Come se fossimo finalmente liberi

Il racconto di un venerdì pomeriggio non ordinario a Gaza.

14 / 12 / 2019

Il racconto di Dario Fichera - dell'Associazione Ya Basta! Êdî Bese!  che in questo momento si trova a Gaza.

È un venerdì di dicembre a Gaza: non un dicembre qualsiasi, ma il dicembre del 2019. Mancano due settimane al famigerato 2020, l'anno in cui Gaza sarà invivibile secondo i report delle Nazioni Unite degli ultimi sette anni, ed è trascorso un mese esatto dalla strage di Deir Al Balah e solo sei giorni dall'ultimo bombardamento.

Dò appuntamento al mio amico Shadi a Bani Suhaila, lo scambio dei taxi collettivi tra il nord ed il sud della Striscia. Come nella vita, anche stavolta vengo dal sud. 

Ci muoviamo verso la città di Gaza e, pochi chilometri prima di entrarvi, veniamo investiti dall'odore nauseabondo degli scarichi fognari che vanno direttamente verso il mare ed un attimo dopo attraversiamo un accampamento beduino invaso dai rifiuti. 

Shadi mi racconta che i lavori per il trattamento delle acque reflue vanno a rilento a causa delle restrizioni all'ingresso dei materiali e che quel campo beduino era, fino a dieci anni fa, un allevamento di bestiame ma che, subito dopo "Piombo fuso" gli israeliani iniziarono ad avvelenare il terreno scaricando diserbanti dal cielo. Mentre raggiungiamo la città mi racconta anche che questo Natale i cristiani di Gaza non sono stati autorizzati a recarsi in Cisgiordania per le festività. Poche ore prima, in ospedale, avevo chiesto a medici ed infermieri cosa pensassero delle terze elezioni in Israele in un anno. La risposta era stata unanime: “cambierà soltanto il nome del nostro prossimo carnefice".

Non è un venerdì di dicembre qualsiasi, come dicevo prima. 

Nonostante apparentemente a Gaza tutto sembri pressoché immobile, un occhio più attento noterà che c'è un bel po' di fervore in questi giorni. Nelle strade della città le bandiere rosse del fronte Popolare per la liberazione della Palestina, che la scorsa settimana ha festeggiato il 52esimo anniversario, vengono sostituite con quelle verdi di Hamas che questo sabato festeggerà il suo 32esimo anniversario e contemporaneamente il tredicesimo anno di controllo sulla Striscia. Un festeggiamento che si attende sfarzoso, dato che abbiamo visto l'allestimento di un gigantesco palco e già da qualche giorno la macchina propagandistica è in movimento con cartelloni ed automobili con megafoni che girano per la Striscia. Sempre oggi, dopo un paio di settimane di interruzione, è ricominciata la grande marcia del ritorno e cinque persone sono state ferite dai cecchini israeliani. 

gaza_hamas

Shadi oggi decide di deviare dal solito percorso della nostra passeggiata del giorno di festa sul lungomare del porto e di proseguire, invece, verso il quartiere di Zeitoun (oliva), ovvero il nucleo storico della città.

Lungo il nostro cammino incontriamo un grande palazzo ancora sventrato dai bombardamenti ed il cinema "Al Nasser" (la vittoria): uno dei dieci cinema che esistevano a Gaza fino agli anni '90 , quando la parte di società fondamentalista religiosa li diede alle fiamme o ne trasformò la destinazione d'uso, in quanto i film proiettati venivano bollati come "pornografia". 

Del Nasser rimangono oggi solo la grande insegna e lo scheletro bruciato dell'edificio. 

Svoltiamo gli angoli di un paio di vicoli e ci inoltriamo nel cuore della città vecchia. Il sole è appena tramontato ed il buio pesto nel quale ci ritroviamo avvolti ci ricorda che l'energia elettrica qui c'è solo per sei/otto ore al giorno e chi può permetterselo usa un generatore o i pannelli solari.

Superata la chiesa ortodossa giungiamo davanti all'arco di ingresso dell'Hamman "El Samara": uno dei bagni turchi più antichi del Medio Oriente. Scendiamo le scale che ci conducono tre metri sotto terra e ci ritroviamo inaspettatamente immersi in un'oasi di pace, con le luci soffuse, un delicato odore di spezie e la gente che parla a bassa voce; una scena davvero inusuale per la perennemente caotica Gaza. 

gaza bagni

Ci viene incontro con un gran sorriso Ahmed, giovane discendente della famiglia Al Wazeer, che da oltre cento anni gestisce questo luogo eretto nel 1320 dai mamelucchi (anche se alcuni racconti fanno risalire la costruzione al secolo precedente).

Ahmed ci offre un ottimo succo di limone fresco e ci conduce lungo le tre stanze con il soffitto a volta a differenti temperature che compongono la struttura. L'acqua viene riscaldata con lo stesso sistema di settecento anni fa, cioè attraverso delle caldaie a legna ed i buchi nel soffitto sono disposti in modo da mantenere sempre controllata la temperatura di ciascuno degli ambienti. 

«In inverno le persone di tutte le classi sociali e di tutte le età vengono qui per scaldarsi rigenerarsi e socializzare. Chi soffre di reumatismi viene qui a curarsi» ci racconta ancora Ahmed Al Wazeer.

L'Hamman è aperto dalle 5:00, cioè subito dopo la prima preghiera del mattino (Al Fajr) fino alle 22:00, e dalle 11:30 alle 15:30 l'accesso è consentito alle sole donne.

Oggi questo è rimasto l'unico dei sei (ma qualcuno dice quindici) bagni turchi che all'inizio dello scorso secolo si trovavano a Gaza e dei quali oggi non rimane più traccia. Si racconta anche che negli anni '50 e '60 ce ne fossero anche ad accesso misto (uomini e donne).

Ahmed ha 30 anni e porta avanti, insieme al padre, la professione di famiglia da quando aveva nove anni. Ci racconta ancora che durante le guerre degli ultimi dieci anni, sono stati costretti a chiudere l'Hamman per qualche tempo, privando così i gazawi anche di questa piccola oasi di pace in una terra così martoriata. 

Ma adesso mi guardo intorno; oggi è venerdì 13 dicembre, non ci sono droni sulle nostre teste e gli avventori del bagno turco mi sorridono mentre bevono il thè, chiacchierano e si rilassano.

Oggi è venerdì e qui dentro per un attimo è come se non fossimo più in prigione; come se non mancassero pochi giorni al dannato 2020; come se non fossimo a Gaza; come se fossimo finalmente liberi!