Cosa succede ad Hong-Kong

Intervista a Simone Pieranni

24 / 8 / 2019

Da diversi mesi è in atto ad Hong-Kong una mobilitazione di massa che, nel corso delle settimane, sta crescendo di importanza. Le proteste sono nate dalla cosiddetta “legge anti-estradizione”, che avrebbe limitato l’autonomia dell’isola rispetto alla Cina, ma stanno assumendo uno spettro politico e sociale più ampio, anche se ancora nebuloso. Per orientarci in questa situazione così complessa abbiamo intervistato Simone Pieranni, giornalista de Il Manifesto e fondatore di China Files, agenzia editoriale con sede proprio a Pechino.

1 Le proteste che stanno scuotendo Hong-Kong dall’inizio della primavera sono una risposta immediata alla cosiddetta legge “anti-estradizione”. Dietro i timori che questa legge avrebbe intaccato l’assunto giuridico-politico “un paese, due sistemi" - che fin dal 2004 rappresenta la linea di demarcazione tra l’isola e la Cina continentale - si celano ragioni più profonde?

Direi di sì. In generale da tempo soprattutto i giovani registrano un'ingerenza sempre più forte da parte della Cina sull'autonomia garantita da “un paese due sistemi”. La proposta della legge è stata vista come l'ennesimo tentativo di intaccare quanto garantito dalla Basic Law che prevede anche autonomia giudiziaria. È piuttosto bizzarra una cosa in tutto questo: la legge è stata proposta dalla chief executive Carrie Lam e sembra abbastanza probabile che l'abbia fatto di sua iniziativa. Specifico questo perché chi si esprime contro le proteste in difesa di Pechino, tende a difendere una legge che Pechino probabilmente – al momento – neanche ha chiesto. Non a caso Lam l'ha sospesa dopo le proteste.

2 Quanto pesa il passato coloniale di Hong Kong in queste proteste?

Niente se non per la propaganda di Pechino che può, giustamente, dire che sotto la Gran Bretagna c'era ancora meno democrazia di oggi. Va ricordato che Londra lasciò Hong Kong con il sistema “democratico” solo poco prima dell'handover di Pechino, ma in precedenza i cittadini di HK potevano decidere ancora meno di quel poco che possono fare oggi. 
Ricordiamo inoltre che il Consiglio Legislativo è frutto solo per una parte del suffragio universale, il resto è eletto da un comitato che Pechino ormai controlla piuttosto agevolmente. Il passato coloniale rientra poi sempre in chiava comunicativa, a causa della famosa foto dell'occupazione del parlamento durante la quale è comparsa la bandiera coloniale. 

Questo ha fatto sì che le proteste siano stato forzatamente etichettate come “un ritorno al passato”. Si tratta di una falsità: sono comparse anche bandiere americane, ma noi dobbiamo analizzare cosa vuole chi protesta attraverso i loro canali di comunicazione, non perché qualcuno porta con sé bandiere senza alcun senso. I manifestanti non vogliono tornare indietro, non hanno mai fatto alcun riferimento alla “democrazia americana”: vogliono che vengano mantenute le promesse presenti nella Basic Law, accettata anche da Pechino. 

Personalmente ritengo che l'unica cosa che avrebbero dovuto dire chiaramente i manifestanti era una presa di distanza dalle foto che ritraevano alcuni di loro con personale dell'ambasciata americana. Una presa di distanza netta avrebbe aiutato.

3 Si sta molto discutendo in Europa sulla composizione sociale e politica dei manifestanti. Qual è il quadro che emerge in questi mesi e come si è trasformato?

È molto complicato dirlo anche perché, come al solito, ci si sofferma sugli aspetti macro e si va a vedere poco i particolari. Sicuramente la protesta è guidata per lo più da studenti. Ma ci sono stati scioperi importanti durante questi mesi così come ci sono state tante manifestazioni di settori (ultimo gli insegnanti).

Non c'è ancora però una chiara rivendicazione anche per un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. È ancora una protesta con parole d'ordine legate molto alla contingenza politica. Le proteste non hanno proprio una chiara connotazione di classe.

Per quella che è la mia conoscenza di HK, dove sono stato molte volte anche per periodi piuttosto lunghi, la grande capacità di mobilitarsi dei lavoratori del porto ad esempio è sempre stata forte e alcuni temi – come quello abitativo – sono piuttosto caldi a HK. Però al momento non mi pare siano tra le rivendicazioni del movimento. 

4 Le proteste di Hong-Kong hanno trovato una notevole solidarietà da parte di movimenti che si considerano anti-sistemici, primo fra tutti i gilets jaunes in Francia. Quale può essere l’elemento che accomuna questi movimenti?

La rivolta, credo. La capacità di tenere la piazza così a lungo. La repressione subita da parte della violenza della polizia. La volontà di dire: vogliamo contare.

5 La «presa» per due giorni dell’aeroporto internazionale di Hong Kong da parte dei manifestanti – avvenuta a ridosso di Ferragosto – ha inasprito la situazione. Com’è cambiato il quadro politico e la percezione internazionale dopo questi avvenimenti?

Il quadro politico di HK è cambiato e la risposta è stata la manifestazione di domenica scorsa con 1,7 milioni di persone, secondo i manifestanti. Magari erano meno, ma insomma erano tanti considerando che HK fa 8 milioni di abitanti. Manifestazione pacifica proprio a causa del degenerare di alcune situazioni all'aeroporto. 

I manifestanti hanno voluto dimostrare di essere tanti e pacifici. Per quanto accaduto all'aeroporto hanno pure chiesto scusa. Scuse secondo me fin troppo esagerate: in un momento di conflitto così forte trovo normale che possano esserci anche episodi di scontri con la polizia. Di sicuro menare un giornalista del Global Times scambiandolo per un infiltrato è stato un errore.

Internazionalmente non credo sia cambiato granché; e questo è un problema più generale. Solitamente quando accadono queste cose la stampa internazionale va contro la Cina di default. Non che non ci siano anche ragioni valide, ma analizzare sempre quanto accade in Asia secondo la nostra dicotomia democrazia-dittatura non ha alcun senso. Non aiuta a comprendere gli eventi, anzi confonde e ovviamente “orientalizza” quella che è una percezione occidentale. Si possono indagare le ragioni della protesta di HK anche senza presentarla come uno scontro tra giovani democratici e dittatori, una banalizzazione. Analogamente presentare i giovani di HK come privilegiati che combattono contro l'avamposto del comunismo mondiale è una banalizzazione che non rende affatto giustizia né a chi protesta né alla complessità cinese, che va studiata e non ridicolizzata da stalinisti (e pure da tanti sovranisti di destra e basterebbe questo a comprendere il cortocircuito incredibile che si è creato) alla ricerca di una nuova patria politica (visto che vanno di moda le “patrie”). 

6 La risposta cinese si è sviluppata su molteplici livelli: dalla minaccia militare, alle accuse di terrorismo fino all’utilizzo di WeChat e Weibo che sono state inondate di messaggi a favore del governo e della polizia. Quale linea è destinata a prevalere?

A saperlo! Dipende molto da cosa sta accadendo nel Pcc. Provando a “giocare” possiamo immaginare due fronti: chi è per il dialogo (ma senza perdere la faccia) chi è per intervento militare o in ogni caso qualcosa che ponga fine alle proteste. 

Sapere cosa accade nel Pcc è molto complicato. Diciamo che ultima apertura di Lam potrebbe essere il segnale che Pechino per ora prova a capire chi può essere un interlocutore delle proteste.

7 In uno dei tuoi ultimi articoli hai parlato del piano di sviluppo che le autorità cinesi hanno pensato per Shenzhen. Può essere questa la risposta di lungo periodo alla crisi di Hong Kong?

Lo è da tempo e domenica è stata semplicemente ufficializzata. HK però diventa dirimente per una questione simbolica. È fuori discussione che la Cina possa perderla o possa accontentare in toto i manifestanti. La Cina non può perderla, ma non può “tenerla” con la forza.