Un esercito regolare allo sbando, accusato di saccheggi e violenze. E
una resistenza finora dimostratasi credibile ma capace, da un momento
all’altro, di dar vita all’ennesima mattanza.
Lontano dai difficili negoziati di Kampala, a Goma, capitale del Nord
Kivu situata nell’Est della Repubblica democratica del Congo (Rdc),
regnano attesa e confusione.
La città, occupata dai ribelli del Movimento 23 Marzo (M23), è in stallo. Le voci di un ritiro dei ribelli si susseguono, ma sembrano ancora false.
Migliaia di sfollati faticano a tornare nelle proprie case mentre
diversi testimoni denunciano che le truppe regolari si sono rese
colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani, accentuando quella che
pare delinearsi come l’ennesima emergenza umanitaria per la tribolata ex
colonia belga.
GOMA CITTÀ FANTASMA. La capitale del
Nord Kivu appare ancora come una «città fantasma, dove la gente
preferisce restare in casa, le attività sono solo in parte riprese e
anche le scuole, nonostante gli inviti dei ribelli a riaprirle, restano
in parte chiuse», ha raccontato a Letter43.it padre Piero
Gavioli, direttore del centro giovanile don Bosco Ngangi che, da quando
l’M23 ha preso Goma, ospita «7-8 mila sfollati». La situazione, ha
sottolineato Gavioli, è comunque di «calma apparente» anche perché l’M23
si è «comportato correttamente» a dispetto dei soldati regolari che
«prima di ritirarsi, hanno saccheggiato diverse abitazioni».
LE VIOLENZE DELL'ESERCITO REGOLARE.
Alle parole di Gavioli fanno eco quelle di altri testimoni che, nelle
città-satellite di Goma, hanno assistito alle violenze di un esercito
dove disciplina e tutela dei diritti umani sembrano essere ormai una
chimera.
«I soldati sono arrivati e hanno cominciato a sparare e a stuprare le
nostre donne. Hanno rubato cibo e altri beni nei negozi e hanno detto
che, se li avessimo denunciati, ci avrebbero ucciso», ha raccontato,
restando nell’anonimato, un abitante di Minova, città a 50 km a sud di
Goma dove l’esercito congolese si è ritirato.
Minova sembra essere la cartina di tornasole di un quadro militare
quasi paradossale, che vede i circa 1.500 combattenti dell’M23
presentarsi come una formazione ben equipaggiata e disciplinata a fronte
di un esercito congolese che, nonostante possa contare su decine di
migliaia di unità, appare paranoico, pericoloso, affamato di ogni genere
di beni, prossimo al collasso.
IL TIMORE DI NUOVE TRAGEDIE. L’inaffidabilità delle truppe regolari «per noi non è una novità», ha spiegato a Lettera43.it
Stefano Merante, responsabile dei progetti del Vis (Volontariato
internazionale per lo sviluppo) nell’Rdc, ricordando al tempo stesso
come, nel recentissimo passato, saccheggi e violenze abbiano segnato
anche la presenza dell’M23. Anche per questo, ha sottolineato Merante -
in costante contatto con i tre volontari italiani operanti al don Bosco -
nel centro «c’è un clima di attesa e scoramento», accentuato dal timore
che la ripresa dei combattimenti si possa trasformare nell’ennesima
«tragedia».
Nell'est della Repubblica del Congo oltre 1,6 milioni di sfollati
Per ora, gli sfollati del don Bosco così come i profughi dei 12 campi
dell’area monitorati dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati
(Unhcr), sono riusciti ad ottenere assistenza alimentare sufficiente per
i prossimi giorni.
Ma se «i negoziati andranno per le lunghe come sembra, tornerà
l’emergenza», ha avvertito Merante parlando di decine di bambini giunti
al don Bosco in uno stato di «malnutrizione». E proprio donne e bambini,
è l’allarme lanciato dal responsabile del Vis, sono le principali
vittime della prolungata instabilità delle sponde occidentali del lago
Kivu, teatro ormai da mesi di quella che «già si era profilata come una
catastrofe umanitaria», con almeno «590 mila sfollati interni»
registrati sin dalla recrudescenza delle ostilità, nella scorsa
primavera.
CONDIZIONI SANITARIE DISPERATE. Famiglie
spesso costrette in alloggi di fortuna, in condizioni igienico-sanitarie
disperate, che, loro malgrado, hanno ulteriormente destabilizzato
un’area che conta in totale 1,6 milioni di profughi. Ma «la causa
umanitaria è da tempo passata in secondo piano» mentre le pattuglie dei
migliaia di caschi blu della missione Monusco, da quando su Goma
sventola il vessillo dell’M23, quasi non si vedono per le strade della
città, segno della colpevole impotenza della più grande missione di pace delle Nazioni Unite.
Mercoledì, 28 Novembre 2012