Crisi istituzionale in Perù, Vizcarra destituito e scontri nelle piazze

13 / 11 / 2020

Ci troviamo innanzi all'ennesimo capitolo di quella che sembra a tutti gli effetti una telenovela latinoamericana, se non fosse invece la scena politica di una delle nazioni più influenti dell'area: il Perù. Nella giornata di lunedì 9 novembre il congresso peruviano ha votato a larghissima maggioranza (105 favorevoli, 19 contrari, 4 astenuti) una mozione di sfiducia per il presidente Martín Vizcarra, destituendolo dal suo incarico per “incapacità morale permanente”, a seguito di varie indagini che ne evidenzierebbero la corruzione durante il suo periodo da governatore di Moquegua.

Vizcarra era diventato presidente nel marzo 2018, quando da vice del presidente Kuczynski gli succedette a seguito delle sue dimissioni (anch'esse per corruzione). Nel mantenere il potere Vizcarra sciolse il Congresso, indicendo elezioni per un nuovo congresso da mantenere in carica fino allo scadere del mandato presidenziale, che avverrà a giugno 2021. La destituzione di Vizcarra è solo l’ultimo passo di una crisi politica cominciata molti anni fa, ma che si è acuita negli ultimi quattro anni, con l’elezione del presidente Kuczynski.

A seguito del voto di sfiducia del congresso si sono moltiplicate diverse azioni di protesta nelle maggiori città peruviane. Si registrano manifestazioni a Lima, Arequipa, Cuzco, Trujillo, Huaraz, Piura, Moquegua, Puno, Loreto e Huancayo. 

A Lima, dove ha preso luogo la manifestazione con i numeri maggiori, si registrano scontri con la polizia che hanno portato nella giornata di martedì a 30 fermi e diversi feriti, tanto da attivare Amnesty International nel chiedere di fermare la repressione violenta delle manifestazioni da parte della polizia peruviana per garantire i diritti di tutte le persone che vi partecipano. 

Ma cosa effettivamente significano queste manifestazioni? La popolazione crede nell'innocenza di Vizcarra? La questione paradossale è che dell'innocenza di Vizcarra interessa molto poco: il sistema istituzionale peruviano si basa sulla corruzione, e come dilagava la corruzione prima di Vizcarra è continuata anche sotto il suo mandato, così come probabilmente continuerà con chi verrà dopo. La questione è invece la spartizione del potere, unita alla stanchezza del popolo peruviano. Nelle piazze peruviane quindi non ci sono solamente i fedelissimi di Vizcarra, ma anche e soprattutto moltissimi cittadini, popoli originari, studenti e lavoratori stanchi delle battaglie per il potere che sempre meno hanno a che fare con la vita reale del Paese, e che anzi hanno ripercussioni sempre più gravi sulla vita dei peruviani e delle peruviane.

Il neoeletto congresso nasce per rimanere in carica per circa un anno e solo due mesi fa ha votato contro la stessa mozione passata lunedì: appare completamente fuori di senno aprire una crisi politica di queste dimensioni nel bel mezzo di una crisi sanitaria e sociale. Vizcarra (che come i membri del congresso ha l'immunità giudiziale nello svolgimento della sua carica) sarebbe stato giudicato successivamente all'imminente scadenza del suo mandato. Il brusco cambio di rotta avviene per un disegno di legge anticorruzione dell'esecutivo, che in una bozza prevederebbe la cancellazione dell'immunità per l'organo legislativo (immunità che invece sarebbe rimasta all'organo esecutivo). 

Vizcarra viene quindi costretto alle dimissioni, e viene nominato al suo posto lo speaker del congresso Manuel Merino. Il presidente del congresso (ora presidente del consiglio) è personaggio di spicco del partito di centro-destra “Acción Popoluar”, ma tra la popolazione è quasi sconosciuto, aumentando così il malcontento per la sua nomina. È stato promotore della “Ley de Protección Policial”, che favoriva l'impunità degli organi di polizia, e viene infatti indicato come principale responsabile delle violenze della polizia di questi giorni da più parti. Nonostante la chiara collocazione a destra di Merino è da specificare come la mozione di sfiducia abbia ricevuto diversi voti anche da alcuni partiti di “sinistra”. I prossimi mesi, verosimilmente, vedranno le varie forze politiche spartirsi il potere grazie al controllo del potere esecutivo, una situazione intollerabile anche per gli standard peruviani. Verranno riaperte molte questioni che vedevano l'opposizione del Presidente, come per esempio la riforma universitaria per liberalizzare il settore, che pare sarà fra le prime riforme ad essere discussa.

La proteste che si stanno sviluppando nelle ultime 72 ore (giungono notizie di una loro prosecuzione soprattutto a Lima, Cuzco e Arequipa) sono sicuramente esasperate dalla situazione nazionale, che vede un Paese in ginocchio, con quasi un milione di casi di coronavirus accertati, oltre 35.000 morti e un'economia allo stremo. 

In questa drammatica situazione la popolazione non intende più accettare questi giochi di potere di un sistema ormai lontanissimo dall'avere una rappresentanza reale (questo congresso è stato votato solo a gennaio di quest'anno). Ciò si può osservare nella grande varietà della composizione della protesta: si passa dal classico cacelorazo delle famiglie (lo sbattere casseruole, pentole e simili dalle finestre delle case) alla protesta attiva su strada, affrontata dagli idranti e dai lacrimogeni della polizia. Il “rovesciamento”, chiaro riflesso di un potere conservatore e reazionario, viene affrontato da un fronte ampio, che però per natura guarda alle organizzazioni sociali e sindacali. Da questo punto di vista è significativa anche la presa di posizione dell'AIDESEP (Asociacion Interetnica de Desarrollo de la Selva Peruana), un'organizzazione che riunisce diverse etnie originarie amazzoniche, che dichiara: “No al colpo di Stato, si al giudizio per Vizcarra”.

Il rischio inoltre è che, per l'emergenza sanitaria, l'esecutivo e il congresso decidano di rinviare le elezioni, perpetuando il potere senza considerare la volontà del popolo peruviano nonché la naturale scadenza della legislatura. Le prime dichiarazioni di Merino da nuovo presidente confermano invece la data delle elezioni, fissata in aprile con eventuale ballottaggio a luglio. La tensione nel Paese è però in crescita e il protrarsi di una tale situazione di incertezza politica ed economica potrebbe sfociare in un aumento della rabbia sociale nel Paese, con conseguenze imprevedibili.