L'autobomba
che oggi ha ucciso quasi cento persone, ferendone e mutilandone altre
duecento, ha distrutto il caratteristico bazar dei cereali e delle
granaglie di Pipal Mandi, nel cuore della città vecchia di Peshawar. Si
chiamava così perché sorgeva attorno a un antichissimo pipal, un fico
sacro millenario: albero sacro per i buddisti. Non per i commercianti
musulmani, che infatti avevano ingabbiato il suo grande tronco in una
baracca circolare di legno che ospitava decine di venditori con le loro
merci.
All'ombra del grande albero i mercanti chiacchieravano e
prendevano il tè, i garzoni spingevano i carretti carichi di merci,
talvolta inutilmente trainati da piccoli muli, facendo lo slalom tra i
moto-risciò e le donne in burqa venute a fare la spesa.
Da questo
ombelico sacro-profano si diramavano tortuosi i vicoli affollati e bui
del bazar, su cui si affacciavano ininterrotti gli altri banchi del
mercato e grandi portoni di legno da cui si accedeva ad antichi
caravanserragli da mille e una notte: cortili ombreggiati da teli
colorati e ingombri di casse, sacchi, bilance, carretti, animali e
mercanti intenti a trattare, pesare e catalogare.
Tutto attorno a
Pipal Mandi si snodavano, senza distinzioni nette tra l'uno e l'altro,
il bazar delle spezie, quello delle pozioni magiche, quello degli
ortaggi e quello delle donne, pieno di tessuti e accessori colorati
‘made in China'.
Ormai da anni nessun occidentale si spingeva da
queste parti. Il personale straniero dell'Onu e della Croce Rossa
Internazionale che lavora a Peshawar ha il divieto assoluto di
avvicinarsi anche in auto alla città vecchia per il rischio attentati.
Anche molti giornalisti preferiscono tenersi alla larga dai bazar. Chi,
invece, decideva di tuffarsi in questo labirinto attirava gli sguardi
di tutti, ma proprio tutti, come fosse un marziano. Sguardi curiosi,
approcci amichevoli - "Hello sir! How are you sir? Where are you from sir?" - e in alcuni casi allarmati - "Don't stay here sir, it's dangerous! A lot of taliban here, sir".
Anche
nel centro di Kabul ci sono tanti talebani. Oggi un piccolo commando di
guerriglieri travestiti da poliziotti ha fatto irruzione nell'hotel
Bakhtar di Shar-e-Naw, nel pieno centro di Kabul (a due passi
dall'ospedale di Emergency), uccidendo dodici persone, tra cui sei
dipendenti delle Nazioni Unite di cui non è ancora stata resa nota la
nazionalità. Mentre la zona si trasformava in un campo di battaglia,
con sparatorie, esplosioni, gente in fuga imbrattata di sangue, mentre
centinaia di soldati circondavano la zona, altri talebani sparavano un
colpo di mortaio contro l'Hotel Serena, il superblindato albergo cinque
stelle che ospita gli stranieri a Kabul. Temendo anche qui un irruzione
armata, gli ospiti sono stati rinchiusi nei bunker sotterranei, fino a
quando l'allarme non è cessato.
Una dimostrazione di forza dei
talebani alla vigilia del ballottaggio per le elezioni presidenziali,
fissato per sabato 7 novembre: un voto illegittimo (poiché si svolge
sotto occupazione militare) che confermerà al potere il sempre più
debole e screditato Hamid Karzai.
E' di oggi la notizia che suo
fratello Hamed Wali, il principale narcotrafficante del paese e
l'organizzatore delle frodi elettorali nel sud a vantaggio di Hamid, è
da otto anni sul libro paga della Cia. Qualcuno dice perché è suo l'ex
residenza del Mullah Omar di Kandahar che oggi è diventato il quartier
generale di migliaia di mercenari della Cia e delle forze speciali Usa
- anni fa chi scrive ha avuto il piacere di venire fermato da questi
‘Rambo' vestiti da talebani davanti al cancello di Villa Omar: un
calcio sul cofano della macchina e un fucile d'assalto puntato alla
testa dell'autista accompagnato da un gentile "Get the fuck out of here!".
Altri ricordano le accuse di coinvolgimento dell'intelligence Usa nel
narcotraffico afgano: che il più grosso boss afgano della droga è
stipendiato dalla Cia sarebbe solo una conferma.