Colombia - «La lotta non è solo in dicembre, per questo arriva il 2020»

11 / 12 / 2019

I colombiani e le colombiane continuano a stare nelle piazze contro le politiche del governo di Iván Duque. Dall’Esecutivo, la risposta è repressione e negazione di un dialogo serio per risolvere i problemi.

Olga Lucía Quintero sottolinea come in Colombia, dal 21 novembre, si sta sviluppando una sollevazione popolare generalizzata, dove convergono – come non succedeva da molto tempo – i contadini, i popoli originari, le comunità afro discendenti e molti settori urbani, stanchi delle politiche economiche e sociali del governo del presidente Iván Duque, un delfino del tristemente celebre Álvaro Uribe Vélez.

Quintero fa parte dell’Asociación Campesina del Catatumbo (Ascamcat) e, dialogando con La Tinta, parla del paro nacional lanciato in tutto il paese tre settimane fa, una misura di forza per rifiutare le riforme del lavoro e delle pensioni promosse dall’Esecutivo. Con il passare dei giorni, le proteste si sono moltiplicate e si è aggiunta un’altra domanda concreta: che il governo fermi la repressione effettuata attraverso il temuto Escuadrón Móvil Antidisturbios (ESMAD), responsabile dell’assassinio del giovane Dilan Cruz, una morte che ha commosso tutte le colombiane e i colombiani.

Molti dei settori urbani che si sono aggiunti al paro, spiega Quintero, «non fanno parte di organizzazioni sociali, tuttavia, l'insoddisfazione per le leggi fiscali e del lavoro, e il trattamento della ESMAD hanno portato le persone a scendere in strada a protestare».

Il membro della ASCAMAT precisa che le proteste attraversano differenti regioni del paese, come il Suroccidente, Catatumbo, il nord di Santander, il Chocó, il Magdalena medio, il dipartimento di Arauca, zone dove «contadini, indigeni e afro discendenti hanno già portato la loro lotta rivendicativa nelle strade».

Il paro è attivo – assicura Quintero -. La notte di giovedì scorso, le forze armate dello Stato, hanno cominciato a sparare contro i manifestanti, per questo motivo si è denunciato a differenti organismi, come il ministero degli interni, la Defensoría (l’agenzia governativa nazionale per la difesa dei diritti umani), le Nazioni Unite gli abusi chiedendo la fine della repressione delle comunità che stanno alzando la voce per protestare».

Quintero racconta che, nei giorni 6 e 7 dicembre, c’è stata un’importante riunione di delegati indigeni, contadini e afro discendenti di tutto il paese nell’università di Bogotá, dove si è discusso dei passi da seguire di fronte al rifiuto delle istituzioni di trovare soluzioni per le richieste presentate. «Abbiamo discusso l’agenda delle mobilitazioni per il futuro, perché stiamo progettando una protesta che non sia di soli 15 giorni, ma che vada scaglionandosi, nella misura delle possibilità e con forti mobilitazioni nelle giornate di paro nel 2020», ha enfatizzato Quintero.

Come parte del paro nacional, sabato scorso, si è realizzata una cerimonia funebre nazionale; la domenica il concerto #UnCantoxColombia e, per questo lunedì si aspetta il risultato di una nuova riunione a tre tra il governo, gli imprenditori e i sindacalisti per discutere, tra gli altri punti, del salario minimo.

Sulle risposte del governo alle rivendicazioni, Quintero le riassume nel seguente modo: «il 5 dicembre si è tenuta una riunione di avvicinamento con il governo nazionale con la presenza dei delegati. È stato possibile evidenziare come il governo non ha la reale volontà di negoziare. Loro parlano di dialogo ma, gli sono stati portati 13 punti  di discussione e la loro risposta è stata che non sanno cosa vogliano dire questi punti, che bisogna svilupparli di più. Noi gli abbiamo detto che non c’era problema, che li avremmo sviluppati e abbiamo approfittato dell’assemblea a Bogotá per fare questo esercizio e poter avanzare. Questo nuovo pacchetto dobbiamo presentarlo lunedì sera e l’11 di dicembre torneremo a sederci al tavolo col governo».

«Speriamo di ottenere qualche risultato rispetto alle richieste che sta facendo il popolo colombiano su questi 13 punti di negoziazione – ha osservato Quintero – che includono temi agrari, ambientali, i diritti del lavoro, lo smantellamento della ESMAD. Anche se, fino ad ora, non si vede la volontà politica, perché il governo vuole fiaccare la protesta perché siamo in dicembre. Ma non si lotta solo in dicembre, per questo sta arrivando il 2020».

Se c’è una cosa che distingue lo Stato colombiano è la repressione sistematica contro i movimenti sociali, i difensori dei diritti umani e le organizzazioni politiche progressiste e di sinistra. Governi chi governi in Colombia, la repressione è la costante in un paese ancora scosso da 60 anni di conflitto interno armato.

«Il livello di repressione in Colombia è sempre stato alto», ha dichiarato Quintero. Hanno ucciso Dilan Cruz, un giovane che stava camminando per la strada e un agente della ESMAD gli ha sparato un gas lacrimogeno, e tutti abbiamo visto il tragico epilogo. Attualmente ci sono più di 200 persone ferite dall’ESMAD, soprattutto nella città di Bogotá. Si parla di circa 850 persone che sono state arrestate arbitrariamente e processate. Nonostante non siano state private della libertà, è stato aperto contro di loro un procedimento giudiziario che gli rimarrà come precedente. Molta gente che forse nemmeno era nelle proteste ma stava semplicemente camminando di ritorno alle proprie case, sono state fermate dall’ESMAD in modo arbitrario. Per questo, una delle rivendicazioni è lo smantellamento dell’ESMAD, proprio a causa del suo operare criminale. Il caso di Dilan è diventato emblematico, tuttavia, ci sono stati altri casi dove l’ESMAD è stato coinvolto in assassinii a manifestanti».

La portavoce della ASCAMCAT sottolinea che «è evidente che il governo ha voluto costruire, tra il 21 e il 22 novembre, una narrazione pubblica di vandalismo, generando panico sociale di fronte ai vandali che attaccavano le case di Bogotá e che ha portato a un coprifuoco ingiustificato. Ma avevano bisogno di generare un’opinione pubblica di questo tipo per poter far intervenire la polizia e i militari come dei salvatori. Questo genera situazioni di paura nella comunità, molti cadono nella trappola ma altri sanno che fa parte della campagna sporca per fare in modo che il vandalismo diventi il tema principale e minare l’obiettivo centrale che sono le rivendicazioni della protesta».

Riferendosi al settore contadino colombiano, Quintero spiega che sta attraversando una situazione complessa, che ha come sfondo l’accordo di pace firmato tra l’Esecutivo e le FARC-EP nel settembre 2016. «Ci sono molte aspettative tra i contadini, soprattutto, nel primo punto dell’accordo, che si riferisce alla riforma rurale integrale, e nel punto quattro sopra le droghe illecite. In questo senso, le comunità hanno messo il loro mattoncino, specificamente per il punto 4, facendo in modo che 130 mila famiglie possano lasciare le coltivazioni illecite se lo desiderano».

«Tuttavia, la volontà del governo non si vede da nessun lato. Al contrario, il governo vuole minare la fiducia nell’accordo di pace, sta de-finanziando il piano di sviluppo per queste famiglie, non c’è una via chiara di fronte al Fondo Nazionale della Terra, non c’è un’intenzione chiara rispetto alla suddivisione ambientale, che è importante. In questo senso, è necessario ordinare i territori per sapere su cosa si può contare, in che modo si distribuirà la terra a contadini, indigeni e afro discendenti e che i conflitti, che sono l’origine di tutta questa situazione, possano diminuire. E che tutto questo si possa fare in maniera equa».

Per ultimo Quintero analizza le manifestazioni che sono scoppiate in vari paesi del continente. «Le proteste in America Latina, e la situazione in Bolivia, o quello che sta succedendo in Francia, ci mostra che il neoliberismo è in crisi. Non possiamo dire che sia la sua fine, ma possiamo dire che sta toccando la maggioranza delle persone. Questo ha generato un malcontento che si è trasformato in queste sollevazioni nei differenti paesi. Non possiamo paragonare la Colombia con il Cile, dove la gente partecipa in maniera moltitudinaria e con forza alle proteste, ma noi stiamo facendo un esercizio importante di unità popolare, dove per la prima volta sindacati, contadini, afro discendenti e differenti settori sono seduti a un tavolo per costruire un patto di unità».

Articolo originale su La Tinta, tradotto da Christian Peverieri.