Ayotzinapa e il tradimento della quarta trasformazione

18 / 10 / 2022

Nel settembre 2018 Andrés Manuel López Obrador, da poco eletto presidente ma non ancora in carica, promise ai genitori dei 43 ragazzi di Ayotzinapa, scomparsi quattro anni prima, il suo impegno per risolvere il caso promettendo che non li avrebbe delusi o traditi. Ancora oggi, a quasi quattro anni dall’inizio del suo mandato e a otto dalla sparizione forzata, continua a dichiarare il suo impegno per arrivare alla verità e fare giustizia. Tuttavia tra il dire delle sue parole e il fare delle sue azioni c’è di mezzo il muro dell’impunità, che ogni giorno di più diventa sempre più incombente e di cui il presidente stesso si sta rendendo complice. 

Ad agosto, il sottosegretario per i diritti umani e Presidente della Comisión de la Verdad y la Justicia (COVAJ) Alejandro Encinas ha presentato un discusso report nel quale ha ammesso pubblicamente che la sparizione forzata fu un crimine di Stato e che ci fu la collusione e l’intervento di diversi ordini di governo con la polizia di Iguala e con il gruppo criminale dei Guerreros Unidos. Nello stesso report dice altre due cose importanti: da una parte che non ci sono indizi che i ragazzi siano ancora vivi e dall’altra che la pubblicazione del report stesso è parziale per proteggere le indagini. 

Il giorno successivo, un altro colpo di scena: su ordine della FGR (Fiscalía General de la República) viene arrestato Jesús Murillo Karam, ex procuratore capo dell’estinta PGR ma soprattutto la mente della cosiddetta “verdad histórica”. Con l’arresto di Murillo Karam vengono spiccati altri 82 ordini di cattura, tra cui funzionari pubblici, militari ed ex poliziotti, tutti implicati nel caso a vario titolo. Report e richieste di arresto colgono impreparati sia i genitori sia la UEILCA (Unidad Especial de Investigación y Litigio del casoAyotzinapa), dal momento che nessuna autorità ha pensato di metterli al corrente degli sviluppi delle indagini come invece erano gli accordi con il Presidente. Vista l’importanza delle informazioni contenute nel report, i genitori si prendono qualche giorno di riflessione per discutere con il GIEI prima di prendere una posizione in merito alle nuove rivelazioni. Parla solo l’avvocato Vidulfo Rosales che teme l’entrata «in una fase in cui il governo dirà che c’è una nuova verità».

Sul report della COVAJ qualche giorno dopo si esprime infine anche il GIEI che sottolinea l’importanza della condivisione coi genitori e con l’unità speciale di investigazione (la UEILCA) del percorso investigativo prima che questo venga reso pubblico. Durante la marcia di protesta del 26 agosto, i genitori rilasciano una breve dichiarazione: «Non possiamo arrenderci nella lotta fino a quando non avremo la piena prova di dove si trovano. Sarà doloroso per le nostre famiglie conoscere il loro destino soprattutto se senza vita, ma se ci daranno prove oggettive, scientifiche e indiscutibili, andremo a casa a piangerli e a vivere il nostro lutto. Ad oggi non abbiamo queste prove, quindi, la nostra lotta continua». 

A metà settembre i genitori ritornano nelle strade a protestare, davanti alla Zona Militare numero 35, presa a simbolo del coinvolgimento dell’esercito nel crimine. Qui i genitori denunciano come, a quasi un mese di distanza dall’annuncio degli 83 ordini di cattura, oltre all’arresto mediatico di Murillo Karam ancora nulla si è fatto per consegnare alla giustizia le altre persone coinvolte, in particolare i 20 militari. Il giorno successivo viene arrestato José Rodríguez Pérez, comandante del 27° Battaglione di Iguala al momento della sparizione forzata dei 43 studenti. Ancora una volta, i genitori denunciano la mancata informazione da parte delle autorità.

Per la settimana che precede l’ottavo anniversario, genitori, organizzazioni di difesa dei diritti umani e organizzazioni sociali, promuovono una serie di iniziative per mettere pressione alle autorità e denunciare i passi indietro nel caso. Il 21 un presidio davanti alla sede dell’ambasciata israeliana denuncia come lo stato mediorientale protegga uno dei principali responsabili del crimine, Tomás Zerón de Lucio, da tempo rifugiatosi in Israele. Il giorno seguente, il presidio è davanti alla sede della FGR a Città del Messico, per denunciare come l’istituzione giudiziaria stia chiudendo le porte in faccia ai genitori. Lo stesso giorno esce la notizia della scarcerazione di 24 persone coinvolte nel caso grazie a un giudice del Tamaulipas compiacente. 

Il 23 settembre il presidio è davanti al “campo militar numero 1” e il motivo è facilmente intuibile: “fue el ejercito” scrivono su tutti i muri della caserma i manifestanti. Lo dicono le contro inchieste del GIEI e ora anche le inchieste ufficiali del potere giudiziario messicano. Ma ancora non si riesce ad entrare nelle caserme, ancora non si riesce ad arrestare i colpevoli. L’esercito intanto risponde con la repressione alle radicali proteste, ma questa non è una novità.

Il 24 un’altra notizia turba i familiari e quanti hanno a cuore la sorte dei ragazzi desaparecidos: la giornalista investigativa Peniley Ramirez del quotidiano Reforma pubblica un articolo su Ayotzinapa, risultato di una fuga di notizie sulla parte non divulgata del report della COVAJ. Senza tener conto delle emozioni dei genitori, e tanto meno senza avvisarli, la giornalista sbatte in prima pagina la possibile fine subita dai ragazzi secondo le conclusioni a cui è arrivata la commissione diretta da Alejandro Encinas. L’autrice dichiara che ha scritto questo articolo perché apre nuove piste di investigazione ma la mancanza di sensibilità nei confronti delle vittime non è vista bene dai genitori e dalle organizzazioni sociali e di difesa dei diritti umani che si occupano del caso e stona con le dichiarazioni di Encinas che il giorno della presentazione del report aveva pubblicamente ammesso l’esistenza di queste informazioni e la necessità di non divulgarle per non compromettere le indagini.

Arriva il 26 settembre, ottavo anniversario della sparizione forzata dei ragazzi. Una grande e partecipata manifestazione attraversa le principali strade della capitale arrivando fino allo Zócalo dove i genitori tengono un comizio e rifiutano l’ultimo report della COVAJ: «Dicono che non ci sono indizi che i ragazzi siano vivi, noi diciamo invece che non ci sono indizi che siano morti perché non ci hanno dato nessuna prova», dicono dal palco i genitori. La tensione tra i genitori e il governo cresce ancora di più il giorno seguente quando giunge la notizia che il procuratore speciale della UEILCA, Oscar Gómez Trejo, ha presentato le dimissioni dalla carica in aperto contrasto con le ingerenze e le omissioni della FGR il cui procuratore capo è il discusso Gertz Manero, al centro di polemiche e scandali.

Il 29 settembre giunge anche la notizia della sospensione del processo all’ex procuratore Murillo Karam: l’arresto mediatico effettuato dalla FGR si è rivelato un boomerang in quanto risulta aver leso i diritti dell’imputato. Tuttavia, Murillo Karam non esce ancora di prigione perché la FGR potrà presentare appello contro la sentenza. Lo stesso giorno il GIEI pubblica il quarto report sul caso nel quale spiccano le evidenti e profonde connessioni tra esercito, polizia federale, funzionari pubblici con il crimine organizzato, le prove del coinvolgimento diretto dell’esercito nella sparizione forzata e la conoscenza fin dal primo momento da parte della SEDENA (Secretaría de Defensa Nacional) di ciò che stava succedendo a Iguala. L’avvocato Vidulfo Rosales non usa mezzi termini per commentare il report del GIEI: «elementi dell’Esercito Messicano stanno ostacolando le indagini e si rifiutano di dare informazioni». 

Il 5 ottobre arriva la notizia della nomina del nuovo procuratore speciale per il caso Ayotzinapa: a presiedere la UEILCA viene nominato Rosendo Gómez Piedra, avvocato tabasqueño vicino al presidente López Obrador. La nomina di Gómez Piedra è subito contestata dai genitori e dalle organizzazioni che accompagnano la famiglia: ancora una volta la FGR sceglie deliberatamente di non consultare la famiglia e di mettere a capo dell’unità investigativa speciale un giudice senza esperienza sul caso e in tema di diritti umani. Durissima la reazione dei genitori: «Le dimissioni del precedente titolare e la nomina di quello attuale senza tenerci in conto rappresenta l'inizio di un golpe e la distruzione di questo meccanismo di giustizia di transizione che è stato costruito con fatica e lavoro e che ha rappresentato una speranza di chiarimento dei fatti in cui i nostri figli sono scomparsi […]. Per noi è chiaro che i governi sono uguali».

Abel Barrera Hernández, fondatore del centro di difesa dei diritti umani Tlachinollan, riassume così l’attuale fase: «Attualmente i militari hanno esercitato una forte pressione contro le autorità civili perché non venga messa in discussione il loro supposto onore. Si rifiutano di comparire di fronte ai tribunali civili. La cosa più grave è che le autorità federali hanno ceduto alle loro pretese di non essere indagati. Una delle prove di questa resa è che sono stati cancellati 16 ordini di arresto contro elementi dell’esercito. Allo stesso tempo, il giudice speciale è stato obbligato a rinunciare. La cosa inaudita è che è stato nominato un nuovo giudice ignorando i genitori dei 43 studenti desaparecidos. Questa imposizione unilaterale mette in grave rischio la stessa Comisión para la Verdad y Acceso a la Justicia sobre el caso Ayotzinapa».

Fino a qui l’impressione sembra essere quella di uno scontro tra poteri all’interno dello Stato, con militari e giudici a fare pressioni al governo perché garantisca l’impunità ai responsabili del crimine. Tuttavia, ci sono altri elementi da prendere in considerazione che confutano questa ipotesi mostrando chiaramente come non ci sia uno scontro ma una stretta alleanza tra questi poteri: Gertz Manero, procuratore capo della FGR è stato nominato dallo stesso López Obrador e da lui è stato più volte difeso negli scandali e nelle polemiche che lo hanno coinvolto, in particolare difendendo l’operato del procuratore nelle ultime vicende inerenti al caso. 

Rispetto al rapporto con il potere militare, basterebbe già da sola la militarizzazione dei territori a definire lo stretto legame con il presidente. Pochi giorni fa, il Senato (a maggioranza MORENA), ha approvato una legge con la quale è stata approvata la permanenza dei militari nelle strade fino al 2028. Una politica in netto contrasto con quanto annunciava AMLO in campagna elettorale e che preoccupa per la continuità con le precedenti amministrazioni. 

Recentemente poi, López Obrador ha posto sotto il controllo della SEDENA anche la Guardia Nacional, di fatto concedendo il monopolio dell’ordine pubblico ai militari. Come se non bastasse, alla SEDENA è stato concesso pure il monopolio della costruzione di grandi opere come l’aeroporto di Città del Messico o il mal chiamato Tren Maya, l’amministrazione delle dogane, dei porti e dei vaccini, determinando quindi la consegna nelle mani dei militari non solo del monopolio della sicurezza ma anche di una grandissima quantità di fondi economici.

A fugare ogni dubbio sullo stretto rapporto che lega la presidenza messicana e la SEDENA, ci ha pensato il collettivo di hacker Guacamaya che è riuscito ad entrare nei server delle forze armate e raccogliere e divulgare oltre quattro milioni di mail. Le informazioni che stanno uscendo dai “sedenaleaks” aprono uno squarcio inquietante sulla rete di potere in Messico e su casi come quello di Ayotzinapa. Attraverso le mail inviate dal generale in pensione Humberto Guillermo Aguilar all’ex titolare della SEDENA Salvador Cienfuegos, scopriamo che fin dal 2015 la SEDENA ha operato cercando di occultare la verità, appoggiando la narrazione tossica della verdad histórica e costruendo tre possibili piani per evitare di vincolare i militari alla sparizione forzata.

Venendo all’attuale amministrazione e tralasciando lo spionaggio verso le reti e le organizzazioni di movimento come i movimenti femministi, gli zapatisti (ad esempio è stata spiata la delegación Extemporánea della Gira Zapatista dello scorso anno), o le organizzazioni di difesa dei diritti umani come il Centro Prodh classificato come “gruppo di pressione”, sono diventate pubbliche alcune missive importanti relative al caso. Su tutte, la mail inviata dal Segretario della SEDENA Luis Cresencio Sandoval González al presidente con la quale intercede per il capitano José Martínez Crespo, detenuto per il presunto legame con il gruppo criminale Guerreros Unidos. La reazione di López Obrador è stata, ancora una volta, quella di difendere la SEDENA. 

Una delle mail hackerate alla SEDENA, datata maggio 2017, classificava l’allora candidato alla presidenza López Obrador come un “attore avverso” alla cosiddetta verdad histórica. Solo qualche anno dopo, il presidente è diventato il difensore di chi ha commesso il crimine, tradendo la fiducia e l’impegno preso con i familiari delle vittime di questa tragedia e avvalorando una narrativa raccomandata dai militari: «questa narrazione è stata pianificata dal generale (Salvador) Cienfuegos, è stata seguita prima dal governo di Peña Nieto e oggi è stata fatta propria dal Presidente della Repubblica, Andrés Manuel López Obrador» ha denunciato pochi giorni fa l’avvocato Vidulfo Rosales, che poi ha sottolineato come tale narrativa mira a formare un’opinione pubblica secondo cui «ci sono interessi al di fuori della lotta dei genitori dei 43, per minare e screditare l’esercito messicano».

Con questi presupposti, non può che nascere un’altra verità storica. Fondata, ancora una volta, sull’impunità.

Foto di copertina: Gerardo Magallón