Cile - Il governo Boric entra in carica tra aspettative e dilemmi

15 / 3 / 2022

Il 10 marzo sono entrato in un ufficio pubblico e ho sorriso al vedere la foto incorniciata del presidente Sebastián Piñera, sapendo che in serata sarebbe stata rimossa assieme alle migliaia di copie troneggianti in tutte le istituzioni del Cile. Appena uscito in strada, ho sbattuto il naso contro la scritta a spray “Piñera asesino”, un riferimento al ruolo del politico miliardario nella repressione della rivolta popolare del 2019. Sospetto che, nell’ultimo giorno del governo Piñera, ci fossero più scritte sui muri contro il presidente che suoi ritratti negli stabilimenti pubblici.

Dopo la vittoria di Gabriel Boric al ballottaggio del 19 dicembre 2021, il nuovo governo è entrato in carica l’11 marzo con la cerimonia del “cambio de mando”. Com’è noto, nonostante l’inclusione del moderato Partito socialista, si tratta del governo più “a sinistra” del periodo post-dittatura. Include 14 donne e 7 under-40 su 24 ministri, con nomi emblematici come Maya Fernández Allende (nipote di Salvador) alla Difesa e la carismatica Izkia Siches agli Interni. Oltre allo stesso Boric, ci sono altri volti del movimento studentesco del 2011, come la comunista Camila Vallejo e il frenteamplista Giorgio Jackson.

Soprattutto, questo governo non sarebbe esistito senza le mobilitazioni che hanno percorso il Cile negli anni, in particolare l’estallido social del 2019. Per questo Boric ha aperto il cambio de mando a Viña del Mar con alcune leader di movimento locali, tra cui Brenda Maldonado della Coordinadora Feminista 8M, l’attivista mapuche Ana Antillanca e Katta Alonso del Movimiento Mujeres en Zona de Sacrificio en Resistencia (MUZOSARE). La cerimonia è poi continuata nel parlamento, che ha sede  a Valparaíso, per terminare a Santiago nella sede del governo, il Palacio de la Moneda. Di fronte a migliaia di sostenitrici e sostenitori che scandivano slogan per la liberazione dei prigionieri della rivolta, Boric ha evocato molti temi sollevati dai movimenti: il welfare, la riduzione della settimana lavorativa, la giustizia ambientale, il femminismo, i diritti dei popoli indigeni, ecc.

Come ho scritto altrove, per quanto ci siano ottimi motivi per celebrare questo cambiamento e nonostante la brillante capacità comunicativa del team Boric, è bene tener sempre presente i limiti strutturali che circoscrivono l’azione di qualsiasi governo in una società capitalista. Inoltre, sebbene questo esecutivo entri in carica con un forte capitale politico, lo fa anche senza maggioranza in parlamento e in un contesto di grande instabilità internazionale e forti conflitti interni. Per fare una panoramica su questi ultimi, nei prossimi paragrafi ripercorrerò tre nodi che hanno marcato il dibattito politico cileno nei mesi recenti.

Liberar a lxs presxs por luchar

La campagna per liberare i detenuti della rivolta del 2019 non si è mai fermata. Le scritte sui muri “Presxs a la kalle!” sono in ogni angolo del paese e tutti i venerdì a Santiago, in Plaza Dignidad, si svolge la manifestazione per la liberazione dei prigionieri, quasi sempre con scontri e duri interventi dei Carabineros. Una cinquantina di manifestanti – di un’area politica che da sempre considera la coalizione Apruebo Dignidad come “gialli” – si è scontrata con la polizia anche l’11 marzo. Ma la richiesta di libertà per i prigionieri della rivolta è stata scandita anche dalle masse mobilizzate durante le scadenze elettorali, che si trattasse dei comizi della campagna elettorale, degli immensi festeggiamenti del 19 dicembre, o del cambio de mando, mostrando come non si possa rifugiarsi in uno schematico dualismo tra politica di movimento e politica istituzionale.

Per reprimere la rivolta, il governo Piñera ha usato la Ley de Seguridad de Estado, una legge della dittatura di Pinochet che facilita il carcere preventivo e condanne più dure. Secondo il Ministero degli Interni, sono 211 i detenuti per fatti avvenuti durante l’estallido, di cui 144 in carcere preventiva ormai da anni, mentre gli altri 67 sono stati condannati. Secondo la Coordinadora 18 Octubre sono invece più di 300. A gennaio, i partiti di sinistra e centro-sinistra hanno tentato di far passare in parlamento una legge d’indulto. Erano però necessari due voti della destra che naturalmente non sono arrivati.

Piñera ha risposto agli appelli di Boric che: “Sarebbe un pessimo segnale concedere l’indulto a persone che hanno commesso delitti gravi come tirare bombe molotov in faccia ai Carabineros, incendiare chiese, incendiare monumenti, distruggere il patrimonio di tutti i cileni”. Non una parola sul fatto che la maggior parte dei detenuti sta facendo anni di carcere con capi d’accusa meno gravi, né ovviamente sul contesto politico in cui si sono svolti i fatti o sulle irregolarità commesse dalle forze dell’ordine durante e dopo le proteste.

Nel suo primo giorno, il nuovo governo ha ritirato le 139 denunce dello stato che hanno permesso l’applicazione della Ley de Seguridad. Ma si tratta di un gesto più che altro simbolico, perché si sono nel frattempo aggiunte accuse per reati comuni che lasciano i processi in mano al potere giudiziario. Rimane aperta la via della legge d’indulto, ma non sarà facile trovare la maggioranza parlamentare, cosa che rende necessaria la continuazione delle proteste.

Il processo costituente

La rivendicazione di un’assemblea costituente eletta per sostituire la costituzione di Pinochet era rapidamente diventata egemonica durante la rivolta popolare. Dopo la schiacciante vittoria del referendum per la costituente, le sinistre si sono aggiudicate oltre due terzi dei seggi nella Convención Consitucional, mettendosi al riparo dai veti della destra. In seguito alla raccolta delle proposte giunte tramite i meccanismi di “partecipazione popolare”, il 15 febbraio la Convención è passata alla votazione plenaria delle norme costituzionali preparate dalle varie commissioni tematiche.

L’assenza della necessità di unirsi contro la destra ha dato libero corso a un animato dibattito a sinistra, tra movimentisti e partitari, federalisti e centralisti, radicali e moderati, ecc. Queste divergenze vengono però sfruttate da una forte campagna di delegittimazione mediatica – tutti i grandi canali d’informazione sono in mano alla destra – che presenta le e i costituenti come troppo giovani, inesperti, estremisti e settari per il ruolo affidatogli.

Forti polemiche ha scatenato la proposta di rinazionalizzazione del rame e dei beni pubblici strategici, presentata dal sindacato radicale Confederación de Trabajadores del Cobre (CTC), che organizza le lavoratrici e i lavoratori esternalizzati del settore cuprifero. Nel frattempo, il governo Piñera tentava, all’ultimo momento, di vendere a privati le autorizzazioni per lo sfruttamento di alcuni giacimenti di litio. Il tiro mancino di Piñera è naufragato sotto i colpi delle immediate mobilitazioni e del potere giudiziario, mentre la proposta della CTC – sommersa di critiche in merito alla sua realizzabilità – lotta per la sopravvivenza nella Convención.

Le tensioni esistenti sono anche dimostrate dal fatto che, delle 40 proposte della Commissione Ambiente e Modello Economico, solo 6 sono state accettate nelle votazioni plenarie. Tutte le altre dovranno essere riviste dalla Commissione perché considerate troppo “radicali”. È andata poco meglio alla Commissione Diritti Fondamentali, con 14 articoli approvati su 50. Ma è passato il diritto all’aborto, passo storico per un paese come il Cile che l’ha sempre negato.

Entro fine anno, il testo della costituzione verrà sottoposto a un referendum di conferma. Se non passerà, rimarrà in vigore la Costituzione del 1980. Si tratta di un’eventualità molto improbabile, ma sarebbe un enorme smacco per un governo che si è presentato come il difensore del processo costituente dagli attacchi della destra.

Gli stati di emergenza nel Wallmapu e nel nord

Dagli anni ’90, le regioni storicamente Mapuche – in particolare Bío Bío, Araucanía, Los Lagos e Los Ríos, secondo la toponomastica dello stato cileno, o il Wallmapu, nome ancestrale in mapudungún – sono attraversate da un duro conflitto. Da un lato ci sono lo stato cileno e le imprese forestales, protagonisti di un progressivo esproprio di terre le cui radici affondano nella conquista cilena del Wallmapu nella seconda metà del XIX secolo. Le terre Mapuche sono state così trasformate in monoculture di pini ed eucalipti per la produzione di carta. Dall’altro lato, il movimento Mapuche – diviso in diverse organizzazioni e tendenze – rivendica la restituzione delle terre espropriate e denuncia e la devastazione ambientale, in termini di esaurimento delle fonti idriche e distruzione della biodiversità, generata dalle forestales.

I sabotaggi incendiari ai danni di proprietà delle forestales sono frequenti almeno dal dicembre 1997 in poi, quando la Coordinadora Arauco Malleco (CAM) affiancò questa pratica al recupero di terre Mapuche. Ma, nel frattempo, i gruppi armati si sono moltiplicati; la loro natura e le loro relazioni sono in certa misura indecifrabili dall’esterno.

A partire dal 2020, il conflitto si è accelerato. L’8 febbraio 2020, un camion veniva incendiato nel comune di Victoria. Il camionista Juan Barrios stava però dormendo all’interno del veicolo, morirà pochi giorni dopo a causa delle bruciature. L’evento ha generato uno sciopero di camionisti – che si è poi scoperto essere stato incoraggiato dallo stesso governo Piñera – che rivendicavano leggi più dure contro i sabotaggi. Nel corso degli ultimi due anni, il susseguirsi di attentati e omicidi incrociati ha permesso al governo Piñera di promulgare una legge fortemente repressiva nel 2020 e dichiarare lo stato dell’emergenza nella “Macrozona Sud” a partire dall’autunno 2021.

L’invio dell’esercito nella Macrozona Sud è stato criticato dai partiti di sinistra, che considerano legittime molte rivendicazioni del movimento Mapuche e ritengono che l’unica via sia “il dialogo”. In effetti, se l’obiettivo dichiarato dell’intervento militare era quello di “rappacificare” il territorio, il risultato concreto è stato quello opposto e gli omicidi di civili si sono moltiplicati. Solo nei primi due mesi del 2022, sono almeno sette i morti: due comuneros mapuche, un agricoltore e quattro lavoratori delle forestales. Lo scorso dicembre, Giorgio Jackson è stato linciato mediaticamente per essersi dichiarato aperto al dialogo con la CAM, mentre le pressioni su Boric e Siches per mantenere lo stato d’emergenza nel Sud si sono moltiplicate. Tuttavia, il 12 marzo, Vallejo ha confermato che il governo non lo rinnoverà.

Infine, quello della Macrozona Sud non è l’unico stato d’emergenza vigente in Cile. Negli ultimi tre anni si è approfondita la cosiddetta “crisi migratoria”, con carovane migranti che partono dal Venezuela e dalla Colombia per entrare in Cile dalla frontiera nord. Il fenomeno ha generato un’impennata di xenofobia e manifestazioni contro i migranti in diverse provincie settentrionali. Il 10 febbraio, il camionista cileno Byron Castillo veniva gettato da un cavalcavia di Antofagasta nel corso di una lite con un gruppo di migranti. L’omicidio del venticinquenne provocò un nuovo sciopero dei camionisti, che bloccarono le principali autostrade del paese chiedendo uno stato d’emergenza nel Nord che il governo Piñera non tardò a concedere.

Le violenze in corso presentano dilemmi di difficile soluzione per il governo, in grado di consumare rapidamente la popolarità della nuova ministra degli Interni Izkia Siches. Ancora una volta, i rapporti di forza creati dalle mobilitazioni dal basso avranno un ruolo importante nell’incidere sulle radici profonde di queste contraddizioni.