Se
il pianeta ha la febbre a Cancun non è stata curata, anzi. Nulla di
vincolante è stato deciso nell'accordo uscito all'alba di ieri, nonostante l'enfasi data dai governi riuniti e dalla stampa al testo conclusivo emerso dalle due settimane di lavori.
Cancun
conferma sostanzialmente il consolidamento della logica emersa a
Copenaghen, ampliando i meccanismi attraverso cui la gestione della
crisi ambientale e climatica passa attraverso la finanziarizzazione e
nuove
speculazioni economiche. Il fondo verde, i mercati di carbonio e il
meccanismo dei Redd+ non sono altro che false soluzioni che
istituiscono una sorta di “diritto di inquinare”, in base al quale i
paesi industrializzati continuano con le emissioni pagando “indulgenze”
compensative che si risolvono nell'ennesimo ricatto verso i paesi del
sud del mondo.
Che
la logica di Copenaghen sia stata trasferita a Cancun è dimostrato
anche dal ruolo centrale affidato qui in Messico alla Banca Mondiale,
che paradossalmente, dopo esser stata tra i colpevoli della crisi
economica ed ecologica, gestirà per i primi tre anni il Green Fund.
Ben
lontani da incorporare nel proprio linguaggio espressioni come 'debito
ecologico' , su cui invece i movimenti per la giustizia ambientale di
tutto il mondo insistono, nei documenti si continua a puntare
sull'urgenza del trasferimento tecnologico, ribadendo il ruolo centrale
del settore privato e dei meccanismi finanziari.
Una
“soluzione” palliativa che non risolve le cause principali, che
facilita solo la creazione di nuovi mercati per le aziende già pronte a
investimenti internazionali su larga scala e al mercato di nuove
tecnologie definite 'appropriate per l'ambiente'. Tutto senza
focalizzare l'impatto socio-economico,
senza trattare degli effetti sulle popolazioni direttamente colpite e
costrette alle migrazioni - che pure interesseranno anche i paesi più
sviluppati, messi di fronte alla sfida posta dai nuovi e massicci flussi
in entrata.
Dopo 5 anni di conferenza delle Parti nulla è stato risolto, anzi. Mentre a Cochabamba in soli tre giorni lo scorso aprile 40.000
delegati di 142 paesi e 40 rappresentanti di altrettanti governi
avevano raggiunto un accordo che individuava le cause della crisi
sistemica proponendo misure concrete per far fronte alla crisi
climatica. Proposte che dopo essere state incluse nelle negoziazioni
preliminari, sono rimaste lettera morta a Cancun, decisione che ha
causato il no della Bolivia all'accordo finale.
La
crisi ecologica non è fatta solo di cambiamenti climatici. È anche
disastri ambientali, nuovi e massicci flussi migratori, distruzione di
economie locali, violazione del diritto al cibo e alla salute e la
distruzione di milioni di vite umane. Di fronte a questa consapevolezza
nessun adattamento è possibile.
Parlare di giustizia climatica significa oggi
in realtà parlare di relazioni di potere, di sistemi economici,
processi produttivi e modelli di consumo. Per questo siamo più che mai
convinti che per affrontare il maniera concreta la crisi sistemica
(economica,
ecologica, finanziaria, energetica, alimentare e migratoria ) occorra
rimettere al centro la giustizia sociale ed ambientale.
È
questa la scommessa concreta ed urgente che i movimenti e la società
civile di tutto il mondo hanno iniziato ad assumere per unire sempre di
più le lotte e le alternative in marcia dal nord ad sud del mondo, dalle
fabbriche alle campagne, dalle città ai territori con un unico
obiettivo comune: cambiare il sistema, non il clima.
RIGAS
Rete
Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale