Colpi di genio in California, suicidi-omicidi a Shenzhen

15 / 3 / 2012



Quando nel febbraio 2011 Barack Obama incontrò, forse per l'ultima volta, Steve Jobs, gli chiese se la Apple avrebbe mai riportato negli Usa i milioni di posti di lavoro disseminati nel globo con le sue produzioni. La risposta fu un «no» senza sfumature.
   Il presidente americano aveva, inutilmente, sfidato la convinzione al centro delle strategie della multinazionale: il Made in Usa non è più competitivo rispetto alla scala gigantesca su cui operano le fabbriche all'estero e alla flessibilità, alla convenienza, alla qualificazione dei loro lavoratori. L'aneddoto è riportato in un'inchiesta che nel gennaio scorso il New York Times ha condotto sulle pratiche di affari e strategie della multinazionale e sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche dei suoi fornitori, (Nyt 21 gennaio 2012). Un report esteso che era stato preceduto dal monologo di un attore, Mike Daisey, la cui pièce «Estasi e Agonia di Steve Jobs» ha fatto sussultare le coscienze americane dopo un passaggio sulla radio nazionale che ha squarciato l'ambito teatrale dove era rimasto chiuso, ignorato dai più. Un j'accuse frutto di un viaggio di 18 mesi nelle fabbriche cinesi. 

Tragico volo dalle terrazze

Non è la prima volta che la Apple è bersagliata da critiche per le pratiche dei suoi sub contractors, tra i quali occupa un ruolo crescente la taiwanese Foxconn, impero della produzione elettronica globale a contratto (40% di tutti i prodotti che finiscono sul mercato), con oltre un milione di dipendenti e una schiera di mega fabbriche in Cina, salita alla ribalta quando nel 2010 nella sua fabbrica-città di Shenzhen (400 mila dipendenti) alcuni giovani operai migranti si sono tolti la vita saltando dalle terrazze dei dormitori. Vi sono ong di Hong Kong che da anni denunciano il modo disumano in cui i colpi di genio "immateriali" concepiti in California vengono trasformati in merci concrete. Con le loro campagne non sono però mai riuscite a fare breccia nei grandi media internazionali. Ma la crisi che morde gli Usa ha costretto infine a spingere lo sguardo oltre lo stereotipo dei posti di lavoro "rubati" dai cinesi. Tornata sul banco degli imputati senza più il carisma di Steve Jobs, la Apple ha contrastato il danno all'immagine predisponendo ispezioni "indipendenti" alla Foxconn di Shenzhen che da parte sua dall'1 febbraio ha aumentato del 25% i salari.

Messaggio ai fan di Apple

I nodi della questione però sono altri, e interpellano direttamente anche i fan dei prodotti Apple. Come si evince da queste pagine dove pubblichiamo, per gentile concessione dell'autrice, la sociologa Pun Ngai, vice direttore del China Social Work Research Centre di Hong Kong, alcuni stralci da un suo manoscritto, prefazione a un libro di futura pubblicazione, Suicide or Murder? Unraveling Apple Dream and Foxconn Suicides. Il volume, che intende rilanciare la campagna contro i modi di produzione dell'industria elettronica, è il frutto dello sforzo collettivo del Foxconn Research Group, costituito da oltre 60 tra professori e studenti di 20 università, cinesi e internazionali che fanno capo a Sacom (Students and Scholars againts Corporations Misbehavior), una ong di Hong Kong. Iniziata nel giugno del 2010, l'inchiesta è proseguita fino al dicembre 2011, attraverso questionari e interviste dirette con lavoratori di impianti Foxconn in nove città cinesi. Inoltre 14 ricercatori sono entrati nelle fabbriche fingendosi operai per raccogliere informazioni. D'altra parte le richieste ufficiali a Apple e Foxconn di entrare nei reparti non hanno neppure ricevuto una risposta.

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