Benetton e la strage di Dacca

Benetton sotto pressione firma l'accordo per indennizzi e sicurezza

12 / 9 / 2013

La firma di Benetton arriva dopo aver negato a lungo il suo coinvolgimento con fornitori presenti al Rana Plaza e dopo che molti dei marchi impegnati nelle fabbriche bengalesi avevano già riconosciuto la propria responsabilità. H&M, Inditex, PVH, Tchibo, Primark, Tesco, C&A, Hess Natur sono alcuni dei primi firmatari dell’accordo.

A poche ore della scadenza dell’ultimatum lanciato dalla CCC

[campagna abiti puliti], l’azienda italiana ha deciso infatti di sottoscrivere l’accordo che prevede ispezioni indipendenti negli edifici, formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica e l’obbligo di revisione strutturale degli edifici e obbligo per i marchi internazionali di sostenere i costi e interrompere le relazioni commerciali con le aziende che rifiuteranno di adeguarsi, per rimuovere alla radice le cause che rendono le fabbriche del paese insicure e rischiose per migliaia di lavoratori.

“Il cuore dell’accordo” spiega Deborah Lucchetti “è l’impegno delle imprese internazionali a pagare per la messa in sicurezza degli edifici, unitamente ad un ruolo centrale dei lavoratori e dei loro sindacati. Solo attraverso una diretta partecipazione dei lavoratori del Bangladesh sarà possibile costruire condizioni di lavoro sicure e mettere la parola fine a tragedie orribili come quella del Rana Plaza”.

Questo successo è frutto non solo della collaborazione straodinaria tra la Clean Clothes Campaign, il Workers Rights Consortium, la federazione dei sindacati internazionali IndustiAll e UNI Global Union, unitamente alle altre organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti dei lavoratori, tra cui citiamo International Labor Rights Forum (ILRF), United Students Against Sweatshops (USAS), Maquila Solidarity Network (MSN), War on Want, People and Planet, SumOfUs.org,Change.org, Credo Action, Avaaz e Causes, ma soprattutto della forza che i consumatori hanno saputo imprimere alla campagna decidendo di sottoscrivere la petizione che chiedeva ai marchi azioni concrete.

Più di un milione di persone ha già firmato le petizioni che chiedono ai marchi che si riforniscono in Bangladesh di sottoscrivere il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement immediatamente.

“In tutto il mondo l’opinione pubblica si è mobilitata per dire basta a questa orribile sequenza di incidenti  e mandare un chiaro messaggio alle imprese che si riforniscono in Bangladesh, tra cui Benetton, H&M, Mango, Primark, GAP, C&A, KIK, H&M, JC Penney, e Wal-Mart” dichiara Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti”. “Chiediamo a tutti i marchi coinvolti di fare passi concreti e immediati necessari a cambiare le condizioni di lavoro e di sicurezza presso i loro fornitori in Bangladesh, perché non si ripeta un’altra tragedia evitabile come il Rana Plaza dove hanno perso la vita più di mille lavoratori.” Continua Lucchetti: “L’accordo messo a punto insieme ai sindacati internazionali pone le basi strutturali per evitare la perdita di altre vite. L’accordo prevede ispezioni indipendenti negli edifici, formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica e revisione strutturale delle norme di sicurezza per rimuovere alla radice le cause che rendono le fabbriche del paese insicure e rischiose per migliaia di lavoratori.

Il crollo dell’edificio Rana Plaza, costato la vita a oltre 1000 persone, e l’ultimo incendio dello scorso 8 maggio in un’altra fabbrica di abbigliamento bengalese, rendono questo impegno dei marchi ineluttabile.

Dal 2005 più di 1700 lavoratori tessili sono morti a causa della scarsa sicurezza degli edifici. Gli ultimi avvenimenti evidenziano, ancora una volta, la necessità di interventi immediati e il fallimento dei sistemi di controllo adottati dalle imprese. Due delle fabbriche del Rana Plaza erano state ispezionate dalla Business Social Compliance Initiative (BSCI) e molti dei marchi coinvolti hanno altri sistemi di controllo in atto, ma nessuno di questi è  riuscito a denunciare l’abusivismo edilizio e a migliorare le pratiche di sicurezza.