Benetton: El patrón

19 / 9 / 2017

È il più grande proprietario terriero privato del paese nonché il potere economico che sta dietro alla repressione contro i mapuche. È stato denunciato per: uso di pesticidi, appropriazione di terre e concessioni minerarie. La multinazionale tiene un profilo basso ma è smascherata e messa sotto accusa dalle compagne di informazione.

Con un fatturato annuo di 2 miliardi di dollari, 5000 mila punti vendita e la presenza in 120 paesi, il gruppo Benetton è una delle più famose multinazionali del settore tessile, con sede in Italia. Creato nel 1955, il gruppo ha preso il nome della famiglia, infatti, secondo la storia ufficiale, fu Luciano Benetton, che a soli 20 anni, ha avuto l'idea di fare maglioni colorati con la sorella Giuliana. Un anno dopo la sua fondazione ufficiale nel 1965, ha aperto il suo primo negozio nella città di Belluno e nel 1969 a Parigi. I suoi prodotti son diventati subito di moda. In Argentina la figura giuridica della multinazionale è la “Compagnia delle Terre del sud dell'Argentina”, che ha sette fattorie e 900.000 ettari di terreno distribuiti in quattro province (Buenos Aires, Rio Nero, Chubut e Santa Cruz). È il più grande proprietario terriero privato dell'Argentina. Il più noto possedimento è la fattoria Leleque, situata sulla strada nazionale 40, tra Esquel e El Bolsón. Oltre a migliaia di pecore, che spesso vincono i premi della “Società Rurale Argentina”, Benetton ha anche 8.600 ettari di monocoltura forestale. Anche se la presenta e la pubblicizza come “un’attività verde" e la pubblicizza come “foresta” dove prima era solo steppa patagonica, l’attività forestale è sotto accusa per l’utilizzo di pesticidi tossici e la coltivazione di specie invasive (che distruggono altre piante), nonché un consumo eccessivo di acqua. Nel 2004 è stato reso pubblico che Benetton è il più grande azionista della società Minsud Resources Corp che, con concessioni minerarie a San Juan, Neuquen, Rio Negro e Chubut (anche nella zona di Leleque). La società lo aveva tenuto nascosto fino al 2004 sapendo di trovarsi in una provincia che rifiuta le attività estrattive, e a solo 80 chilometri da Esquel, città simbolo per l’opposizione alle imprese minerarie.

 

Ritorno alla terra

Wiñomüleiñ ta iñ mapu meu nella lingua mapuche significa "territori recuperati". È un anelito, una pratica di rivendicazione e, soprattutto, l’esercizio di un diritto dei popoli originari a tornare alle terre che sono state sottratte loro. Rosa Rúa Nahuelquier e Atilio Curiñanco, della Comunità Santa Rosa Leleke hanno deciso nel 2002 di tornare al loro territorio ancestrale: 625 ettari di terreno di proprietà dello Stato. Si stabilirono lì e il primo giorno apparvero i dipendenti di Benetton: gli dissero che quel terreno apparteneva alla multinazionale. È cominciato così un conflitto a colpi di denunce e sfratti violenti che però ha dato visibilità alla situazione mapuche tanto che le notizie hanno raggiunto i media di Buenos Aires ed europei: l’azienda, che si fa pubblicità dando messaggi di tolleranza e rispetto delle culture, non rispetta invece la comunità mapuche. “Loro insistono che hanno le carte, scritture le chiamano, documenti che li definiscono proprietari. Noi mostriamo il nostro sangue originario, di possessori ancestrali del luogo: questa è la nostra prova di proprietà”, spiega Atilio Curiñanco. Rosa e Atilio hanno viaggiato con il premio Nobel Adolfo Perez Esquivel in Italia e hanno incontrato Luciano Benetton. L’uomo d’affari promise di risolvere il conflitto con una “donazione” di terra. Atilio e Rosa chiarirono che non si trattava di una donazione ma di una restituzione. Trascorse alcune settimane, Benetton offrì 2500 ettari in un’altra zona del Chubut. Purtroppo gli stessi tecnici dello stato le hanno riconosciute come terre improduttive. Alla fine Rosa e Atilio sono stati sfrattati e Benetton ha spinto perché fosse costruita una stazione di polizia di fronte all’ingresso della fattoria. Né il governo provinciale, né la multinazionale lo hanno riconosciuto pubblicamente ma era opinione diffusa che la società ha chiesto (e finanziato) la stazione di polizia. Anche i lavoratori della fattoria Leleque hanno collaborato alla costruzione come muratori. Il 14 febbraio 2007, la comunità Santa Rosa Leleke decise di ritornare sul suo territorio. Ancora una volta accuse, denunce e resistenza. Grazie alla legge nazionale 26160 le accuse sono cadute e i coniugi sono rimasti nella loro terra. E il 14 febbraio 2017 hanno festeggiato 10 anni di territorio recuperato.

 

Manipolare la storia

“Il Museo Leleque racconta la storia della Patagonia”, dice un articolo del giornale La Nación del settembre 2003. Si tratta di un grande edificio, con pareti bianche, porte e finestre verdi stile inglese, nella fattoria Leleque e che, con molta cura racconta la storia dei vincitori: si narra la teoria secondo cui i mapuche provengono dal Cile e hanno invaso l'Argentina uccidendo i tehuelches. Diversi ricercatori di differenti università pubbliche si sono pronunciati in numerose occasioni su questa menzogna storica. "Affermiamo che i Mapuche non sono araucanos di origine cilena e che non sterminarono i tehuelches (...)" I mapuche non sono "indigeni cileni", ma popoli pre-esistenti. Ciò significa che “hanno vissuto in questi territori prima che gli Stati esistessero e che c’erano già mapuches in quella che è ora l'Argentina”, hanno spiegato gli investigatori del CONICET in una lettera pubblica lo scorso gennaio. Tuttavia, il Museo Leleque di Benetton ha deciso di ricorrere allo storico Rodolfo Casamiquela, riconosciuto in Patagonia per la sua avversità al popolo mapuche. Quando si entra nel museo si possono sentire parole in lingua indigena e il suono del vento, un effetto speciale raggiunto con realismo. Le stanze sono impeccabili, le didascalie sono in spagnolo e in inglese, le immagini che ricreano il passato indigeno sono molto credibili. Tutto è ordinato e curato, nello stile Benetton. "Patagonia: la sua storia", è la dicitura che offrono all'ingresso. Ci sono quattro stanze, così caratterizzate:

- Sala "popoli indigeni": "Queste sono le civiltà che occupavano l'area extra Andina della Patagonia, all'arrivo dei conquistadores europei nel XVI secolo". Gli spagnoli li chiamavano “patagones”, poi chiamati tehuelches. Non è menzionata la presenza mapuche.

- Sala "riunione dei due mondi". Si racconta dell'"incontro con i primi europei". Non si parla di conquista o di morti ma di incontro.

- Sala "verso la società sedentaria". Sempre secondo la visione di Benetton con l'insediamento del popolo indigeno transandino (mapuches), “l’acculturazione del vecchio popolo tehuelche entra nella fase finale". Si fa notare che i mapuche sono arrivati in Argentina dopo il 1820. Un'immagine mostra un indigeno con abiti tradizionali circondato da uomini in abiti eleganti e donne che ridono. "Negli anni 30 del novecento, gli ultimi tehuelches, sono una fonte di curioso divertimento", afferma la didascalia.

- Sala "i pionieri", dove si racconta gli europei arrivati in Argentina per renderla moderna e viva. Il Museo celebra la "legge e l'ordine", e rivendica la figura del sergente Tello nella regione. Celebra gli avanzamenti del tempo basati su tre simboli: "misura della terra, della giustizia e della polizia". Per giustificare la “Campagna del Deserto” cita Eduardo E. Ramayón (autore della Guerra degli indiani, 1941): "La civiltà e la barbarie sono state due forze che hanno convissuto invadendosi e non è stato possibile trovare un limite perché entrambi si fermassero il primo di fronte l'altro". Infine, si afferma che "l'ultimo ribelle indigeno è stato catturato nel 1888 a Leleque".

 

Stampa personale

Il 13 marzo del 2015 c’è stato un nuovo recupero di terre nella fattoria Leleque di Benetton. “Agiamo mossi dalla situazione di povertà delle nostre comunità, dalla mancanza di acqua, dall’isolamento forzato in terre improduttive e dal saccheggio che si perpetua dalla Conquista del Deserto ai giorni nostri da parte dello stato e dei grandi latifondisti. A questa situazione si aggiunge la grande quantità di reiñma (famiglie) che non hanno terra necessaria per sopravvivere con dignità”, ha spiegato i motivi dell’azione il comunicato firmato dal Lof en Resistencia del dipartimento di Cushamen e il Movimento Mapuche Autonomo. Benetton ha cambiato strategia rispetto al 2002 e 2007. Ora non appare più il suo nome nei casi di denunce o attacchi alle comunità: ha capito che l’esposizione mediatica era controproducente. Quindi ha contattato un’agenzia di stampa internazionale e lobby, il JeffreyGroup, per intraprendere una campagna mediatica, tanto a livello provinciale, quanto a livello nazionale. Il responsabile in Argentina di questa agenzia è Diego Campal, che si presenta come “specialista in risoluzione di conflitti e gestione di crisi”. Nel 2007 Campal ha lavorato per l’agenzia Burson-Marsteller, da dove dirigeva la pubblicità di Benetton. I suoi principali destinatari erano il giornale Jornada (Chubut), Rio Negro (il più letto della Patagonia), Clarin e La Nacion. Gli stessi comunicati sono arrivati presso gli uffici del governatore del Chubut, Mario Das Neves e ai suoi ministri. Tutti i suoi articoli hanno la stessa logica: demonizzare i mapuche (anche senza prove), collegare i mapuche ai gruppi paramilitari (ETA, FARC), negare che i popoli indigeni abbiano dei diritti e proteggere gli interessi di Benetton. Questa modalità ha prodotto dei risultati: La Nacion, Clarin, Info-Bae hanno dato credito a questi articoli. Messi a tacere tutti gli altri punti di vista, senza alcuna prova e senza aver intervistato i mapuche, hanno sostenuto che i nativi hanno ricevuto finanziamenti dall’Inghilterra e li hanno paragonati ai gruppi più violenti. Sabato 26 agosto, Clarin ha toccato l’apice: con firma di Norge Natan, ha paragonato i mapuche al gruppo terrorista dell’Isis.

 

Titolo illegale

“Quel sud straniero” è il nome della ricerca storica di Ramon Minieri in cui si indaga come la Compagnia The Argentine Southern Land Co (Compañia de Tierras del Sur Argentino), oggi in mano a Benetton, si è presa in maniera illegale quasi un milione di ettari di terreno nella Patagonia. Si tratta di 446 pagine nelle quali, basandosi sugli archivi della stessa compagnia, Minieri elenca le irregolarità nell’acquisizione del titolo di proprietà. “La Legge Avellaneda, del 1876, per favorire le colonizzazioni stabiliva che si potevano vendere fino a 32 leghe quadrate (80 mila ettari di terreno) se ci si impegnava a portare coloni, costruire un villaggio, dividere il terreno e, infine, fare degli investimenti. Gli uomini della Compañia ottengono, con la complicità delle autorità locali, che si assegni a ciascuno tra le 20 e 30 leghe di terreno. Successivamente, ottengono di raggruppare tutte queste concessioni in una unità; frazionate ma tutte contigue, le 16 fattorie sommavano 805 mila ettari, dieci volte tanto il massimo stabilito per legge”, riassume Minieri in un’intervista con il giornalista Hernan Scandizzo, sulle terre di Benetton. Minieri analizzò gli archivi della compagnia nel periodo tra il 1902 e il 1980. Corrispondenze, rapporti delle riunioni del direttivo che si facevano annualmente a Londra, dettagli delle assemblee degli azionisti, memorie e bilanci. “Gli stessi interessati dicono che stanno condannando alla morte alcuni popoli”, afferma. Minieri non ha dubbi: “Il razzismo argentino anche qui s’inserisce come componente ideologica del progetto di costruzione del paese. In 24 anni l’Argentina è stata venduta a un tasso di 20 appezzamenti terrieri al minuto”. Non ci sono dubbi che, in base ai documenti ufficiali, la “Compañia de Tierras del Sud” ha violato le leggi nazionali e ha emarginato i popoli indigeni che vivevano in quelle terre.

 

Da qui all’Europa

L’organizzazione sociale italiana Ya Basta! Êdî Bese! accompagna da oltre dieci anni la lotta delle comunità mapuches. Diffonde in Europa informazioni che di solito non arrivano attraverso i media tradizionali, appoggia progetti culturali e realizza viaggi di sensibilizzazione. A fine agosto ha realizzato una manifestazione in uno dei più grandi negozi di Benetton nella città di Treviso. “Solidarizziamo con Facundo Jones Huala e Santiago Maldonado e denunciamo le azioni del Gruppo Benetton”, ha spiegato dall’Italia Sandro Manubrio. “Ci sembra evidente che negli ultimi mesi il lavoro sporco che prima era riservato alle bande di sicurezza private di Benetton nella Patagonia, ora lo hanno direttamente le forze dello stato. È un innalzamento del livello di scontro notevole, che suona come un avvertimento per tutti quelli che non sono d’accordo e reclamano i propri diritti”, denuncia l’organizzazione italiana e ha annuncia che continueranno le azioni contro Benetton in Europa. In Chubut, otto comunità si sono incontrate l’11 di agosto e hanno emesso un comunicato: “La nostra memoria ci racconta di come siamo sopravvissuti  e perché siamo ancora vivi. Quindi, dal momento che ci siamo già passati, oggi stiamo con la famiglia di Santiago, la accompagniamo e solidarizziamo con loro”. Hanno ricordato che il popolo mapuche-tehuelche soffre da molte generazioni gli inganni, le manipolazioni, le persecuzioni dello stato e dei privati. “Siamo sempre stati, stiamo e staremo nel nostro territorio e difenderemo una vita degna in sintonia con la terra”, hanno avvertito le comunità. E hanno concluso: “¡Marichi Weu!”. Grido di lotta e speranza che significa “vinceremo dieci volte”.

 

Di Dario Aranda

Articolo uscito il 7 settembre su Lavaca.org

Qui l'articolo originale

Traduzione a cura dell'Associazione Ya basta! Êdî bese!