Bolivia, un anno dopo il MAS riprende il potere

20 / 10 / 2020

Un anno dopo il tentativo di Evo Morales di farsi rieleggere per la quarta volta presidente dello stato plurinazionale scavalcando la Costituzione e un referendum popolare, il paese è tornato al voto e ha scelto: stando ai primi exit poll (confermati dai dati ufficiali), Luis Arce Catacora candidato del MAS è il nuovo presidente della Bolivia.

Dall’ottobre dello scorso anno sono successe molte cose: la forzatura della rielezione di Morales ha scatenato una reazione a catena, dall’indignazione popolare per quello che per molti boliviani è stato il “fraude” di Evo (qui inteso in senso ampio, dai probabili veri e propri brogli alla sua ricandidatura incostituzionale), alla mancata difesa dei settori tradizionalmente vicini dello stesso ex “presidente indigeno”, costretto all’esilio dalla manipolazione della protesta da parte delle destre fasciste, preludio al golpe della Añez; e poi la violenza esplosa tra le fazioni politiche e la durissima repressione dell’esercito in mano alla destra golpista, con le dolorose violazioni dei diritti umani in Senkata e Sacaba, fino all’instaurazione di un governo provvisorio che ha fatto di tutto pur di mantenersi nel ruolo di comando venendo meno al suo compito di indire nuove e libere elezioni nel tempo più breve possibile. E infine l’avvento della pandemia che da un lato ha permesso al governo di posticipare fino ad oggi le elezioni ma dall’altro è stato gestito in modo inqualificabile con numerosi casi di corruzione (in questi mesi di governo “de facto” sono cambiati 17 ministri).

Queste elezioni sono arrivate dunque dopo un periodo molto teso e complicato in cui un ruolo centrale l’ha giocato la propaganda usata dai vari partiti per “raccontare” la propria verità: da una parte il MAS ha giocato la carta della vittima del colpo di stato e, aiutato da una fallimentare gestione del governo Añez e anche dal continuo rinvio delle elezioni, ha recuperato parte dei consensi persi. Dall’altra parte, quella dei Mesa, dei Camacho, dei Quiroga e della stessa Añez (questi ultimi due poi ritiratisi dalla contesa elettorale), pur litigando in continuazione tra di loro, hanno continuato ad accusare Evo e il MAS di aver instaurato una dittatura ma alla fine questa politica, anche in base ai sondaggi, non sembra aver pagato tanto. E a proposito di sondaggi, la propaganda ha giocato molto su questo punto, evidenziando quelli favorevoli ed omettendo quelli sfavorevoli. In realtà degli ultimi cinque sondaggi credibili solo uno dava la vittoria al primo turno di Arce, mentre altri tre davano in vantaggio Arce ma col ricorso al ballottaggio e uno dava in vantaggio Mesa per un pugno di voti. Una situazione che non ha rispecchiato la realtà oggettiva dei fatti e che ha sorpreso un po’ tutti, dal momento che tutti i sondaggi hanno evidenziato una grande percentuale di indecisi, che di fatto ha reso questo appuntamento elettorale indecifrabile.

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La giornata elettorale è trascorsa senza particolari problemi o momenti di tensione. Ha suscitato polemiche l’ingombrante presenza dell’esercito a controllo delle operazioni di voto che in più di qualcuno ha fatto temere il pericolo di brogli e di un nuovo golpe qualora il MAS fosse risultato vincitore per pochi voti. Ma è doveroso ricordare che l’utilizzo dell’esercito nelle operazioni di voto è una prassi adottata anche da Morales che nel 2014 ha schierato 50 mila effettivi e l’anno scorso 20 mila. Al di là delle polemiche, le immagini provenienti dal paese hanno mostrato file interminabili di cittadini in attesa di poter votare, tanto che il presidente del Tribunal Supremo Electoral, Salvador Romero, nel corso della giornata è dovuto intervenire pubblicamente garantendo a tutti coloro che fossero rimasti in fila il diritto di poter votare anche oltre il tempo stabilito. E a proposito di TSE, proprio alla vigilia il presidente Romero ha annunciato che il conteggio rapido (al centro delle polemiche sui brogli nel 2019), non sarebbe entrato in funzione perché non sicuro (e per evitare quindi le prevedibili tensioni).

Venendo ai risultati delle elezioni, solo qualche ora dopo la chiusura dei seggi sono uscite le prime due proiezioni: gli exit poll di “Ciesmori” e “Tu voto cuenta” non hanno lasciato dubbi: Luis Arce è il nuovo presidente della Bolivia con un vantaggio di quasi 20 punti sul diretto avversario Carlos Mesa; molto più lontano il candidato delle destre fasciste di Santa Cruz, Luis Fernando Camacho. Sempre stando a queste proiezioni, nonostante la schiacciante e forse anche un po’ inaspettata vittoria, il ritorno del MAS al potere è meno “assoluto” in Parlamento: con questi dati c’è la maggioranza dei seggi ma non i 2/3, che significa che il MAS sarà costretto a scendere a compromessi per governare.

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Secondo quanto dichiarato dal Tribunal Supremo Elettorale i dati definitivi dovrebbero arrivare nella giornata di martedì, quando anche le zone più periferiche, storicamente favorevoli al MAS, trasmetteranno i dati. Sembrano lontani i pericoli di brogli o di forzature da parte delle destre, tanto che da diverse parti è giunto il riconoscimento della vittoria del duo del MAS: la prima a congratularsi è stata la ormai ex presidente Jeanine Añez, seguita dall’agguerrito rivale Tuto Quiroga. Con il passare delle ore sono arrivate anche le congratulazioni di Luis Almagro, segretario della OEA e quelle dell’avversario più temuto, Carlos Mesa che ha dichiarato che Comunidad Ciudadana sarà alla testa dell’opposizione. Fino alla tarda serata di lunedì invece ancora nessuna dichiarazione ufficiale da Luis Fernando Camacho. Le ammissioni della sconfitta fanno immaginare che saranno difficili atti di forza o brogli anche in virtù del fatto che tutta la campagna elettorale di questi partiti si è giocata sulla “riconquista della democrazia” dopo 14 anni di “dittatura di Morales”.

Dalle prime impressioni, i risultati elettorali sembrano essere più un voto contro le destre fasciste che a favore del MAS. La prepotenza fascista e razzista in un paese a grande maggioranza indigena, la corruzione e l’incapacità dimostrata in questi ultimi mesi, la litigiosità e la divisione delle destre neoliberiste e razziste hanno messo in chiaro che l’unica opzione possibile che garantisse la pace sociale e la stabilità economica fosse quella del MÁS. In effetti il binomio del MAS ha saputo mescolare intelligentemente la necessità di essere credibile dal punto di vista economico con la presenza di Arce e l’altrettanta necessità di riavvicinarsi alla base sociale del partito, ruolo svolto in modo impeccabile dal vice David Choquehuanca che un mese prima delle elezioni aveva “rassicurato” gli indecisi dichiarando che in caso di vittoria sarebbe iniziato un nuovo corso del MAS: «Governeremo ascoltando il popolo, e il popolo ci chiede che la cerchia (di Evo Morales) non ritorni. Questa cerchia di persone non ritornerà, saremo un governo di giovani, dobbiamo darci una nuova opportunità con nuove persone». David Choquehuanca, dal momento della sua investitura si è sempre staccato dal passato, anche quello recente, ammettendo più volte gli errori politici del partito, compreso quello di Morales di cercare di farsi rieleggere per la quarta volta nonostante la sconfitta al referendum del 2016. E proprio alla luce di questo, e anche dei risultati elettorali, viene da chiedersi se quella forzatura fosse proprio necessaria: una forzatura che ha innescato una serie di eventi drammatici e provocato una reazione forte e inaspettata delle destre fasciste. Una forzatura anche inutile dal momento che le attuali elezioni hanno dimostrato come il MAS può, e poteva, vincere anche senza il suo leader più carismatico. La posizione di Choquehuanca molto probabilmente vuole fare intendere un ruolo marginale nel nuovo governo e nel partito non tanto di Morales quanto dell’ex vicepresidente García Linera, considerato da molti la “mente” dei governi precedenti.

Il nuovo corso tuttavia dovrà subito confrontarsi con le opposizioni: come detto, seppure la vittoria è netta, la maggioranza ottenuta, sempre stando agli exit poll, non è quella dei 2/3 come nei precedenti governi di Morales, che permetterebbe di avere il controllo assoluto del parlamento, ma una maggioranza semplice che obbligherà il nuovo esecutivo a dover scendere a compromessi proprio con parte di quelle opposizioni che in questi mesi hanno giocato una guerra, spesso sporca, contro il MÁS. Soprattutto però, dovranno essere affrontati quei nodi che hanno portato alla rottura con parte dei movimenti e delle organizzazioni indigene: l’ingerenza del partito nelle strutture associative indigene e dei lavoratori e nei movimenti, e soprattutto le politiche estrattiviste.

Su questo tema il binomio Arce-Choquehuanca per dare credibilità alla volontà di cambiare passo, dovrà dimostrare di voler dare un taglio netto alle alleanze strategiche con quei settori economici che in questi anni sono stati alleati di Morales. La tanto sbandierata difesa della Pachamama si è scontrata con un attacco senza precedenti ai territori, soprattutto di quelle popolazioni indigene mai cooptate dal governo, a cominciare dal TIPNIS per finire con le leggi incendiarie emanate da Evo Morales per ampliare la frontiera agricola e favorire le corporations di Santa Cruz che sono state una delle cause degli imponenti incendi del 2019 che hanno devastato una gran parte della Amazzonia boliviana. Proprio per questo oggi c’è chi non festeggia: Per Alex Vilcca, portavoce della Contiocap, il coordinamento di oltre 35 nazioni indigene, vinca chi vinca non cambierà “sostanzialmente niente”, dato che tutte le proposte politiche pretendono «approfondire il modello economico estrattivista e continuare a violentare i diritti individuali e collettivi dei popoli indigeni millenari».

Se la partita per il potere per i prossimi cinque anni è blindata, quella per un “altro mondo possibile” è ancora assolutamente aperta e come sempre spetta ai movimenti desde abajo dar battaglia per costruire quei percorsi capaci di cambiare il corso degli eventi perché, come sostiene una compagna boliviana, le contraddizioni e le ingiustizie non finiranno con la vittoria elettorale del MAS: «lo spettacolo elettorale è finito, ora torniamo ai nostri impegni, combattiamo lo stato, l’agrobusiness, le leggi incendiarie, il razzismo, l’impunità militare e della polizia, e soprattutto i fasci che sicuramente ora staranno passando al MAS».