Cile - La svolta paramilitare di Piñera?

La notte tra 1 e 2 agosto aggressione nei confronti dei mapuche nei centri di Curacautín, Victoria, Ercilla e Trayen

4 / 8 / 2020

Nonostante la pandemia stia aggredendo il Cile in maniera preoccupante, non si ferma la lotta politica iniziata lo scorso ottobre con la sollevazione popolare per l’aumento del biglietto della metro. «No son 30 pesos, son 30 años» e «No es el 10% vamos por todos» sono gli slogan che raccontano meglio di ogni altra cosa la situazione nel paese: il popolo cileno è stanco di trent’anni di neoliberismo e non si accontenta della vittoria di singole, seppur importanti, battaglie.

Su questo punto, è bene chiarire una cosa: l’approvazione di tale legge è avvenuta grazie alla grandissima pressione popolare di questi mesi di pandemia che ha costretto la maggioranza del parlamento, anche per calcoli politici, a decidere per l’approvazione. Di certo, come già sottolineato, questa è solo la fine di una battaglia e non della “guerra”, un passaggio importante ma di certo non conclusivo di un percorso rivoluzionario che ora punta al 25 ottobre (plebiscito per la nuova Costituzione) come ulteriore passaggio, anche questo non come punto di arrivo, per mettere la parola fine a 30 anni di neoliberismo.

Così, a seguito della vittoria popolare per l’approvazione della legge sul ritiro del 10% dei fondi pensione, a livello popolare il campo di battaglia non è stato abbandonato, tutt’altro. Troppe le questioni ancora aperte, troppe le cose irrisolte (per esempio le numerosissime violazioni di diritti umani perpetuate in questi mesi dai carabineros tutt’ora impunite), troppo insopportabile un governo che ha utilizzato la pandemia per inasprire le leggi contro i diritti civile e rendere economicamente impossibile la vita a milioni di cittadini cileni.

Se a livello popolare l’attenzione e la tensione sono ancora altissime, a livello istituzionale il governo di Piñera non ha certo perso tempo dopo aver perso la battaglia sui fondi pensione. Pochi giorni dopo è avvenuto il quinto rimpasto di governo, con il quale Piñera ha cambiato addirittura cinque ministri, tra cui il ministero dell’Interno passato a Victor Perez.

Il nuovo ministro è un ex collaboratore pinochetista, nominato alcalde di Los Angeles (capitale del Bío Bío, regione al centro-sud) durante gli anni della dittatura. La sua figura recentemente è stata al centro di polemiche perché, tra le tante cose ha avuto l’ardire di dichiarare che durante l’estallido social le azioni repressive operate dai carabineros «in nessun caso sono da considerare violazioni dei diritti umani». Con la nomina di Perez, il ministero dell’interno ritorna nelle mani dell’UDI, lo stesso partito di destra di Chadwick, ministro dell’interno durante la proteste di ottobre, entrambi pinochetisti convinti. Il nuovo rimpasto di governo va quindi interpretato come un giro di vite verso la destra più estrema e un rafforzamento dell’UDI nell’esecutivo.

Nei giorni seguenti la sua nomina Victor Perez ha visitato l’Araucanía, regione a sud, dove in queste settimane hanno ripreso vigore le proteste della popolazione mapuche, in sostegno ai prigionieri politici mapuche che da qualche tempo sono in sciopero della fame. Tra questi va ricordata la vicenda che vede protagonista il machi (leader spirituale) Celestino Cordóva. Condannato senza prove a 18 anni di carcere per l’assassinio di due latifondisti svizzeri e in sciopero della fame da oltre 80 giorni, nei giorni scorsi ha visto rigettata la richiesta dei suoi avvocati di scontare la pena ai domiciliari, nonostante le critiche condizioni fisiche e le preoccupanti condizioni generali dei carcerati a causa del covid.

Già i giorni precedenti la visita, il ministro ha attaccato pesantemente la lotta mapuche: «Avrò un’attenzione particolare per l’Araucanía, i cileni meritano di vivere in pace e tranquillità. Porteremo via i violenti per risolvere i problemi». Durante la visita poi, ha chiaramente fatto intendere come considera le popolazioni mapuche, vale a dire dei delinquenti: «con tutta la chiarezza affermo che in Cile non ci sono detenuti politici, qui le persone che sono private della libertà lo sono per risoluzioni della giustizia non per decisioni del governo».

Queste dichiarazioni sono alla base dell’aggressione razzista subita dai mapuche la notte tra il primo e il 2 agosto nei centri di Curacautín, Victoria, Ercilla e Trayen dove erano in atto delle occupazioni simboliche delle sedi della Municipalità a sostegno della lotta per la libertà dei prigionieri politici. Durante la visita il ministro ha coordinato un vertice con i sindaci riuniti nella Asociación de Municipios de la Araucanía e la APRA, un movimento suprematista e fascista i cui membri sono latifondisti usurpatori delle terre mapuche, agricoltori e imprenditori forestali. 

Nell’occasione il ministro ha fatto pressione perché le due occupazioni fossero sgomberate, di fatto legittimando la violenza di questi gruppi paramilitari che, armati di pietre e bastoni, hanno preso d’assalto le sedi delle municipalità, linciando gli occupanti e dando fuoco alle stesse sedi, il tutto con la protezione e il benestare dei carabineros che non solo non sono intervenuti per fermare le violenze, ma hanno addirittura “scortato” gli aggressori fino alle occupazioni. Al termine di questi momenti di vero e proprio terrore, molti mapuche sono rimasti feriti come testimoniano le numerose foto e video pubblicati sui social per denunciare l’agguato razzista. Non solo, almeno una ventina di occupanti sono stati pure arrestati e rilasciati il giorno seguente, quando una grande indignazione popolare in tutto il paese ha messo pressione alle istituzioni perché venissero liberati.

A seguito di questa aggressione in tutto il paese si è scatenato il popolo dell’estallido social e, da Temuco ad Arica passando per Santiago, in migliaia sono scesi in piazza per dare solidarietà al popolo mapuche così brutalmente colpito. Blocchi stradali, cacerolazos e anche scontri con i carabineros sono stati segnalati in diverse città. Le reazioni di condanna dell’episodio sono arrivate un po’ da tutte le parti, vista la gravità dell’evento. Il lonko Alberto Curamil, leader mapuche riconosciuto in tutto il mondo, vincitore di un Premio Goldman, e presente ai fatti ha accusato il governo di Piñera di aver causato i gravi atti di violenza: «il ministro Victor Perez ha dato un ordine perché si verificassero queste azioni […] è stato l’autore materiale del via libera ai civili che in collaborazione con carabineros ed esercito hanno aggredito i nostri fratelli».

Condanna anche dal Movimiento de Mujeres Indigenas por el Buen Vivir che in un comunicato hanno espresso solidarietà: «Noi donne delle 36 nazioni indigene organizzate nel Movimiento de Mujeres Indigenas por el Buen Vivir ripudiamo lo stato cileno per essere razzista. Sappiamo che questa preoccupazione dei settori fascisti reazionari contro la lotta del popolo mapuche è una lotta ideologica. Il popolo Mapuche sta contribuendo alla costruzione di una nuova umanità che vive nella reciprocità, nel rispetto, e nell’amore con la natura e con tutti i popoli».

Le organizzazioni mapuche cilene hanno firmato un comunicato congiunto molto duro in cui condannano gli attacchi violenti come fascisti, razzisti e coloniali, considerano il ministro come il principale responsabile politico e i carabineros responsabili materiali per aver lasciato attaccare impunemente i gruppi fascisti della APRA. «Infine – conclude il comunicato - vogliamo comunicare alla nostra nazione che questi attacchi, invece di spaventarci, ci riaffermano nella nostra lotta per la restituzione dei nostri diritti territoriali e politici, per l'autonomia e l'autodeterminazione per il Paese Mapuche. Wallmapu era, è e rimarrà Mapuche per tutti».

La solidarietà che si è riversata nelle strade cilene non sembra fermarsi: a due giorni dai fatti continuano senza sosta le manifestazioni in tutto il paese e i comunicati di appoggio alla causa mapuche dimostrando, una volta in più, che la bandiera mapuche che ha sventolato per mesi nel centro di Plaza de la Dignidad è il simbolo di un movimento inarrestabile e di un futuro tutto da costruire e da conquistare con la lotta per tutti i popoli che vivono in Cile.

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