuncerà legalmente e pubblicamente attraverso la pagina Facebook del dipartimento di Filosofia dell’Università di Liegi. Nel frattempo, al fine di giustificare gli abusi, il sindaco dichiara che il progetto “Food not bombs” è illegale. Alcuni insegnati stanno ancora ricevendo messaggi di intimidazione da parte della polizia, per aver pubblicato la testimonianza dello studente e per aver espresso la loro incomprensione nei confronti di una repressione violenta esercitata contro chi stava solamente cercando di procurarsi del cibo.

Qui di seguito la traduzione del comunicato:

In un articolo della RTBF di questo martedì 14 aprile 2020, il sindaco e il questore della città di Liegi dichiarano illegale una distribuzione di cibo per giustificare il pestaggio di un abitante della città e cercano di fuorviare l’opinione pubblica facendo trapelare alla stampa elementi di un dossier che non hanno alcun legame con il caso. Stanno quindi esacerbando una situazione già tesa, che probabilmente diventerà ancora più complicata nelle prossime settimane.

Dal 13 marzo 2020 siamo stat* confinat* e abbiamo perso molti punti di riferimento. Niente più scuole, niente più luoghi conviviali per incontrarsi, niente più spazi pubblici per sedersi. La minaccia invisibile del virus e il divieto di avvicinarsi a chi amiamo, l'intraprendenza, l'incertezza del giorno dopo (la lista è ancora lunga) sono diventati la vita quotidiana della gente di Liegi. Tutt* cercano di elaborare strategie per vivere meglio, o meno peggio, la situazione.

Fin dai primi giorni del confinamento, le persone più precarie e più fragili si sono ritrovate a soffrire la fame: niente più economie informali, difficoltà a recuperare cibo, a ricevere un panino da un passante, a comprare generi di prima necessità nei supermercati, a trovare un rifugio diurno, ... Una situazione inedita a Liegi, dove l’andamento delle cose è diventato ancora più incerto.

La nozione stessa di ordine pubblico si è fatta più vaga e le forze dell’ordine si ritrovano a girare, confuse, in cerca di un nuovo ordine da far rispettare in una città svuotata dal confinamento. La polizia sta pattugliando le strade, intorno ai parchi e alle piazze, nel centro città e nei quartieri, sta presidiando in modo eccessivo gli spazi pubblici e seguendo istruzioni più o meno ambigue. È probabile che anche il sindaco e il questore si trovino in uno stato di confusione.

Dopo lo stupore dei primi giorni, le associazioni impegnate in iniziative di solidarietà destinate ai più vulnerabili hanno continuato le loro attività. A loro si sono aggiunt* altr* resident* sensibil* e motivat*. Insieme, hanno continuato il loro lavoro di raccolta e di distribuzione di pacchi alimentari, hanno cucinato, hanno aiutato a trovare alloggi, hanno cucito mascherine e abiti. Tutto ciò nonostante le difficoltà legate al confinamento. Attraverso queste azioni si tratta di prendersi cura di chiunque, anche in una tale situazione. Queste persone solidali stanno costruendo ed immaginando una società fondata sulla cura, di sé e degli altri, in contrasto con la gestione della povertà da parte della polizia, che è stata la risposta politica della città per 40 anni.

È questa alternativa sociale che il Sindaco e il questore temono di più?

Così sembrerebbe, viste le informazioni fuorvianti che hanno scelto di far giungere ai giornalisti della RTBF. In seguito al brutale ed arbitrario arresto di due individui venuti a procurarsi del cibo in uno spazio del centro città in cui siamo volontari (non eravamo presenti il giorno dell'incidente), il rapporto della polizia determina che la distribuzione di cibo in quel luogo era illegale e così facendo giustifica i suoi stessi abusi.

Questa coabitazione tra le politiche securitarie della città, che fonda il suo ordine sul valore di mercato degli scambi, e una gestione solidale delle risorse e dei bisogni, non può che portare a ulteriori tensioni e ad abusi da parte della polizia.

Decretando che la distribuzione di cibo è illegale, tutte le forme di solidarietà che non sono sotto il controllo della polizia sono criminalizzate. Conosciamo bene questo ritornello: i poveri sono poveri perché sono criminali. E quindi non meritano altro che umiliazioni e disprezzo.

Non saranno né il sindaco socialista, né la sua polizia a spiegarci che le situazioni di precarietà e di grande povertà della città, con cui conviviamo, sono la conseguenza di un sistema che produce disuguaglianze e di cui loro sono i principali custodi.

Ovviamente non siamo affatto impressionati dalle loro minacce. Vogliamo una società fondata sulla cura. Probabilmente commettiamo degli errori, e se le autorità dovessero trasformarsi in guardiani della pace, protettori di coloro che sono più esposti alla violenza quotidiana, e smettessero di infantilizzarci, allora sarebbero i benvenuti a discutere con noi di buone pratiche sanitarie. Abbiamo voglia di imparare. Ma continueremo a rifiutare gli ordini subdoli e assurdi di persone che hanno paura di perdere la loro autorità al punto di farsi autori di tali aggressioni.

Ciò che temiamo di più è che un tale approccio riduca il potere dell’agire legittimo della cittadinanza nel mero atto della denuncia reciproca.

D'ora in poi, e in risposta a questa cinica provocazione, intensificheremo la raccolta e la distribuzione "illecita" di cibo e maschere.

La posta in gioco è alta se vogliamo coltivare i diversi modi del prendersi cura di coloro che soffrono. Ricordiamo che la sicurezza sociale e il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori a Liegi sono nati da pratiche di solidarietà e di assistenza spesso dichiarate illegali anche dai predecessori di questo questore e questo sindaco. Tali pratiche sono diventate ciò a cui teniamo di più.

Assemblea degli usi della Cafétéria collective Kali

  • Qui il testo originale.
  • Qui una testimonianza diretta.