Crisi politica in Bolivia: personalismi al potere e un problema di rappresentatività

Se la sinistra governativa non sarà capace di ripensarsi in maniera orizzontale per molti la situazione rimarrà invariata

5 / 2 / 2020

Sto viaggiando per la Bolivia da ormai un mese, attraversando tappa dopo tappa le più importanti città del Paese, da oriente a occidente. Ho potuto osservare situazioni molto differenti tra loro, potendo ascoltare dalla voce dei boliviani ciò che pensano sulla crisi politica in atto e su quello che è successo negli ultimi tre mesi.

La Bolivia che si affaccia al nuovo decennio appare stanca e disillusa, ma soprattutto in attesa. La stagione delle piogge e la scarsità di turismo provocata dalla crisi politica, ci presenta un paese riflessivo, arrabbiato, ma che per lo più vuole ripartire, lasciandosi alle spalle queste settimane di scontro all'interno della società boliviana. Seppur vero che le proteste sono state abilmente cavalcate dalle destre, vero è anche che la loro pochezza politica ha fatto sì che, come molti già preannunciavano, il più grande nemico di Evo Morales fosse lui stesso. «Essere indigeno non è una questione di volto, di tratti, di colore della pelle, di vocabolario, ma è un problema di attitudine» [1] dichiarava nel 2010 a tal proposito Oscar Olivera, e a dieci anni di distanza vediamo gli effetti di ciò che in ambito sindacale si era già capito. Grazie alla sua immensa popolarità, Morales ha accentrato il potere e diminuito la possibilità di replica di quella stessa base sociale che lo ha portato alla sua prima elezione, il 18 dicembre 2005. L'autonomia di organizzazioni sociali e sindacati è diminuita drasticamente con il presidente aymara, che ha cercato di appiattire tutte le posizioni a quelle del governo, denigrando le voci contrarie come non conformi a un "discorso di sinistra". Come molti mi hanno ribadito, era una situazione da "o con me o contro di me".

Osservando la politica economica operata dal governo Morales, nonostante un discorso chiaramente antineoliberista, notiamo come il MAS (Movimiento al Socialismo, il partito di Morales) abbia promosso nel Paese progetti di sviluppo di chiara matrice estrattivista, con l'unica differenza (non marginale) della nazionalizzazione di buona parte dei settori strategici (acqua, luce, telefonia e comunicazioni, sanità, risorse del sottosuolo). La nazionalizzazione in un sistema altamente verticista ha fatto però sì che gli interessi personali scavalcassero gli interessi pubblici, con spartizione di ruoli di potere ai lacchè di turno e corruzione in aumento. Le indagini che sono partite per acclarare le posizioni di diversi masisti sono state bollate subito come "persecuzioni politiche", però Marco Antonio Gandarillas, difensore dei diritti umani del CEDIB (Centro de Documentación y Información Bolivia) a tal proposito sostiene che: «noi che siamo specializzati nel seguire i casi delle violazioni dei diritti umani, abbiamo visto che spesso si confondono alcune doverose indagini per corruzione con la persecuzione, quando in realtà sono molti anni che si sono denunciate determinate situazioni nelle grandi imprese pubbliche e private ed ora c’è la necessità da parte dello Stato e della società civile di conoscere come sono stati gestiti contratti milionari che hanno coinvolto altissime autorità. Ci sono poi anche altri casi più difficili, con alcuni funzionari pubblici militanti del MAS che stanno subendo imputazioni esagerate, però ci sembra che nell’insieme sono casi abbastanza minoritari» [2].

Nonostante ciò, l'egemonizzazione della sinistra istituzionale effettuata da Morales lo ha portato a sembrare l'unica figura plausibile per quello schieramento, consentendogli di arrivare a un passo dalla quarta elezione alla presidenza (la costituzione con cui venne eletto la prima volta permetteva solo due elezioni). È idea di molti, anche fra i suoi oppositori, che se non avesse truccato le elezioni per vincere al primo turno, probabilmente avrebbe vinto il ballottaggio. Ma questo poco cambia, poiché quando la misura è colma, se ne raccolgono le conseguenze, come la possibilità di lasciare il Paese in mano alla destra reazionaria, cosa ora possibile data la pessima immagine che si sta portando dietro il MAS nelle ultime settimane.

Se questo era il momento tanto atteso dalla destra cruzeña (di Santa Cruz de la Sierra), ora invece il popolo del MAS è confuso. Una parte continua a sostenere il suo caudillo, con una sorta di cecità bonaria, conscia o inconscia che sia, e con ferma volontà di non voler perdere il Paese. A questo schieramento però, a livello associativo, possiamo solo iscrivere i cocaleros (coltivatori di piante di coca) e alcune organizzazioni di El Alto, che sono state le uniche formazioni a difendere Evo con fermezza in piazza durante i giorni della rinuncia. Un'altra parte, al momento del bisogno, ha deciso di non prendere posizione (se non addirittura di prendere posizione contraria). Questa sa di non poter più accettare un sistema valoriale che zittisce il dissenso, che ha portato una unica persona al potere per 14 anni, e che illegalmente voleva prendersi un'ulteriore elezione, nonostante a sinistra non ci siano altre alternative.

Le elezioni del prossimo maggio sembrano comunque incerte, essendo dietro l'angolo una pratica che ben conosciamo in Italia: il voto utile. Parte della popolazione indigena ha paura che con un nuovo corso si sdogani un discorso razzista che però è sempre stato presente qui in Bolivia, e che è solo stato silenziato dal governo negli ultimi anni. Da questo punto di vista, posticipare le elezioni (azione criticatissima dai fedelissimi di Morales) non sembra essere stata una mossa così sfavorevole al MAS. C'è grande scoramento, ma anche voglia di unità nazionale. "La Bolivia è così, cambiano i governi ma sempre troverai qualcuno attaccato al potere e corruttibile, lo era con la destra, lo è con la sinistra, e lo sarà nuovamente con la destra se tornerà. Evo ha fatto tanto per far crescere il Paese ma il popolo vuole diritto di parola, anche se inizio a pensare che mai lo avrà" dice Maria, ex elettrice del MAS di 29 anni, di Santa Cruz de la Sierra.

Nonostante la voglia di democrazia che pervade le strade, queste nuove elezioni sembrano sempre di più un nuovo tentativo di spartirsi il potere. L'ultima candidatura arrivata, quella della attuale presidente in carica che guida la transizione, Jeanine Añez, ha attirato le polemiche dei leader storici della destra di opposizione, Mesa e Camacho, che la accusano di voler sfruttare la popolarità del suo incarico istituzionale per tenere per sé il potere, sulla falsa riga di Morales, nonché disperdere i voti della opposizione. La particolarità della situazione è che anche gli stessi Mesa e Camacho corrono per la presidenza in due schieramenti diversi: il numero dei candidati è ora arrivato a 8 (contando il candidato del MAS Luis Arce Catacora, scelto da Morales nonostante le critiche della base che voleva come candidato David Choquehuanca, designato invece per la vicepresidenza). Non pare esattamente la strategia di uno schieramento che ha a cuore "solo il bene del Paese e il ripristino della democrazia".

Il problema della rappresentatività è cruciale nella politica boliviana, soprattutto per la grande percentuale di popolazione indigena nel Paese. Come connotazione della loro cultura, essi promuovono un'amministrazione orizzontale e democratica, in cui la consultazione dal basso è l'unica via per poter prendere le decisioni, e in cui l'orizzonte temporale è sempre molto più a lungo raggio rispetto alla visione occidentale. Nonostante il primo presidente indigeno della storia, i processi di autonomia comunitaria non solo non sono cresciuti, ma in alcuni casi sono stati addirittura repressi, senza fornire un contrappeso con una maggiore rappresentatività all'interno dell'apparato dello Stato, che è stato gestito sempre e solo a immagine e somiglianza di Morales.

Il personalismo e l'individualismo sono stati dunque due fattori che hanno inciso in maniera fondamentale nello smantellamento di ciò che anche di buono aveva fatto il socialismo al potere negli ultimi anni qui in Bolivia, al centro del Sudamerica, seguendo un copione già visto nell'avvicendarsi di governi socialisti e reazionari nella regione nell'ultimo decennio, su tutti due vicini ingombranti come Cile e Brasile. Ora, in Latinoamerica si vive un periodo di cambiamento, di protesta sociale, e di scontri molto forti con il potere statale. L'amara considerazione è che, che i governi cadano o no, se la sinistra governativa non sarà capace di ripensarsi in maniera orizzontale per molti la situazione rimarrà invariata, almeno fino alla prossima rivolta.

[1] https://www.globalproject.info/public/resources/pdf/Palabras_en_movimiento_-_Matteo_Dean.pdf

[2] https://www.globalproject.info/it/mondi/bolivia-dopo-il-caos-una-calma-tesa-verso-le-elezioni-di-maggio/22518